Factfulness: il mondo va meglio di quanto pensiamo (e non ce ne accorgiamo)
di SIMONE PAZZAGLIA ♦
Viviamo in un’epoca in cui l’informazione è istantanea, globale e continua. Eppure, nonostante l’accesso senza precedenti a dati e notizie, la nostra percezione del mondo è spesso distorta, pessimista e irrazionale. Guerre, disastri, pandemie, crisi economiche e ambientali dominano l’agenda mediatica, alimentando un senso diffuso di urgenza e impotenza. Ma quanto di tutto questo riflette fedelmente la realtà? E quanto, invece, è il prodotto di bias cognitivi, narrazioni selettive e istinti evolutivi mal calibrati?
A queste domande risponde Factfulness, un libro illuminante scritto dal medico e statistico svedese Hans Rosling, con il contributo di suo figlio Ola Rosling e di sua nuora Anna Rosling Rönnlund. Il testo si fonda su un’idea tanto semplice quanto rivoluzionaria: il mondo, in molti aspetti fondamentali, sta migliorando. La mortalità infantile è in calo, l’accesso all’istruzione e ai vaccini è aumentato, la povertà estrema si è drasticamente ridotta. Ma noi non lo sappiamo, o peggio, crediamo che sia il contrario.
Rosling non è un ottimista ingenuo. È un realista statistico, che ha dedicato la propria vita a raccogliere dati, costruire grafici, insegnare a leggere il mondo attraverso i numeri. Factfulness nasce proprio da questa esperienza: dalla constatazione che anche le persone più istruite commettono errori sistematici nel valutare lo stato del pianeta, e che questi errori derivano da schemi mentali prevedibili. Il libro non è solo un insieme di dati confortanti, ma una vera e propria guida per difendersi dalla distorsione percettiva attraverso dieci “istinti” cognitivi che falsano il nostro giudizio.
In un momento storico segnato da sfiducia, polarizzazione e ansia diffusa, Factfulness propone un’alternativa concreta: ritrovare la lucidità attraverso la conoscenza. Non per ignorare i problemi del mondo, ma per affrontarli con più realismo, più responsabilità e – sorprendentemente – più speranza.
Perché siamo così pessimisti? – La mente umana tra allarme e distorsione
Uno degli assunti fondamentali di Factfulness è che la nostra mente non è progettata per interpretare correttamente il mondo moderno. I meccanismi cognitivi che ci aiutavano a sopravvivere in contesti arcaici – dove le minacce erano immediate, locali e concrete – oggi si trasformano in distorsioni sistematiche, che ci portano a percepire il mondo come molto peggiore di quanto non sia.
Hans Rosling individua alla base di questa visione distorta una combinazione di bias cognitivi, dinamiche mediatiche e resistenze culturali al cambiamento. In particolare, il bias di negatività – ovvero la tendenza della mente a reagire con maggiore intensità alle notizie negative – gioca un ruolo centrale. È un meccanismo evolutivo: prestare attenzione ai pericoli ha garantito la sopravvivenza dei nostri antenati. Tuttavia, nel mondo contemporaneo, questo stesso istinto ci rende iper-reattivi ai drammi e ciechi ai progressi graduali.
A questo si aggiunge il cosiddetto availability heuristic, cioè il fatto che valutiamo la probabilità di un evento in base alla facilità con cui ne ricordiamo un esempio. Se vediamo continuamente immagini di guerre, disastri naturali e crisi umanitarie, ci sembrerà che siano in aumento, anche quando i dati ci dicono il contrario. I media, per motivi strutturali e commerciali, privilegiano notizie estreme, drammatiche e rare, contribuendo a costruire una rappresentazione iperbolica e sbilanciata della realtà.
C’è poi un’altra componente fondamentale: la nostra difficoltà a aggiornare i modelli mentali. Molti di noi hanno ricevuto un’educazione scolastica in cui il mondo era diviso in “paesi sviluppati” e “paesi in via di sviluppo”, con un netto divario tra ricchi e poveri, moderni e arretrati. Questa visione binaria – che Rosling definisce gap instinct – è oggi superata dai dati, ma resta ancorata nella nostra mente. Quando i fatti cambiano, spesso le nostre idee non li seguono.
Infine, c’è il fattore emotivo. Il mondo è complesso, incerto, difficile da sintetizzare. In questo contesto, la narrativa catastrofista offre un senso di ordine: tutto sta andando a rotoli, e quindi ogni evento conferma il quadro. È una forma di coerenza emotiva, ma non corrisponde alla realtà. Rosling insiste su questo punto: non bisogna negare i problemi – come il cambiamento climatico, le disuguaglianze, le migrazioni forzate – ma contestualizzarli nel quadro di una storia umana che, complessivamente, ha conosciuto progressi significativi.
In sintesi, il nostro pessimismo sistematico non è colpa nostra, ma una conseguenza prevedibile di come funziona il cervello umano in combinazione con l’ambiente informativo contemporaneo. Factfulness nasce proprio per combattere questo disallineamento tra percezione e realtà, e per restituirci – attraverso i dati – una visione del mondo più accurata, meno emotiva, più utile.
I dieci istinti che distorcono la realtà – Quando il cervello ci inganna (e ci rende più pessimisti)
Nel cuore di Factfulness, Hans Rosling identifica dieci “istinti” mentali – cioè schemi cognitivi rapidi, automatici e spesso inconsapevoli – che influenzano negativamente il nostro modo di comprendere il mondo. Non sono errori occasionali, ma modi sistematici in cui la mente semplifica e distorce l’informazione, con effetti profondi sulla percezione collettiva.
- Il Gap Instinct – L’illusione degli estremi
Tendiamo a dividere il mondo in due categorie: ricchi e poveri, sviluppati e arretrati, bianchi e neri, noi e loro. Ma questa visione binaria ignora le sfumature e le aree intermedie, che oggi rappresentano la maggioranza della popolazione globale. Secondo Rosling, oltre l’80% delle persone vive in una condizione intermedia tra povertà estrema e benessere occidentale. Eppure continuiamo a parlare di “Nord e Sud del mondo” come se fosse una linea netta. Questa semplificazione alimenta stereotipi, paure e decisioni mal informate.
Esempio: quando pensiamo a “l’Africa”, immaginiamo automaticamente miseria e guerra, ignorando che molti paesi africani hanno tassi di crescita, scolarizzazione e aspettativa di vita in netto miglioramento.
- Il Negativity Instinct – Il mondo peggiora sempre (o così ci sembra)
Siamo biologicamente predisposti a notare ciò che va storto: il pericolo, il rischio, l’anomalia. Questo ci porta a sottovalutare i miglioramenti lenti, graduali e silenziosi. È il motivo per cui molte persone credono che la povertà globale sia in aumento, quando in realtà è drasticamente calata negli ultimi decenni.
Esempio: solo una minoranza degli intervistati in Europa e Nord America sa che, rispetto a 30 anni fa, oggi muoiono molti meno bambini sotto i cinque anni. Percepire un peggioramento continuo può portare alla rassegnazione e all’inerzia.
- Lo Straight Line Instinct – L’inganno delle linee rette
Quando vediamo un grafico in crescita (popolazione, inquinamento, consumo di energia), tendiamo a proiettarlo automaticamente nel futuro, immaginando una crescita infinita. Ma molti fenomeni seguono curve logistiche, saturazioni, equilibri dinamici.
Esempio: la popolazione mondiale è ancora in crescita, ma sta rallentando. Non continuerà a salire all’infinito. Secondo l’ONU, si stabilizzerà tra i 10 e gli 11 miliardi.
- Il Fear Instinct – Quando la paura prende il controllo
Le emozioni negative, soprattutto la paura, paralizzano la capacità di giudizio. Rosling nota che, quando siamo spaventati, sovrastimiamo il rischio. Attentati, virus rari, disastri naturali fanno più notizia di quanto incidano sulla mortalità reale. Ma la loro presenza nei media li fa sembrare più frequenti e pericolosi.
Esempio: dopo l’11 settembre, molte persone smisero di volare per paura di attentati e iniziarono a guidare. Gli incidenti stradali aumentarono, con più vittime di quante ne avrebbe provocate un eventuale attentato.
- Il Size Instinct – Il numero senza contesto non dice nulla
Un grande numero può impressionare, ma senza proporzione è fuorviante. Sentiamo che “10.000 persone sono morte in una carestia” e pensiamo a una tragedia immane, ma se non sappiamo quante persone vivono in quell’area, o quante ne muoiono ogni anno per altre cause, non possiamo valutare correttamente l’informazione.
Esempio: “Nel 2023 ci sono stati 2.000 omicidi in Brasile.” È tanto o poco? Senza confrontarlo con il numero della popolazione, con gli anni precedenti o con altri paesi, il dato non è interpretabile.
- Il Generalization Instinct – Lo stereotipo che semplifica (e inganna)
Tendiamo a usare categorie rigide e generalizzazioni, spesso senza base empirica. “I musulmani”, “gli africani”, “i giovani”, “i vecchi”, “i poveri” sono etichette che sembrano descrivere, ma in realtà appiattiscono enormi varietà interne.
Esempio: dire che “le donne sono meno portate per la matematica” non è solo falso, ma ignora la grande variabilità tra i contesti culturali e le differenze individuali. Le generalizzazioni sono rassicuranti, ma sono quasi sempre scorrette.
- Il Destiny Instinct – “Le cose non cambieranno mai”
Crediamo che la cultura, la religione, o la “natura” di un popolo siano immutabili. Ma la storia ci mostra che i cambiamenti possono essere rapidi, profondi e imprevedibili. L’idea che “in certi paesi le cose non cambieranno mai” è smentita dai dati sull’istruzione, sulla salute, sulla natalità.
Esempio: negli anni ’60 si diceva che “in Asia le donne faranno sempre molti figli”. Oggi, in molti paesi asiatici, la natalità è più bassa che in Europa.
- Il Single Perspective Instinct – Una spiegazione sola per tutto
Quando adottiamo un’unica lente interpretativa – ideologica, politica, religiosa o culturale – rischiamo di semplificare eccessivamente la realtà. Nessun problema complesso ha una sola causa, e nessuna soluzione funziona sempre.
Esempio: la povertà globale non si spiega solo con la corruzione, o con il colonialismo, o con l’inefficienza. Sono fattori interagenti. Cercare il “colpevole” unico riduce la complessità e ostacola l’azione razionale.
- Il Blame Instinct – Dare la colpa è più facile che capire
Di fronte a un evento negativo, tendiamo a individuare un colpevole preciso, anche quando le cause sono sistemiche. È un modo per semplificare la realtà e ridurre l’incertezza, ma distoglie l’attenzione dai processi strutturali.
Esempio: quando una scuola ha risultati scarsi, si dà la colpa al preside, ai docenti o agli studenti. Ma raramente si guarda alla povertà del territorio, al contesto familiare, alle politiche pubbliche.
- L’Urgency Instinct – Fare qualcosa subito, a tutti i costi
Quando un problema ci appare urgente, sentiamo il bisogno di agire immediatamente. Ma l’azione affrettata può portare a errori gravi. Rosling suggerisce che, spesso, la prima cosa da fare in una crisi è… fermarsi e chiedere più dati.
Esempio: nel caso di epidemie, azioni immediate ma mal progettate possono peggiorare la situazione. Servono sì risposte rapide, ma basate su dati affidabili, non su allarmi emotivi
Questi dieci istinti non sono vizi morali, né segni di stupidità. Sono strategie cognitive evolutive, che hanno avuto una funzione adattiva ma che oggi, in un mondo globalizzato e complesso, possono generare gravi fraintendimenti. Factfulness ci offre gli strumenti per riconoscerli, metterli in discussione e costruire una percezione più aderente alla realtà.
I dati non bastano: serve un nuovo sguardo
Uno degli insegnamenti più profondi di Factfulness è che i dati non parlano da soli. Possono essere disponibili, accurati, aggiornati – ma se vengono letti attraverso lenti deformanti, finiscono per rafforzare i nostri pregiudizi invece di correggerli. Rosling non è un ingenuo “datista”: sa bene che l’informazione statistica può essere manipolata, mal interpretata o ignorata. Ma sostiene – con forza e rigore – che la soluzione non è meno dati, ma più alfabetizzazione statistica e più consapevolezza cognitiva.
Nel libro, Rosling insiste sul fatto che non si tratta solo di imparare a leggere grafici o confrontare numeri. La vera sfida è riuscire a dominare l’impulso emotivo, quell’automatismo che ci fa reagire istintivamente davanti a un numero grande, a una tragedia raccontata in diretta, a una narrazione semplice. Factfulness propone una sorta di “disciplina mentale” che combina competenza statistica e autocontrollo cognitivo. Non basta sapere che il tasso di mortalità infantile è diminuito: bisogna resistere alla tentazione di pensare che un singolo episodio drammatico lo smentisca.
In questo senso, il libro va oltre la divulgazione dei dati. È una proposta educativa, una forma di igiene mentale in un’epoca in cui l’attenzione è contesa, le emozioni vengono monetizzate e la complessità viene compressa in slogan. Rosling invita a sostituire lo sguardo allarmista con quello analitico, non per ignorare i problemi, ma per affrontarli in modo più lucido, efficace, proporzionato.
L’ottimismo di Rosling non è ideologico, ma radicato nei fatti. È l’ottimismo di chi sa che i problemi esistono, ma anche che esistono soluzioni già sperimentate, processi già in atto, dati che mostrano tendenze incoraggianti. È un invito a non cedere al cinismo né al catastrofismo, perché entrambi sono scorciatoie cognitive che bloccano l’azione e giustificano l’inazione.
In definitiva, Factfulness non ci chiede di essere “più positivi”, ma di essere più accurati. Di sostituire l’opinione con la verifica, l’impressione con la comparazione, la reazione con il contesto. Perché vedere il mondo com’è davvero non solo è possibile, ma è anche un atto di responsabilità morale.
Un libro per chi vuole capire davvero – E agire con lucidità
Factfulness è molto più di una raccolta di statistiche o una confutazione delle narrazioni catastrofiste. È una guida metodologica per pensare meglio, una bussola che aiuta a orientarsi nella complessità del mondo contemporaneo. In un’epoca in cui le emozioni guidano le opinioni e la velocità penalizza la comprensione, Hans Rosling ci invita a recuperare lentezza, proporzione e spirito critico.
Il libro si rivolge a un pubblico ampio: insegnanti che vogliono aiutare i propri studenti a distinguere fatti da percezioni; giornalisti e comunicatori che desiderano raccontare la realtà con più equilibrio; policy maker che devono decidere sulla base di dati, non di impressioni; cittadini che vogliono informarsi in modo più solido e meno reattivo. Ma soprattutto, si rivolge a chi non si accontenta di “sentire” com’è il mondo, e vuole imparare a vederlo, misurarlo, capirlo.
Rosling non chiede di memorizzare percentuali o leggere grafici ogni giorno. Chiede qualcosa di più semplice e più profondo: abituarsi a mettere in discussione i propri istinti mentali, riconoscere gli automatismi cognitivi e cercare attivamente il contesto. Anche solo fare una pausa prima di reagire a una notizia, chiedersi “rispetto a cosa?”, o consultare una fonte affidabile è già un passo verso il tipo di pensiero che Factfulness promuove.
Per chi desidera approfondire questi temi, sono consigliabili letture affini come Enlightenment Now di Steven Pinker, che amplia la visione del progresso umano con dati storici e sociali, The Signal and the Noise di Nate Silver, che esplora il rapporto tra predizione e incertezza, e Numbers Don’t Lie di Vaclav Smil, che mostra il potere (e i limiti) dei numeri nel descrivere il mondo.
In un panorama saturo di opinioni, Factfulness resta un invito raro: credere nei fatti, senza rinunciare alla complessità. Perché il mondo ha ancora bisogno di intelligenza, pazienza e visione. E per costruirla, oggi più che mai, serve partire da una verità spesso dimenticata: la realtà è meglio di quanto pensiamo – ma solo se impariamo a guardarla davvero.
SIMONE PAZZAGLIA

Senza dubbio gli “idola” sono meccanismi che influenzano il nostro pre-concetto di vedere il mondo. Il mondo è un nostro apparire e spesso il reale non collima con il nostro a-priori. Un punto fondamentale che incide su tutto questo è l’informazione che ci agita irresponsabilmente.
Un ottimo spunto
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Caro Simone, mi fai riflettere su quanto o nostro vissuti influiscano sull’immagine che ci facciamo del mondo: tendiamo soprattutto ad assolutizzare le esperienze negative piuttosto che le positive. Un capitolo a parte poi lo meritano gli anziani, la cui visione del mondo è enfatizzata dal recinto della TV laddove , negli ultimi anni, o si cucina o si fa “cronaca nera”.
Poi c’è l’invadenza pervasiva di Internet ma qui ci vorrebbe un trattato e ora…vado di fretta ma so che ci torneremo sennò…che pervasività è?
🙂 Maria Zeno
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