“AGORA’ SPORTIVA” A CURA DI STEFANO CERVARELLI – LUCIANO VASSALLO

di STEFANO CERVARELLI ♦

Oggi vi parlo di Luciano Vassallo e della sua vita avventurosa.

Luciano venne al mondo per sbaglio, un meticcio con madre etiope e il padre un militare italiano, portando sempre nel cognome – ora Vasallo – un’imperfezione vissuta, direi assunta, a colpa, tale da farlo sentire un refuso tra gli uomini: condizione certo dolente.

Vi parlerò di un uomo perennemente in fuga, che per tutta la vita non ha fatto altro che scappare: dalle botte, dalla mancata misericordia, da un abbandono subito, da un’assenza mai sufficientemente colmata, da una dittatura ed infine da un Paese all’altro: in pratica fuggì sempre da tutto a niente e viceversa.

Nella sua esistenza Luciano però si misurò sempre con l’arte del sacrificio e conobbe la felicità soltanto all’interno di un perimetro: quello di un campo di calcio.

Di questo sacrificio raccolse la gloria in Africa e un riconoscimento, tardivo, in Italia.

Luciano Vassallo nasce ad Asmara, Eritrea, nel 1935.

Meticcio, figlio del colonialismo fascista che fantasticava l’impero dell’Africa orientale Italiana; Luciano era uno dei ventimila italiani nati nel corno d’Africa nella prima metà del novecento.

Il padre, Vittorio, gli diede il cognome e basta, infatti, appena nato, lo abbandonò delegando alla madre, di nome Mebrak, la responsabilità di crescere il frutto di molte cose ma non certamente dell’amore.

Il ragazzo crebbe tra discriminazioni, marchiato per di più dallo slogan fascista uscito dalla bocca di Mussolini: “Il meticcio è una minaccia alla conservazione della razza bianca”.

Luciano era considerato dagli italiani appartenente a una razza inferiore  e bastardo dagli eritrei; insomma uno straniero per tutti e da tutti rifiutato, persino dalla madre, che covando una bella dose di livore verso il soldato che di lei aveva abusato, riteneva il ragazzo figlio di Satana.

Viene iscritto alla suola elementare italiana “Principe” da dove scappa perché “preda” degli abusi sessuali dei preti e, naturalmente, del razzismo.

Tra stenti e giorni consumati in strada, tirando calci a un pallone,  raggiunse l’adolescenza facendo tutti i lavori che capitavano compresa la guardia alle macchine e alle biciclette. Era ancora un ragazzo quando venne preso a lavorare nelle ferrovie eritree come meccanico. “Fu proprio in quel periodo che scoprì d’essere bravo a giocare al calcio” disse una volta.

Gli inizi da calciatore furono con la squadra chiamata “Stella Asmarina” ma era preso costantemente di mira dal pubblico che gli rivolgeva insulti razzisti di ogni tipo. “Ci rompevano l’ossa con le parole” disse ancora nel corso di un’intervista. In seguito, cambiando squadre, da difensore si trasformò in centrocampista fino all’esplosione nella Cotton Sport per poi approdare nella azionale etiope visto che l’Eritrea nel dopoguerra era stata inglobata.

Di questa nazionale Vassallo divenne poi capitano e fu lui con l’orgoglio di meticcio ad alzare la Coppa d’Africa nel 1962, un trofeo conquistato battendo in finale l’Egitto per 4 a 2.

“Fu una grandissima soddisfazione ricevere la coppa direttamente dalle mani dell’imperatore Hailé Selassié. “Io, un meticcio che rappresenta l’intera Etiopia!” ebbe a dire Vassallo  successivamente.

Questo successo fu l’apice di una carriera che lo vide scendere in campo  in 104 partite con 99 reti, la più famosa quella realizzata al grande Yashin nel corso di un’amichevole giocata nell’Unione Sovietica.

Le doti del suo piede, eleganza, delicatezza,  a detta dei cronisti etiopi lo accostavano a quello di Gianni Rivera, tanto da essere definito il “Rivera africano” addirittura venne accostato al grande Di Stefano! Evidentemente la distanza dell’Etiopia dal calcio europeo giocava brutti scherzi ai cronisti di quella nazione. Nel 1968 il calciatore venne invitato in Italia per frequentare, a Coverciano, il corso per diventare allenatore. Tra i suoi compagni di studi vanno citati Cesare Maldini, Armando Picchi, Luis Vinicio.

Per Luciano quelli furono anni d’oro. Raggiunta la fama, con i primi soldi  aprì un’officina  autorizzata Volkswagen non mancando nel contempo di offrirsi alla carezza del regime di Hailé Selassié, feroce oppositore, all’inizio del colonialismo idolatrato in tutta l’Africa. Questi però, abbastanza presto, si trasformò letteralmente diventando un autocrate feroce, capriccioso, raggiungendo il confine con la follia.

Fu proprio in quel periodo  che Vassallo tornato al suo paese con il brevetto d’allenatore  scoprì che il ct della sua nazionale, Peter Schnittger era solito ricorrere al doping per i sui giocatori.

Non l’avesse mai fatto! In seguito a questa denuncia Luciano dovette subire la violenta reazione da parte di un’intera nazione e del regime al quale già non era molto simpatico. In seguito a questo episodio Vassallo divenne, da eroe a nemico acerrimo di un’intera nazione, dal quale venne trattato alla stregua di un traditore. Ma non è per questo che lascerà il suo paese.

Nel 1974 arriva al potere Menghistu Hailé Mariàm denominato il “negus rosso” quindi vicino all’URSS, e che anni dopo venne condannato per genocidio.

Nell’officina di Vassallo vengono rinvenute macchine appartenenti al ras del passato regime e Luciano viene arrestato con l’accusa di connivenza con il regime di Selassié,

Viene prelevato di mattina, senza tanti riguardi, dall’officina che aveva aperto ad Addis Abeba, ammanettato immediatamente mentre stava lavorando proprio davanti agli occhi dei suoi trenta dipendenti.

In seguito confesserà che durante il tragitto lo coglie l’angoscia di quanto, teme, possa accadere. S’immagina bendato, con le mani legate, davanti al plotone d’esecuzione.

La  sua non è fantasia è ricostruzione, basata su quanto si diceva a proposito dei detenuti politici,  e quindi di quello che  poteva accadere nella realtà.

In Etiopia sono anni tremendi, c’è la guerra civile, ci si ammazza per strada, si muore per poco e a volte per niente.

Vassallo viene tradotto nella prigione di Gibuti, dove per sua mera fortuna, incontra un ras etiope che in passato era stato suo tifoso; questi, usando un sotterfugio, favorisce la sua liberazione.

Immediatamente, senza alcuna perdita di tempo, Luciano corre a casa prende i suoi quattro figli, raggiunge l’aeroporto e li carica sul primo aereo destinazione Italia.

Luciano li raggiungerà poche settimane dopo, abbandonando casa, lasciando i suoi beni; a piedi scappa, ramingo, tra le montagne e il deserto, fino a quando un velivolo porta anche lui in Italia. Con sé non aveva niente tranne la sua grossa borsa da lavoro.

I suoi guai però non sono finiti.

A Roma viene nuovamente arrestato perché i suoi documenti non sono validi.

Quando finalmente entra in possesso di documenti regolari sa che deve inventarsi una nuova vita: l’ennesima. Prende la sua borsa con gli attrezzi da meccanico e si trasferisce a Ostia dove inizia ad esercitare la sua professione ma non avendo un’officina si inventa il lavoro di meccanico da strada.

Soccorre automobilisti in panne, aggiusta motori che sembrava non dovessero funzionare più ed altre cose di questo tipo, chi ha bisogno della sua opera lo chiama e lui corre a riparare.

Le sue mani sono perennemente sporche d’olio ma il suo cuore è molto più leggero; una tranquillità che si completa quando l’ex campione etiope riesce a ritrovare anche la sua antica passione.

In un campo, distante dal centro, allena ragazzini di periferia, fondando addirittura una scuola di calcio: La Scuola Calcio Olimpia Ostia.

Perché ho voluto ricordare Luciano Vassallo? Un po’ per la sua vita travagliata, come l’ha definita un giornalista dell’Equipe, un po’ perché la sua vita termina proprio in questo periodo all’inizio  dell’autunno del 2022 all’età di 87 anni, ma soprattutto perché Luciano Vassallo è stato il giocatore italiano più forte del quale sicuramente non avete mai sentito parlare. Infine,  la cosa più importante perché è stato l’unico calciatore italiano ad aver vinto la Coppa d’Africa.

Guardando  alla parabola della sua incredibile vita vediamo, senza ombra di dubbio, brillare la rettitudine la speranza nel futuro , nonostante le tante difficoltà incontrate nel percorrerla.

E’ Il cammino di un uomo, di un forte giocatore italiano che visse quasi sempre da esule: ovunque, tranne quando aveva un pallone e un prato verde sotto i suoi piedi.

STEFANO CERVARELLI