DOSSIER BENI COMUNI, 109. IL RICORSO

a cura di FRANCESCO CORRENTI ♦

Come promesso, fornisco alla eventuale persona che dovesse leggere questo scritto, avendo letto la puntata n° 108 della rubrica Beni comuni (articolo 206 di FC su SLB), il cui titolo era Il ritorno (cioè la ripresa delle puntate e quindi del “viaggio” che facevamo insieme ad alcuni sparuti amici curiosi), la soluzione di quello che avevo chiamato, in quella puntata, il “rebus di copertina”.

Il dossier della puntata è evidenziato dalla locandina del film “de Reditu” (2004) di Claudio Bondì (Roma, 1° marzo 1944-Trevignano R., 23 novembre 2021), ispirato al noto poema di Claudio Rutilio Namaziano, prefetto di Roma, sul suo rientro in Gallia nel 416-7 d.C.

In primo piano, al centro dell’attenzione, la copertina dell’album Progettare in Comune, di imminente pubblicazione a coronamento e documentazione dei venticinque anni di lavoro dei programmi ministeriali per i cento Comuni consorziati della Tuscia.

A fianco, l’immagine (ispirata a note opere d’arte) di Leone Magno, Attila e i minacciosi Santi Pietro e Paolo, è un doveroso omaggio – siamo pur sempre, appunto, nel Patrimonium beati Petri in Tuscia – al nuovo pontefice successore di papa Francesco, ma qui richiama, in quella che ci piace considerare una ricchissima Civitas picta, la famosa «camera con pittura rappresentante Attila» (rimando agli studi di Marianna Craba), uno dei tanti Beni Pittorici del nostro «patrimonio materiale e immateriale».

E quindi ne discende, immediatamente, l’immagine di una parte emblematica, davvero significativa, di un’altra opera d’arte pittorica, il ciclo del grandioso fregio a tempera della Scuola del Genio, con il tricolore formato dagli abiti delle due figure simboliche della straordinaria “Pietà laica”, cioè la Patria Italia e il Milite Ignoto. Con la viva speranza, per il Bene Comune, cioè di tutti, che si siano conservati nel migliore dei modi, che poi è esattamente quello dovuto e da loro meritato. Il giorno di pubblicazione di questa puntata, alle ore 12, sapremo se la speranza corrisponde alla realtà.

A seguire, in alto, una porzione d’una notissima mappa geografica, a sua volta emblematica come le altre figure di questa copertina, ossia della Pianta topografica della Delegazione di Civitavecchia, in scala 1:80.000, realizzata dalla Sezione Topografica del Censo, Roma 1863, da me acquistata alla Calcografia Nazionale (poi Istituto Centrale per la Grafica) nel 1980 (F.IX/C. 23.07.80). Lì è ben visibile – ed io l’ho sottolineato in rosso –, poco sopra i Bagni di Traiano e il Casale dell’Argento, il nome della località Sant’Egidio Vecchio, con il minuscolo quadratino del Campanile, piccolissimo ma evidente!

Quel “Bene”, come lamentato nella puntata precedente, che, «a cercare su certe carte “uniche” (e lo sono davvero!), pure ufficiali e controfirmate da ben noti esperti e massimi tecnici della Comunità, quella parva ecclesia e il suo residuo moncone di campanile romanico, nonostante le affermazioni in contrario di tanti e pure mie e di molti illustri studiosi e, da ultima, delle professoresse ed archeologhe medievaliste Francesca Romana Stasolla e Federica Vacatello (vedere la puntata 101 di questa rubrica del 27 marzo scorso sulla conferenza stampa del giorno 25), non esiste, non appare, non risulta, e se c’era non c’è più.» Dal che si comprende il senso delle altre tre “figure allegoriche” che ho posto sulla copertina: la Spirale di Le Corbusier che ho utilizzato nella puntata n° 26 (Belles occasions manquées (par la faute des imbéciles). Dalla repubblica marinara a chi più ne ha più ne metta), il mio amico Abock, stupito ma ormai abituato a tutto, e la copertina del volume dei Quattro Codici della nostra legislazione, con la sincera speranza di non doverne estrapolare diritti e doveri da far rispettare…

La nuova puntata odierna, sia nella copertina sia nella figura, riprende pedissequamente l’altra e ne sviluppa i concetti, rimanendo sempre, comunque, sul piano visuale delle immagini, alle quali è affidata la comunicazione del pensiero, cambiando però il titolo di questa comunicazione, dal “Ritorno” al “Ricorso”. Non è però il ricorso al quale si “ricorre”, appunto, per contrapporre argomentazioni a decisioni o provvedimenti in campo burocratico, nella speranza di farli valere e prevalere.

Qui si tratta del «ricorso storico», ovvero quella circostanza – che poi è essa stessa un “ritorno”, per cui poco cambia – supponendo che certe vicende si possano ripetere, con risultati analoghi. Cosa ricorra, quali nessi e connessi io veda tra le cose, quando si siano ripetuti eventi già visti, è chiaro, io non lo dico qui, a parole. Anche questa volta, lascio alla Lettrice (e/o Lettore) il piacere della coperta… (c’è sempre quella di Linus?), rimanendo un fedele spettatore dell’Ulisse di Alberto Angela. In quanto tale, e quindi ammirando la perfezione di quella trasmissione, la cura che appare dietro ogni dettaglio, la meticolosa attenzione e la “magia” di certe ricostruzioni (evidente anche in quelle di Eden – Un pianeta da salvare con Licia Colò), mi rammarico di alcune sviste o “refusi” (come si diceva quando i libri si “componevano” col piombo) che a volte sfuggono alle mie letture e riletture dei testi. In proposito, non so se consolarmi o scuotere il capo doppiamente “sconsolato”, leggendo, questa volta, scritti altrui, e per la precisione, alcuni “comunicati stampa” ufficiali di segreterie o di “addetti” quanto meno distratti.

Leggo, infatti, sulla stampa che è stato presentato il progetto “Centumcealle”, attenzione, non “Centumcellae”, come si diceva una volta, in latino. Dato che nel comunicato la parola è ripetuta cinque volte (e sei con il titolo) ne deduco che è quella giusta, quella, come è sottolineato nel comunicato e ripetuta dalle varie testate, «fortemente voluta». C’è sempre da imparare! che poi i latini dicevano “discere”. Io disco, tu disci, egli discia… Ho postato questa frase su Fb ed il Fondo Ranalli ha commentato: «Saranno discoli volanti sulle macerie della storia!» Ho replicato: «Fondo Ranalli, la risposta è molto divertente e merita una menzione speciale. Il guaio è che i Marziani sono armati di armi improprie e non parlano la nostra lingua per cui è veramente impossibile il dialogo. Comunque proverò con “Glatù barada nictu!”, se mi ricordo bene [Nota 1]. Stefano De Fazi, da parte sua, ha scritto: «Hanno disciato…», mentre Glauco Sgla ha aggiunto: «Refusi del completamento automatico». Io ho replicato: «Sì, Glauco Sgla, quando l’intelligenza artificiale non è sostenuta da quella naturale.» Se qualcuno fosse informato (fortemente informato) di quegli aspetti stravaganti dei comunicati stampa e avesse la bontà di esternare le sue informazioni, ne saremo riconoscenti.

FRANCESCO CORRENTI

Nota 1:
La frase che ho riportato è quella che nel mio ricordo ho ascoltato pronunciare dal marziano o dalla ragazza terrestre per fermare il gigantesco automa e impedirgli di distruggere la Terra. In realtà la frase come riportata in Internet nei vari siti in cui il film viene ricordato è leggermente diversa, “Klaatu barada nikto”, ma il suono è simile. Fu un film che non ho mai dimenticato: avevo 12 anni, l’ho visto in uno dei tanti cinema intorno a casa mia – abitavo a via Nazionale 230 – e quindi al Supercinema o al Rialto, ed erano anni in cui gli avvistamenti di dischi volanti erano continui, frequentissime sui giornali le cronache, io stesso ero sicuro di averne visti e forse di aver incontrato qualche marziano e disegnavo decine di scene, con dischi (più che razzi) e loro piloti, anche saturniani e soprattutto veneriani (oltretutto poi, mio zio, siciliano, si chiamava Venero, famigliarmente Venerino e ufficialmente Venerando!).
A proposito della pellicola Ultimatum alla Terra (The day the Earth Stood Still) diretta da Robert Wise (1914-2005) nel 1951, a distanza di anni e fiumi d’inchiostro spesi, il reale significato della celebre frase “Klaatu barada nikto” è ancora un mistero. Io la interpretavo a modo mio, come se “barada nictu” equivalesse a “[non] distruggere niente”, con un linguaggio marziano addomesticato. Trascrivo qui di seguito altre informazioni trovate in rete. Le circostanze. Nella finzione scenica la frase aliena serviva a bloccare il robot Gort pronto a sterminare l’umanità, dopo l’uccisione di Klaatu (Michael Rennie, 1909-1971), l’extraterrestre arrivato con lui sulla Terra, per portare un messaggio di pace all’umanità. Uno slogan- Klaatu barada nikto”, è definito dalla Robot Hall of Fame, uno degli ordini più famosi del genere fantascientifico, mentre le riviste specializzate parlarono della frase più celebre pronunciata da un extraterrestre.