Il vero senso del 25 aprile: libertà, indipendenza, sovranità.
di PAOLO POLETTI ♦
Ogni anno, il 25 aprile torna nel calendario come una ricorrenza. Ma non dovrebbe mai essere solo questo. Troppe volte ridotto a commemorazione rituale o arena per contrapposizioni ideologiche, questo giorno rappresenta invece l’atto fondativo dell’Italia democratica, il giorno in cui ha scelto di essere libera, indipendente e sovrana. È la data in cui si celebra la fine dell’occupazione nazifascista e la vittoria della Resistenza, ma anche qualcosa di più profondo: il momento in cui il popolo italiano ha detto “basta” e ha voluto riprendere in mano il proprio destino.
Non tutti volevano che le cose andassero così. Come spiega bene lo storico Andrea Manzella in un recente articolo, gli Alleati – cioè gli eserciti angloamericani che combattevano contro i tedeschi – pensavano a una Resistenza “controllata” e “contenuta”, fatta di sabotaggi isolati e azioni mordi e fuggi condotte da piccole unità: “sentinelle perdute” da impiegare dietro le linee tedesche. Temevano la formazione di bande partigiane permanenti, difficili da controllare e potenzialmente portatrici di un progetto nazionale autonomo.
Ma la realtà superò i loro piani. La Resistenza italiana prese una strada diversa. Nacquero vere e proprie formazioni partigiane, con migliaia di donne e uomini che, armati o disarmati, scelsero di combattere per la libertà e per un’Italia nuova. Era una scelta non solo militare, ma anche politica e morale. Come disse Ferruccio Parri, uno dei comandanti della Resistenza e futuro presidente del Consiglio, l’obiettivo non era solo liberare l’Italia, ma farlo con “il carattere dichiarato e manifesto di insurrezione nazionale”. La Resistenza divenne dunque molto più di un episodio bellico: fu la riaffermazione del diritto degli italiani a decidere del proprio futuro.
Un momento cruciale avvenne nell’inverno del 1944. Gli Alleati fermarono temporaneamente l’offensiva sulla Linea Gotica[1] e chiesero ai partigiani di interrompere le loro azioni. Ma i partigiani italiani non accettarono. Luigi Longo, dirigente comunista e comandante militare, scrisse una “circolare” (chissà perché questo termine burocratico) in cui affermava con orgoglio: “Caratteristica del movimento partigiano è l’iniziativa dal basso e la solidarietà popolare e nazionale”. Era un modo per dire: la nostra lotta non si ferma, perché è la lotta di un popolo che vuole essere libero (mentre già gli Alleati – USA, Gran Bretagna e Unione Sovietica – disegnavano opposte egemonie per la spartizione del mondo). È l’Italia che si riscatta da sola.
Il valore di quella scelta è stato riconosciuto anche dopo la guerra. Alcide De Gasperi, presidente del Consiglio, nel suo famoso discorso a Parigi del 1946 quando, contro la formulazione «stentata e agra» della «cobelligeranza», rivendicò ricordò il sangue dei “cinquantamila patrioti caduti”, distinguendo l’Italia dei resistenti da quella del fascismo sconfitto. Quei caduti erano la prova che l’Italia aveva saputo riscattarsi da sola, senza delegare tutto agli eserciti stranieri.
Ancora nel 1951, a Strasburgo, De Gasperi parlava di un’Europa libera e unita, fondata sulla collaborazione tra popoli sovrani. Un’idea che era entrata nella Costituzione italiana, all’articolo 11: “L’Italia ripudia la guerra […] consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”.
A proposito della Costituzione italiana del 1948, ricordiamo che proprio grazie alla Resistenza essa poté essere frutto di un libero processo interno (mentre gli Alleati supervisionarono molto da vicino la redazione delle nuove costituzioni di Germania e Giappone).
Il 25 aprile, dunque, non è il passato: è un’eredità ancora viva. In un mondo dove risorgono nazionalismi aggressivi, guerre e ingerenze straniere, ricordare il significato profondo della Resistenza è più attuale che mai. Non si trattò solo di cacciare un occupante, ma di costruire un’Italia libera, capace di scegliere il proprio futuro, con dignità e autonomia.
Come scriveva Benedetto Croce, parlando dell’Italia del dopoguerra, i partigiani erano “pari nel sentire e nel volere a qualsiasi più intransigente popolo della terra”. Non cercavano privilegi, ma dignità. Non volevano dominio, ma pace giusta. Non chiedevano riconoscimenti, ma rispetto.
Quando si festeggia il 25 aprile, dovremmo ricordare che non celebriamo una parte, ma l’intero Paese che ha scelto la libertà. E quella libertà, per dirla con le ultime parole di Franco Balbis, partigiano e ufficiale dell’esercito italiano, fucilato dai fascisti il 5 aprile 1944 al Poligono del Martinetto di Torino: “… è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare.” E aggiunse: “Io muoio, ma l’idea che è in me non morirà mai. La libertà è bella come la vita.”
[1] Linea difensiva tedesca costruita in Italia lungo l’Appennino centro-settentrionale, dal Tirreno all’Adriatico. La decisione degli Alleati era dovuta all’intento di concentrare gli sforzi principali sul fronte occidentale europeo – Normandia, Francia, successivamente Ardenne. L’Italia era diventata, in quel momento, un fronte secondario: l’obiettivo era contenere le forze tedesche piuttosto che rischiare grandi offensive.
PAOLO POLETTI
