“AGORÀ SPORTIVA” A CURA DI STEFANO CERVARELLI – Quanti campioni sono nati dal calcio in strada!
di STEFANO CERVARELLI ♦
Quanti campioni sono nati dal calcio in strada!
Quello praticato dove c’era un qualunque spiazzo per disputare una partitella e poi per il resto erano sufficienti vestiti vari o i libri di scuola per fare le porte con un gesso per le righe. Non tutte però, solo quelle dell’area perché servivano ad uno scopo ben preciso: stabilire se l’infrazione compiuta rientrava dentro l’area – quindi rigore- oppure no ed evitare così lunghe ed accanite discussioni!
Quante di queste partite abbiamo fatto! Vero giovani adulti che leggete? Con i miei amici eravamo soliti andare a giocare lungo la strada che oggi costeggia il supermercato Dem e che allora chiamavamo “la strada del molino”, per via appunto, del Molino Assisi che sorgeva dove oggi si svettano verso il cielo due grandi torri.
Si trattava di una strada lastricata da sampietrini con l’edificio del molino sul lato mare ed il muro del convento delle suore salesiane dalla parte opposta. Dovevamo stare attenti perché se fortuitamente, il pallone andava a cadere al di là di questo muro le suore non ce lo restituivano più se non dopo lunghe richieste e la promessa che saremmo andati a giocare altrove.
Non volevano che giocassimo li. Non ho mai capito il perché.
Erano i tempi che in quella via non passava una macchina; di giorno vedeva le imprese delle “squadre” di calcio, al calar delle tenebre invece diventava luogo preferito delle coppiette per via della sua, quasi completa, oscurità.
Il calcio di strada! Lì si imparava davvero a giocare a pallone .Lì si imparavano i fondamentali.
Dribbling tra tra i sassi o le buche, controllo del pallone dopo rimbalzi “pazzi” dovuti al terreno sconnesso, misura nei passaggi date le esigue misure del campo (chiamiamolo così). La mia passione è stata sempre fare il portiere ed al pari dei miei “colleghi” non avevo timore a tuffarmi sui sampietrini, sull’asfalto o, nei casi più fortunati, sulla terra. Questo avveniva quando si trovava libero lo spiazzo nella zona dove sorgeva il Grande Hotel, un’area che mutava destinazione ed uso a seconda del gioco che volevamo fare.
Oggi quegli spiazzi non ci sono quasi più e sono sempre meno vissuti come le piazze delle città; luoghi che hanno visto profondi cambiamenti nel loro vivere quotidiano, in particolar modo negli ultimi vent’anni.
Spazi dove i giovani ci sono sempre di meno, frequentati solo per la movida serale. Mentre, dicono gli esperti, sono sempre più frequentati da persone con alle spalle storie di migrazione e un presente sempre più ai margini.
Immaginate quindi con quanto entusiasmo ho appreso la notizia, e tutto quello che ne consegue, che sto per portare alla vostra conoscenza: una storia che ha come palcoscenico strade e piazze e come collante un pallone.
A Reggio Emilia, su iniziativa di un gruppo, abbastanza eterogeneo – street artist, animatori culturali e un consorzio di cooperative sociali che si sono unite – ha ottenendo un finanziamento da parte della Fondazione Mondadori, dando vita, – direi riprendendo vita- un progetto che si basa proprio sul gioco più semplice e diffuso tra i ragazzi: portare un pallone in strada.
Il progetto si chiama semplicemente Leva Calcistica; da maggio 2023 a ottobre 2024 ha realizzato, inserite in un piano di integrazione, venti uscite in diversi spazi pubblici della città, con lo scopo di sperimentare un modello di calcio inspirato all’educazione di strada, riuscendo a creare un microcosmo di relazioni del tutto inattese, ma soprattutto efficaci.
Ma con quale metodo? Il coinvolgimento.
C’è un gruppetto che gioca a torello che consiste in un gruppo non molto folto di giocatori che disposti in cerchio si passano il pallone tra loro All’interno del cerchio c’è un giocatore – o più – che cerca d’intercettare i passaggi e chi sbaglia va m mezzo. Durante il gioco ad un certo punto il pallone viene buttato lontano, apposta ,verso qualcuno che, da un semplice calcio per restituire il pallone, finisce per essere coinvolto nel gioco. Questo il momento più importante perché vuol dire rendere visibile la persona, portarla con gli altri e renderla partecipe.
Il punto focale è questo: la capacità di aggregare, creare relazione. Da qui nasce la necessità che il gruppetto iniziale, tanto per intenderci quello che esegue il torello, sia vario: ragazzi del luogo, migranti (necessari anche dal punto di vista linguistico) gente di tutte l’età e, magari, anche qualche volto noto.
Parlare solo inclusione, però, sarebbe riduttivo perché, tramate un pallone, si affronta anche il problema del modo di vivere gli spazi comuni e la capacità di intercettare situazioni che altrimenti rischierebbero di andare ad ingrossare le sacche di disagio.
Leva Calcistica è un servizio territoriale un poco sui generis, un “meccanismo che vuole fungere da contrasto alla povertà educativa” come viene definito dagli stessi ideatori del progetto: l’approccio, infatti, è proprio di tipo educativo e culturale, di tipo paritario, non calato dall’alto attraverso modi e percorsi paternalistici, che, proprio in questo senso, in certi ambienti, a contatto con certe realtà, mostrano tutta la loro inadeguatezza.
Qui si gioca al calcio, vale a dire un’attività dove la spontaneità domina la scena e di conseguenza, per dirla più semplicemente, da cosa nasce cosa, perché il quotidiano, nelle nostre città, oggi è una nuova pagina della nostra storia ed ha bisogno, molto bisogno, di essere scritta in maniera partecipata.
“Quello di riuscire ad agganciare le persone che vivono ai margini della società – spiega Mohamed Sabri presidente di Inside Migration, una delle cooperative sociali che hanno aderito al progetto ideato dallo street artist reggiano Simone Ferrarini, insieme a Consorzio 45 ,Consorzio Romero e Giro nel cielo – è un tema molto importante, spesso la piazza non è vissuta dagli autoctoni, ma da ragazzi migranti che sperimentano sulla loro palle la marginalità dovuta a tanti motivi, primo fra tutti il problema del lavoro, questo genera paura e trasforma i luoghi”.
Veramente certe attività, certe proposte per essere efficaci hanno bisogno di continuità e anche di una messa in rete che possa agevolare approcci con iniziative analoghe con lo scopo di applicare il progetto ad altre realtà.
Il metodo del quale ho parlato è illustrato in un opuscolo che si trova anche on line con il titolo: Manuale del calcio di strada.
Nell’accordo tra comune di Reggio Emilia e la Reggiana, società calcistica locale, valido per l’affitto dei campi di allenamento è previsto che una quota sia di fatto saldata dal club tramite la realizzazione di progetti speciali sul territorio.
Un aspetto, questo, che ricorda quello che accade in Inghilterra e in Germania dove spesso i club sono impegnati in progetti di responsabilità sociale, destinati alla popolazione dei rispettivi territori.
Certo, un pallone non basta, ma può essere l’inizio di un cambiamento.
Trovate uno spiazzo, una strada dove si possa giocare, spandete la voce e vedrete…...
STEFANO CERVARELLI

Giocare per strada è massimamente liberante e libero, libero dagli orari, dalle genitori, dall’omologazione delle misure e dei regolamenti… E riappropriazione di spazi interstiziali che divengono centrali, riappropriazione della propria stessa città, quindi riappropriazione di sé stessi. Grazie per questo articolo, Stefano! Michele Capitani
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Caro Stefano, tempo fa ho scritto qui della mia passione per il calcio e per la (in)sana passione per l’Inter.
Pur non avendo mai potuto giocare a calcio, con il calcio sono cresciuta e di calcio si è alimentata la mia infanzia e la mia adolescenza.
Poi è rimasta una più pacata passione che si accende di adolescenziale vigore in alcuni momenti topici: finali della Nazionale o della odiosamata Inter , che su quel fuoco butta da tempo secchiate di acqua gelida.
Scherzi a parte, proprio in occasione delle poco meritorie esibizioni recenti della Nazionale, ho detto a chi ha avuto la bontà di ascoltarmi ( una donna che parla di calcio ancora è considerata una “folcloristica dilettante”) che uno dei problemi è il vivaio quindi “il pallone per strada”, sempre più raro, perfino dai Salesiani, da sempre fucina di talenti.
Ai tanti “Nino” -grazie Annalisa- un invito: correte, sporcatevi di terra, sbucciatevi un ginocchio, ma correte:la palla è rotonda quindi vi regalerà traiettorie inaspettate e chissà…un luminoso futuro. O comunque vi sarete divertiti con lo sport che a me sembra “il più bello del mondo”.
Maria Zeno
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