PROFONDO ROSSO

di CLAUDIA SFILLI

Poltrona, panino ripieno di squisitezze, un buon bicchiere di vino e un film ad hoc.
Fabio era finalmente andato fuori con Germano, suo amico d’infanzia. Niente cena da
preparare, tavola da sparecchiare, lavastoviglie da riempire, fornello da pulire con il
minimo ausilio di un marito sempre troppo stanco per impegnarsi di più. Una piccola
pausa ogni tanto ci vuole, per alleggerire il trantran della vita quotidiana.
Quella sera, con la complicità della bella stagione che permette di vivere con le finestre
spalancate fino a notte, Lara avrebbe anche fumato qualche sigaretta. Aveva smesso da
un po’, a causa dell’asma, ma una serata di libertà deve prevedere anche qualche
trasgressione, altrimenti che libertà è? Le avrebbe prese da uno dei pacchetti che Fabio
lasciava nelle tasche delle sue giacche: non se ne sarebbe accorto.
Per godersi appieno la serata, doveva scegliersi un film speciale, magari di quelli che facevano
sbuffare un po’ Fabio. In un primo momento aveva pensato a un film d’amore, di quelli
sdolcinati in maniera esagerata, ma non aveva più l’età per quel genere di film che, con quelle
trame tutte uguali, finivano sempre per annoiarla. Si mise a scorrere tutte le proposte di Netflix,
ma finì per innervosirsi, perché andava bene tutto e niente, il tempo passava e non riusciva a
decidersi. Ma ecco un film vecchio, immortale: Profondo rosso. Fantastico! Lo aveva visto da
ragazza e ne ricordava soltanto la grande paura che le aveva procurato; la vicenda no, quella
l’aveva scordata e quindi valeva la pena di rivederlo. Ora che era una donna matura avrebbe
potuto goderselo senza tapparsi in continuazione gli occhi e le orecchie.
Per fortuna aveva mangiato il panino prima di guardare il film, perché già alle prime
scene, lo stomaco le si era stretto e la paura l’aveva paralizzata come quando lo aveva
visto da ragazza.
La qualità inferiore sul piano tecnologico, rispetto al livello dell’attuale cinematografia,
invece di diminuirne l’efficacia, contribuiva a creare un’atmosfera ancor più
inquietante. Si ritrovò come una ragazzina un po’ scema a tremare, a mordersi le
unghie, a saltare sulla poltrona. Scelta sbagliata, quindi: non era quella l’emozione che
aveva pensato di vivere nella sua serata di libertà. Ma non si può interrompere un film
così. Un giallo come quello, una volta iniziato, bisogna guardarlo fino in fondo, anche
a costo di restarci secca. Pensando a questo – al fatto di restarci secca – scoppiò a ridere.
Una risata un po’ nervosa, ma liberatoria di tensione.
La paura la portò a rannicchiarsi nella poltrona, proprio come fanno i bambini e a
guardarsi continuamente attorno, sospettosa.
C’era un tac-tac di là, in cucina, antipatico e insolito. Forse aveva lasciato acceso il
fuoco sotto la piastra su cui aveva scaldato il pane, ma andare a controllare non era
proprio il caso. La tensione nel film era alle stelle. Colpi di scena, musica terrificante
e poi… oddio, quella fila di quadri! Lo specchio!
Alla fine del film, era sfinita. Percepiva attorno a sé presenze negative, ombre negli
angoli della stanza. Doveva riprendersi al più presto, per godersi quel che restava della
sua serata di libertà, e non farsi trovare sconvolta, come se avesse sofferto della
mancanza di Fabio.
Un sospiro, una risatina tanto per sdrammatizzare, e si alzò in piedi. Fece fatica, certo,
perché in cuor suo avrebbe preferito trincerarsi nella poltrona e aspettare lì che lui
tornasse, ma doveva scrollarsi di dosso tutte le brutte sensazioni che il film le aveva
lasciato. Doveva farlo subito. Andò ad accendere le luci della sala e dell’ingresso ed
entrò in cucina, dove il tac-tac non era cessato. Non si trattava della piastra, non era
una delle sue solite dimenticanze: aveva spento tutto per bene. Ma cos’era, allora, quel
tac-tac? Tutto deve avere una spiegazione, no? La paura si nutre proprio di ciò che non
si spiega, mannaggia, e quel rumore non ci voleva proprio, quella sera.
Aprì il frigorifero e si versò un bicchiere d’acqua; era giunto il momento di fumarsi la
sigaretta proibita. Le giacche di Fabio erano in camera da letto, quindi doveva andare
là. Già… passare l’ingresso e poi il corridoio, con il piccolo particolare che la lampadina
dell’applique si era bruciata. Ma una donna come lei non poteva avere paura del buio!
E per colpa di un film! Dignità, santo cielo!
Il tac-tac ora non si sentiva più: magari era stata soltanto una suggestione.
Uscì dalla cucina fingendo a sé stessa assoluta tranquillità, e si mise a canticchiare: un
passo dopo l’altro, arrivò in camera da letto.
Accese la luce: tutto a posto. Là c’era una giacca di Fabio, con le sigarette. Dio mio,
ma perché tanta tensione? Perché sentiva incombere chissà quali pericoli? Basta con
queste cazzate! Doveva solo prendere le sigarette.
Spense la luce della camera e si diresse verso la zona giorno che aveva lasciato ben
illuminata. Ma… click. In quel momento si spense la luce della cucina. Click, click… si
spensero anche quella dell’ingresso e della sala. Buio.
C’era qualcuno in casa. Ne percepiva la presenza come una vibrazione nell’aria, ne
udiva il lieve respiro, il fruscio dei movimenti.
Un ladro? Un assassino? Tese le orecchie per cogliere il minimo rumore. Cosa stava
succedendo?
Indietreggiò. Doveva nascondersi e l’unico posto era sotto il letto. Se era un ladro
bastava che non la trovasse. Che prendesse pure tutto!
Un rumore in fondo al corridoio, all’altezza della cucina. Qualcuno si muoveva.
Andava verso di lei.
Una fitta nel petto; il respiro le usciva a fatica. Cosa stava succedendo?
Il buio era denso, soffocante. Forse avrebbe dovuto accendere la luce della stanza, è
vero, ma trovarsi poi a tu per tu con il delinquente… No, doveva nascondersi! Doveva
arrivare al letto e poi infilarsi sotto, senza farsi sentire.
Il delinquente era dietro di lei. Ne sentiva il respiro. La sua mano la raggiunse, le sfiorò
la schiena.
Fabio c’era rimasto un po’ male: aveva sperato di fare le ore piccole, come quando
erano ragazzi, ma l’indomani Germano doveva essere in aeroporto prima delle sette. Il
suo capo mandava sempre lui nelle missioni importanti all’estero, accidenti! Fabio non
si stancava di dirgli di metterci un po’ meno zelo, nel lavoro, altrimenti sarebbe andata
sempre peggio e loro non si sarebbero più visti.
Così, dopo aver salutato l’amico con le solite battute sulle mogli, aveva preso la via di
casa guidando piano e godendosi la bella musica che trasmettevano alla radio. Lara
certamente era ancora sveglia e forse era la volta buona che l’avrebbe beccata con la
sigaretta in mano. Lei sperava che lui non se ne accorgesse, ma l’odore del fumo resta
nei capelli, sui vestiti e anche in casa, nonostante le finestre aperte: che ingenuità! Ma
non glielo aveva mai detto, no, santo cielo!
Era arrivato davanti a casa. Aveva parcheggiato e guardato un po’ il bel nido che si
erano costruiti Lara e lui. Una coppia un po’ litigiosa, sì, ma sempre con leggerezza e
gioiosità: così erano stati all’inizio e così continuavano ad essere dopo ventisei anni.
Ne avevano passate tante, ma superate tutte. Insomma, erano stati bravi entrambi a
costruirsi la loro storia.
La luce della sala era accesa e anche quella della cucina. Forse Lara si stava muovendo
per casa, anche se, a dire il vero, se la sarebbe aspettata sulla poltrona con il
telecomando in mano e gli occhi ben sigillati.
Girò piano la chiave, per coglierla di sorpresa, magari spaventandola un po’. Era così
divertente prenderla in giro!
La porta si aprì e Fabio trovò la luce accesa, ma Lara non c’era, né in cucina, né sulla
poltrona. Quella lazzarona era andata a dormire dimenticandosi le luci accese… o le
aveva lasciate accese per essere più tranquilla. Spense lui, allora, cucina, ingresso e
sala, e si avviò verso la camera da letto, cercando l’interruttore sul muro del corridoio.
Ma l’applique non funzionava, è vero! Si era bruciata la lampadina e non l’avevano
ancora cambiata. Beh, non era certo un problema.
Pochi passi alla cieca e finalmente eccolo arrivato. Doveva far piano per non svegliarla.
Continuò a muoversi senza accendere la luce, ma… c’era qualcosa di strano, lì. Il buio
era pesto, in quella notte senza luna. Lara non lo aveva sentito, era chiaro, ma… c’era
qualcuno lì, vicino a lui. Il suo respiro, in quel silenzio, si udiva bene; c’era elettricità
nell’aria.
Lara aprì gli occhi. Fabio, inginocchiato accanto a lei, la guardava sgomento.
“Cos’è successo, Lara? Sei crollata a terra! Per un attimo ho pensato a un ladro, sai?”
“Non so… non so cosa è successo. Ma tu?”
“Sono tornato prima, Germano deve alzarsi presto domani. Ma non dormivi?”
Lara riacquistò lucidità. La paura si dissolse, lo stupore si quietò. Lì c’era Fabio, tutto
il resto non importava.
“Perché eri qui, al buio, Lara? Non capisco.”
Lara pensò al film, pensò ai rumori misteriosi, alle ombre inquietanti e a quella
sensazione tremenda di avere qualcuno alle spalle. Sorrise, con un po’ di imbarazzo.
“Caro, ho preso dell’acqua dal frigorifero, prima di venire qui. L’ho bevuta in fretta,
forse mi ha fatto male. Ho avuto un malore”.
“Congestione?”
“Ecco, congestione, sì. È stata una congestione”.
Fabio la abbracciò teneramente.
“E ora come va? Devi andare in bagno? Ti aiuto ad alzarti?”.
“Tutto ok, Fabio. Ora mi alzo da me: sto bene”.
Era tutto finito.
“Senti una cosa”, disse con indifferenza, mentre si alzava, “c’era un rumore in cucina,
tutta la sera. Sai cos’è?”
“Quel tac-tac, vuoi dire? Quel rompiballe di sopra ha tirato fuori un vecchio ventilatore,
che girando fa quel rumoraccio! L’ho visto quando gli ho portato la lettera
dell’amministratore. Potrebbe comprarsene uno nuovo, no? Non so come non dia
fastidio anche a lui”.
“Già. E non è che sia sordo, eh! Con tutto quello che brontola per quello che facciamo
noi!”
Ora erano in piedi tutti e due. Si sorrisero e si scambiarono un bacio.
“Mi dispiace che tu sia stata male mentre eri sola. Non andrò più fuori la sera, stai
tranquilla”.
“Non dirlo nemmeno per scherzo, Fabio. Non ho problemi, io! La serata mi passa in
un lampo, lo sai: un bel panino, un buon bicchiere di vino, un filmetto giusto… e sono
a posto”.

CLAUDIA SFILLI