UNA PROPOSTA DI LEGGE DA BOCCIARE
di ENRICO IENGO ♦
Il bell’articolo sul blog di Gianluca su “Eutanasia e diritti…” mi ha dato la spinta per approfondire alcune tematiche legate al fine vita, tematiche di natura legale, medica, etica, sociale.
E’ un argomento scomodo, scivoloso, tendenzialmente portato ad essere rimosso. Ma, citando Heidegger: “Se prendo la morte nella mia vita, la riconosco e l’affronto a viso aperto, mi libererò dall’angoscia della morte e dalla meschinità della vita e solo allora sarò libero di diventare me stesso”.
Vorrei oggi continuare la riflessione di Gianluca in merito alla proposta di legge sul suicidio medicalmente assistito, scritta dalla maggioranza di governo, ripromettendomi in seguito di riflettere su questo blog sul significato della sofferenza, impropriamente associata, nel pensiero condiviso, al dolore fisico.
Innanzitutto però credo sia necessario ricordare la ormai famosa sentenza della Corte Costituzionale n. 242 del 25 Settembre del 2019, in merito al caso Fabiano Antoniani (DJ Fabo)- Marco Cappato. La sentenza dichiarò “l’incostituzionalità dell’articolo 580 del codice penale nella parte in cui non esclude la punibilità di chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del SSN, previo parere del Comitato Etico territorialmente competente. La sentenza valorizza le cure palliative definendole una priorità assoluta per le politiche della Sanità e ribadisce con vigore l’auspicio che il Parlamento intervenga nel normare il suicidio assistito”.
Nel solco tracciato dalla Consulta il Parlamento deve normare, attenendosi ai principi generali enunciati nella sentenza del 2019.
Il 2 Luglio veniva approvato dalla Commissione Giustizia e dalla Commissione Sanità del Senato una proposta di legge sul suicidio medicalmente assistito che, come denunciato dall’Associazione Luca Coscioni, rispetta solo formalmente le indicazioni contenute nella sentenza della Corte Costituzionale, ne dà sostanzialmente un’interpretazione restrittiva tale da snaturarla e renderla inattuabile.
Secondo l’Associazione succitata gli aspetti inammissibili della proposta di legge sono diversi:
- Il divieto di ricorrere al Servizio Sanitario Nazionale: l’art. 4 vieta che “Il personale, le strumentazioni e i farmaci di cui dispone a qualsiasi titolo il Servizio Sanitario nazionale siano impiegati al fine della agevolazione del proposito di fine vita”. Gianluca nel suo intervento ha sottolineato ottimamente la ricaduta in termini di giustizia sociale conseguente ad una disparità di trattamento che, consegnando l’applicazione della legge al privato, favorisce chi economicamente può permetterselo, determinando senza ombra di dubbio un più che legittimo sospetto di incostituzionalità.
- Il Comitato Nazionale di valutazione: L’articolo 4, inoltre, dispone che le condizioni per accedere al suicidio medicalmente assistito devono essere accertate da un Comitato Nazionale di valutazione formato da 7 membri: un giurista, uno specialista in Medicina Palliativa, uno psichiatra, uno psicologo un bioeticista, un anestesista e un infermiere. Il Comitato è nominato dal Presidente del Consiglio (!). La Corte Costituzionale non aveva previsto tale organo, ma aveva fatto riferimento ad una struttura pubblica del Servizio Sanitario Nazionale, previo parere del Comitato Etico territorialmente competente. Quale è la ratio di questo Comitato Nazionale, tenendo conto che già sono presenti nel territorio Comitati Etici e un Comitato nazionale di bioetica? L’unica risposta possibile è che la ragione sta nel controllo politico di un organo nominato dal governo e quindi passibile di essere scelto in base a determinate convinzioni individuali e di essere condizionato nelle decisioni e nelle scelte dei membri. Ammessa comunque la buona fede dei componenti il Comitato Nazionale, con quale strumenti il Comitato prende le sue decisioni? Va in casa del malato? O si limita a ricevere scartoffie sulle quali decide se verrà accettata o meno la libera e consapevole richiesta della persona che vuole essere aiutata a terminare il suo ciclo vitale? Molto più sensato sarebbe delegare ai Comitati territoriali tale compito, privilegiando il contatto umano, la vicinanza alla persona che soffre e ricavarne una valutazione più eticamente ragionevole.
- La persona che soffre: ecco un altro esempio che conferma non solo una interpretazione restrittiva nei confronti del parere della Consulta, ma anche una prospettiva del tutto errata nell’affrontare il tema della sofferenza. All’articolo 2 della proposta di legge si parla, fra le condizioni che consentono il suicidio medicalmente assistito, di patologia irreversibile “fonte di sofferenze fisiche e psicologiche”, cioè sia fisiche che psicologiche mentre nella sentenza della Corte Costituzionale si specifica: “sofferenze fisiche o psicologiche “. Questo non è un dettaglio, perché da parte della maggioranza in Commissione viene sancito che sofferenza fisica e psicologica sono indissolubilmente legate, che deve esserci l’una e l’altra: ciò è concettualmente errato! Mentre il dolore fisico può implicare la sofferenza, questa può esistere senza il dolore, disconnessa dalla sofferenza fisica e di difficile determinazione (come detto proverò a rifletterci in un prossimo articolo).
- Dipendenza dai macchinari: Sempre all’articolo 2, fra le condizioni che consentono il ricorso al suicidio medicalmente assistito c’è la dipendenza da “trattamenti sostitutivi di funzioni vitali”, cioè l’obbligo di essere attaccati alle macchine.
Anche a tal proposito non si tiene conto del parere molto più estensivo della Consulta che, successivamente al 2019, rispondendo a quesiti specifici, con sentenza 135/2024 ribadiva: “..nei trattamenti di sostegno vitale…la Corte ha ricompreso tutte quelle procedure realizzate non soltanto da personale sanitario, ma anche da parenti e care-givers, necessarie ad assicurare l’espletamento di funzioni vitali del paziente, al punto che la loro omissione o interruzione determinerebbe prevedibilmente la morte dello stesso in breve tempo, come ad esempio l’inserimento di cateteri urinari, l’aspirazione del muco dalle vie bronchiali o l’evacuazione intestinale manuale”.
Quindi secondo la Corte Costituzionale non è condizione necessaria e obbligatoria la dipendenza dalle macchine, ma è sufficiente un’assistenza, anche di personale non medico, che svolga compiti essenziali per mantenere in vita il paziente.
- Le cure palliative: sempre a proposito dell’articolo 2 viene introdotto nella proposta di legge l’obbligo di essere inserito nel percorso di “cure palliative”. La Consulta a questo proposito da un lato giustamente valorizzava le cure palliative “come una priorità assoluta per le politiche della Sanità” e un diritto fondamentale per il paziente, ma non poteva inserirle come obbligo. Non poteva semplicemente perché sarebbe stato incostituzionale: l’articolo 32 della Costituzione prevede il diritto alle cure, ma anche il diritto a non essere curati (a meno che la persona non rappresenti un pericolo per la comunità: vedi obblighi vaccinali). La disciplina delle cure palliative è contenuta soprattutto nella legge quadro 15 Marzo 2010 n 38, che riconosce l’accesso a tali cure e alla terapia come diritto inviolabile della persona sempre con il suo consenso libero e informato, quindi diritto non obbligo.
Quindi dopo anni di attesa ecco uscire dal cilindro una pasticciata, pessima proposta di legge sul suicidio medicalmente assistito: come al solito questa maggioranza cerca di restringere, soffocare, coartare diritti anche costituzionalmente acquisiti.
Da laico, rispettoso della libertà di decidere sulla propria vita, dico: non dobbiamo consentirlo.
ENRICO IENGO

Caro Enrico, esaustivi i tuoi commenti tecnici circa le nuove normative atte a scoraggiare la libertà decisionale . Non posso che prenderne atto condividendone le osservazioni. Vorrei approfondire tuttavia il tema della liberta’in tale materia ovvero il senso del morire. Non posso farlo in questa sede. Provero’ successivamente a ragionare con te in materia.
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Riflessione di ampio respiro che affronta con competenza una tematica quanto mai delicata. Credo che abbiamo bisogno di affrontare con coraggio e consapevolezza questioni tanto socialmente sensibili. Apprezzo anche il commento di Carlo Alberto che ne segnala la delicata dimensione esistenziale. Contributi che onorano il nostro blog e la sua “missione”. Nicola R. Porro
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Fra tutti questi comitati e comitatini si ha l’impressione che la morte sia burocratizzata e se ne perda, come osservava Carlo, il senso. C’è più umanità e pietas nell’usanza (leggendaria?) della femina accabadora, pur nella sua totale illegalità.
Naturalmente è un paradosso, le riflessioni di Enrico sono accurate e profonde.
Ettore
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Tema molto difficile perché legato per sua natura all’unicitá dell’individuo…al di là delle ovvie ed inevitabili implicazioni religiose, è una problematica che tira in ballo, detto in modo semplicistico, il disarmante :” Che farei io se…”. Ed è molto difficile legiferare su questo presupposto legato a variabili molteplici ed imprevedibili. Io sono per la dignità nella morte. Ma parlo così, in linea generale ( e generica, in teoria), ma ad esempio quante ne abbiamo sentiti di distinguo rispetto al caso di qualche anno fa della giovane olandese che ha scelto la morte in Svizzera perché depressa? Si è creata una specie di classifica ( mi si passi il termine) delle malattie : per questo e quest’altro sì, per la depressione no etc etc…che dire? Non è facile…per non parlare poi di “chi decide per chi”nel caso di pazienti non più in grado di decidere per se stessi.
Maria Zeno
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