Rubrica: Management Pills – Il potere del silenzio. L’arte di attendere (e guidare) senza reagire subito.
di GIANLUCA GORI ♦
In un’epoca dominata dall’iper-connessione e dall’iper-reattività, saper restare in silenzio è diventato un atto radicale di leadership. Saper attendere prima di intervenire, parlare o agire, è oggi una competenza strategica.
La pressione a “dire qualcosa”, a “fare qualcosa subito”, a “dare una risposta immediata” è una trappola che molti leader cadono nel quotidiano. Spesso, ciò che distingue una gestione efficace da una frettolosa è la qualità del tempo che intercorre tra stimolo e risposta.
“Tra stimolo e risposta c’è uno spazio. In quello spazio risiede il nostro potere di scegliere la nostra risposta. Nella nostra risposta risiede la nostra crescita e la nostra libertà.” — Viktor E. Frankl
Silenzio come scelta, non come assenza
In management, il silenzio è spesso frainteso come incertezza, debolezza, mancanza di leadership, non è così. Il silenzio può essere una postura attiva, deliberata, potentemente comunicativa.
Pensiamo alla capacità di non rispondere immediatamente a un conflitto interno, o a non intervenire subito davanti a una crisi apparente. In molti casi, il tempo decanta le tensioni, chiarisce le priorità, rivela ciò che è essenziale.
Come scrive Italo Calvino: “Prendere tempo non significa evitare, ma dare alla realtà la possibilità di manifestarsi.”
L’attesa che ricompone
Ci sono fratture, incomprensioni, resistenze interne che non si risolvono con una riunione o una mail. Hanno bisogno di tempo. Hanno bisogno che le emozioni si sedimentino, che gli attori coinvolti maturino le proprie posizioni. Il manager che interviene troppo presto, spesso aggrava. Quello che sa aspettare, spesso risolve.
Nel suo libro “The Art of Waiting”, l’autrice Belle Boggs esplora l’attesa come una forma di cura, di rispetto per i processi vitali. In azienda, aspettare non significa immobilismo, ma saper rispettare i tempi dell’organizzazione, delle persone, dei processi.
Come scrive Giulio Cesare Giacobbe, psicologo e saggista italiano: “L’ansia è fretta di vivere. Il silenzio, invece, è il tempo che ritorna umano.”
L’efficacia della lentezza
Agire troppo in fretta trasmette ansia, insicurezza, impulsività. Al contrario, quando un’azione arriva dopo un’attesa consapevole, assume un peso diverso: viene percepita come pensata, solida, inevitabile.
Come affermava Sun Tzu, ne L’arte della guerra: “Coloro che sono esperti nell’arte della guerra attendono il momento propizio prima di colpire. Non si muovono a caso.”
Anche nel mondo moderno, la strategia vincente è spesso quella invisibile agli occhi frettolosi.
Manager silenziosi, leadership profonde
I grandi leader sanno osservare, ascoltare, ponderare. Sanno lasciare spazio agli altri per esprimersi. Sanno che la parola più potente è spesso quella non detta. Il silenzio non è l’assenza di comunicazione, ma la sua forma più raffinata.
Come disse Giorgio Gaber: “Il silenzio è una forma di intelligenza quando le parole non servono.”
Conclusione: il tempo come risorsa strategica
Nel management moderno, il vero vantaggio competitivo non è la velocità, ma la profondità. Il manager efficace non è quello che risponde per primo, ma quello che aspetta il momento giusto per farlo.
In un mondo che premia l’urgenza, imparare a non avere fretta è un atto rivoluzionario.
Perché in fondo, come scriveva Primo Levi: “Aspettare è ancora un’occupazione. È non vivere che è insopportabile.”
GIANLUCA GORI

Apprezzo molto questo contributo, proprio vero: in questo tempo orizzontale ed “immediato”, dovremmo riscoprire la verticalità dell’approfondimento, il sapere attendere, la differenza fra informazione e cultura. E tutto ciò chiede tempo, il tempo non è “immediato “, non è solo hic et nunc.
Maria Zeno
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Tace!!
Tace, Fuge, Quiesce. Così gli inizi dell’esicasmo, pratica antica della semplicità dell’essere. Il silenzio rende presenti noi tutti al presente scrollandoci del passato, allentando l’attesa del futuro incerto.
Ghandi voleva una gionata di silenzio. Pitagora ammoniva: il controllo più difficile da fare è il controllo della nostra vivace lingua.
Ogni parola esce dal silenzio e ritorna nel silenzio. Non sporca ciò che giunge dall’esterno ma ciò che da noi fuoriesce. “Poni custodia alla tua bocca”, recita il salmo.
Ma, attenzione!
Se le labbra sono immobili non è detto che il pensiero non agisca. Quanto danno può produrre la parola inespressa? Silenzi pesanti, ipocrisie inespresse apertamente, incapacità di comunicare. Ma se così è allora il tacere è danno! Parla, dunque,non ferire col tacere!!
Solo il cuore silenzioso è capace di un tacere innocuo!
Teresa d’Avila, vaso di sapienza, imponeva alle suore di non pregare col suono delle parole. A che serve pregare con parole? Essere solo alla presenza del Mistero, questa è preghiera . Tace!
Un finale a queste poche espressioni in onore al silenzio. Non custodire il silenzio ma essere custoditi dal silenzio. Perchè le parole appartengono ad un ego,mentre il silenzio vero non appartiene alla egoità ma va al di là di essa. Il silenzio è proprietà dell’eternità.
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