Se c’è qualcuno che deve tutto a Bach, quello è proprio Dio (Emil Cioran)
di CATERINA VALCHERA ♦
Il recente articolo di Simone sul ponderoso libro di D.R. Hofstadter mi ha suggerito l’idea di parlare un po’ di musica classica su questo blog – anche se non sono un’esperta- e di farlo partendo proprio da Bach, anzi continuando a parlarne. Sul piano storico-culturale il grande compositore tedesco si colloca in un terreno che conserva aspetti del Barocco ma li combina con una nuova apertura ai due poli fondamentali della cultura settecentesca: NATURA e RAGIONE. Anticipando il sinfonismo romantico, Bach sa infatti che è infondata l’idea che noi non tolleriamo l’intonazione naturale, ma che anzi l’orecchio ha la possibilità di cogliere le meravigliose sfumature dell’accordatura naturale. Il sistema di intonazione basato sul “compromesso con la natura” sarà conosciuto e propagandato- come afferma Schönberg- soltanto nel corso dell’Ottocento, anche se qualcuno, come il musicista della seconda metà del Seicento Andreas Werckmeister, aveva cercato di anticiparlo al secolo dei Lumi come possibilità di un modulare continuo da un tono all’altro con frequenze semplici e adatte a ogni orecchio. Quel che anche un orecchio non esperto coglie ascoltando Bach è la sua razionalità compositiva, una solida struttura che sorregge ogni pezzo disseminandovi anche simbologie numeriche: ad esempio le triadi o le variazioni che sono sempre tre o potenze di tre e che alludono alla Trinità divina (alla stessa stregua delle terzine dantesche), ma anche al tempo umano scandito in passato presente e futuro, e ancora l’uno che richiama la perfezione mentre il due il dualismo della creazione ( cielo/terra, buio/ luce ). Anche le celebri Variazioni Goldberg contengono un sofisticato simbolismo numerico che nasconde ora il cognome, ora l’intero nome dell’autore. L’ ‘insistenza su certe figurazioni grafiche e la predilezione per certi numeri ha fatto pensare a intenti di tipo cabalistico o alla ricerca di sensi metaforici. Vero è che un suo allievo, Lorenz Mizler, nel 1738 fondò a Lipsia una Società Semisegreta per le Scienze musicali, proprio per dimostrare i legami fortissimi tra matematica e musica sulla scia del pensiero pitagorico. Il blasone della Società erano un cerchio e un triangolo circondati da api, queste ultime a indicare l’impegno, il lavoro comune. Bach vi entrò come membro n.14, uno dei suoi numeri preferiti. Il nostro orecchio, ascoltando le Variazioni non può non recepire lo smaterializzarsi della musica che si costruisce su principi di simmetria aritmetica e geometrica. Ma Bach non è solo questo, perché rischierebbe l’aridità che invece è presente negli epigoni, nel “bachismo”, mentre la sua opera è tutta a una medesima altezza grazie alla componente fantasiosa. Non solo logica, ricorsività, ma anche melodie ingegnosamente inserite, grazie a un contrappunto così complesso da non essere prevedibile: come accade nel canone inverso che è la dimostrazione di come si possano fondere un approccio logico-matematico con l’emozione e il sentimento. Coniugando perfettamente la devozione per la scienza e la fede, Bach- che non fu mai troppo confessionale proprio perché sempre aperto alla ricerca ( suo il famoso motto Quaerendo invenietis) si muove con il suo incredibile genio tra invenzione creativa e geometrie musicali, con l’intento “dichiarato” di temperare, che non significa “equalizzare” quanto piuttosto moderare, lenire gli eccessi distribuendo in giusta misura, perché “la musica è la matematica dell’anima” (Leibniz). Non esiste infatti contraddizione tra cuore e matematica, (una convinzione questa alimentata dalla mitologia romantica), perché si può creare una corrente emozionale intrisa di fede e passione anche costringendo le strutture matematiche ad accogliere le giocose creazioni dell’estro e della fantasia. Suonare Bach significa sorprendersi continuamente e insieme predisporsi all’analisi, a riconoscere regole e leggi, proporzioni e teoremi. Predisporsi anche a sentirsi inadeguati, a provare la sensazione di non aver colto tutta la complessità delle sue composizioni. Un sentimento che forse provarono i suoi ammiratori incondizionati quali furono Mozart, Chopin e Beethoven: di quest’ultimo è famoso il motto coniato per Bach giocando sul significato tedesco del termine bach, cioè ruscello: “Nicht Bach, Sondern Meer sollte er heißen!”=Non Bach, (ruscello) ma mare si dovrebbe chiamare! In questo mare e nelle Passioni (cinque opere per la lectio vespertina di cui pervenute integre solo quella secondo Giovanni e secondo Matteo) si immerse con grande trasposto quel suo singolare amante che fu Pier Paolo Pasolini. Il suo orecchio poetico era molto attento ai suoni tanto che il Poeta delle ceneri confessa nella parte finale di Autobiografia in versi : “Ebbene ti confiderò, prima di lasciarti/ che io vorrei essere scrittore di musica, vivere con gli strumenti/ dentro la torre di Viterbo che non riesco a comprare[…] e lì comporre musica/l’unica azione espressiva/ forse, alta e indefinibile come le azioni della realtà”. Una dichiarazione di poetica che assume caratteri esistenziali. Nel suo percorso di ricerca centrato sul rapporto tra la realtà esterna e quella interiore, Pasolini assegna alla musica il ruolo di evidenziatore e di veicolo verso livelli più alti e profondi, in un simbiotico legame con il suo Friuli, grembo sonoro. Al genio di Bach dedicò un saggio molto documentato, Lo stile di Bach riconoscendovi quel che prima dicevo, cioè la musica orizzontale e verticale, come dialettica tra carne e cielo : un dualismo che avvertiva fino nelle viscere, oscillando tra spiritualità e sensualità. La carne è la sensualità timbrico-sonora della matrice formale bachiana in cui il dualismo viene trasposto entro un ordine intellettuale. Questa era la “lezione erotica” del grande compositore tedesco e Pasolini si rammaricava che non esistesse una lingua critica per la musica e che questo fosse un fatto scoraggiante per chi si accingesse a parlare nientedimeno che dello stile di un musicista. L’iperbole espressiva rivela la grande passione musicale dello scrittore che poi la trasportava nel cinema con l’intento di dare rilievo alla piattezza delle immagini filmiche. Secondo lui in Bach si riconosce tutta la tensione tra regola, imitazione e libertà creativa, grazie alla capacità suprema che egli aveva di dissimulatio artis, di dare cioè forma di naturalezza a ciò che era frutto di un artificio molto sottile e sofisticato, di realizzare un fiotto ondulante e di esaltare, moltiplicandoli, i suoni per raggiungere il pieno godimento sonoro. Bach è secondo Pier Paolo un genio che ha utilizzato gli stessi elementi presenti in Natura rielaborandoli con un’espressività soggettiva, cercando non parole nuove, ma le sue solite, “il canto nel canto”: con quest’espressione il poeta coglie in pieno la purezza della musica bachiana, l’esaltazione dell’aspetto puramente strumentale della musica. La stessa cosa- lo sapeva bene- accade al poeta nella lotta con la lingua dell’uso, dentro la quale resta chiuso come accadde a Virgilio e a Leopardi. La “maniera” di Bach, intesa come affinamento tecnico e insieme libertà espressiva, viene piuttosto da lui accostata al “sentire equilibrato” dell’opera matura e classicista di Goethe. Questa “vampata” pasoliniana per il musicista tedesco si collega probabilmente alla sua amicizia con la violinista Pina Kalč che suonava magnificamente Bach e riconosceva nell’amico scrittore la summa del suo pubblico eletto. Quanto al rapporto tra poesia e musica, Pasolini riconosce che una possibile affinità bachiana può essere riscontrata solo in poeti come Valery o Mallarmé nei quali la musicalità ha qualcosa di matematico e di concettuale. In quei casi il mondo dei suoni e quello del pensiero confluiscono nell’idea di musicalità attraverso forme nelle quali l’emozione estetica diviene mistica raggiungendo modi e livelli che solo la musica può realizzare. Analizzando la Sonata n.1 in sol minore , in particolare il movimento chiamato Siciliano, Pasolini afferma infatti che “nella musica abbiamo le vere parole della poesia, cioè parole tutte parole e nulla significato”. Come dire la purezza del linguaggio dei suoni rispetto al vincolo del linguaggio verbale. Critico musicale insoddisfatto, il poeta friulano riesce a collegare con profonda intuizione estetica la tecnica musicale e lo stile di Bach alla grande innovazione della civiltà artistica barocca; riesce a comprendere che attraverso l’astrazione, l’artificio, le forme delle forme, l’opera di Bach aveva creato una filosofia della pura bellezza. Degna dei cieli.
CATERINA VALCHERA

Grazie Caterina per questa splendida introduzione alla musica di Bach. Da non credente, penso che non ci siano opere che meglio offrono una profonda visione dell’etica cristiana delle sue Passioni, dove emerge anche l’attitudine melodrammatica che spesso viene messa in secondo piano e che Pasolini esalta nei suoi inserti cinematografici.
Giuseppe Pucacco
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