LETTERA

di CLAUDIA SFILLI ♦

Caro vicino, sono Nina, quella rospetta che abita di fronte a te, nella palazzina grigia; sì, quella triste. Questa sera mi sento un po’ diversa dal solito e voglio compiere un gesto di buon vicinato mandandoti un saluto.  

Oggi sono andata dal parrucchiere che mi ha consigliato un nuovo taglio di capelli. Non sono capace di dire di no a chi mi propone qualcosa con entusiasmo e accetto sempre tutto. Lui, Ivo, è partito come un treno: cick, cick, cick e i miei capelli cadevano a terra. Tanti. Poi, via con il phon, un colpetto di piastra e alla fine nello specchio c’era un’altra persona. Migliore, sì, ma perdere il proprio aspetto è davvero sconcertante, credimi. È come uscire di casa e dopo pochi passi girarsi… e la casa non c’è più. Beh, forse un po’ meno. Dentro sono sempre io, intendiamoci, ma quello che vedono gli altri ora è diverso, e il fatto mi gasa alquanto. Non ti avrei mai scritto, se Ivo non mi avesse trasformata: è assurdo, ma vero.

Tu forse sai a malapena che esisto, ma io so di te quanto basta. Cosa significa “quanto basta”? Dunque, il tuo potrebbe essere un nome qualsiasi e non cambierebbe niente, e anche l’età – che direi fra i trenta e i quaranta – non è molto importante. Dove lavori è irrilevante, ma credo che lavori, perché esci con regolarità e con una certa regolarità rientri. No, non ti spio, ma ho il computer davanti alla finestra e, stando sempre su questa benedetta tastiera, per forza vedo quanto succede fuori. Mi serve per distrarmi un po’, capisci? Ma torniamo a te. La tua voce la sento qualche volta, quando chiami Russel, il tuo gatto nero che conosco molto bene perché sta ore sulla finestra di casa tua a guardare il mondo, più o meno come faccio io. Se sei ricco o povero non mi interessa, anche se posso escludere con una certa sicurezza che tu sia ricco, perché non vivresti in questo quartiere. Ti vedo uscire la mattina sempre un po’ di corsa. Porti i jeans e magliette semplici, senza scritte stupide. Quando torni, spesso cammini a testa bassa. Poi ti vedo in cucina: ci stai poco e sparisci. Tutto chiaro, quindi. Quello che ho capito di te, caro vicino, è qualcosa di molto importante. La tua solitudine.

La colgo anche se, quando sei in casa, ci sono persone che suonano alla tua porta; persone di tutte le età, spesso sorridenti e brillanti, anche donne che prima che tu apra si sistemano i capelli. Tu sei comunque solo. Me lo dice il tuo modo di muoverti, me lo dicono i tuoi gesti abitudinari, il tuo amore per le piante che sarebbero anche degli altri inquilini della palazzina, ma curi solo tu.

Ieri sera ti ho sentito gridare. L’estate è una stagione indiscreta, si sa, non permette intimità. Hai gridato al telefono: Non ce la faccio più!

Volevo affacciarmi alla finestra, allora, e gridare: Anch’io non ce la faccio più! E sai cos’ho pensato? Che, se lo avessi fatto, anche la signora che abita sopra di me avrebbe gridato e forse anche quello sopra di lei e tutti quelli che abitano qui intorno e anche più in là e più in là… Tutto il mondo avrebbe gridato: Non ce la faccio più. Otto miliardi di solitudini tutte diverse l’una dall’altra avrebbero gridato insieme, diventando una voce sola, potente quanto l’universo.   

Ma non l’ho fatto.  

Perché? Perché questo è un sogno. In realtà tu non mi avresti sentita. Forse qualcuno per strada avrebbe pensato che sono pazza, ma la signora del piano di sopra, il signore sopra di lei, quelli qui intorno e quelli più in là e più in là e il mondo intero, mi avrebbero ignorata. Tutti chiusi dentro la propria solitudine, zitti, anche se il cuore gli sta per scoppiare.

Non ce la faccio più nemmeno io, come tutti, ma continuo. Come tutti.

Volevo dirti questo.

Un abbraccio   

Nina

 CLAUDIA SFILLI