RUBRICA BENI COMUNI, 103. LA BUENA EDUCACIÓN (** Viaggiando a occhi aperti)

a cura di FRANCESCO CORRENTI ♦

Nella puntata precedente, avevo raccontato che, essendo stato impegnato in diverse attività che mi avevano impedito di ritrovare materiale illustrativo adatto, mi limitavo a proporre all’attenzione delle care lettrici e dei cari lettori una prima tavola che, insieme alla copertina, enunciava, per così dire, quali argomenti (e in che modo) volevo affrontare.

Non ho detto altro. Neppure che i colori della copertina – la stessa di questa puntata – e la loro disposizione già dicono molto, ripresi come sono dal variopinto abito di Arlecchino: infatti parleremo di molte cose, senza un preciso filo conduttore, in maniera improvvisata, e saranno questioni che a me sembrano bizzarre, fatti stravaganti, cose un po’ ridicole, un po’ grottesche. A volte, peraltro, decisamente riprovevoli.

Certo è implicito un giudizio, una mia personale valutazione. Senza, però, indicare colpevoli ed esprimere condanne. Il monito vien dall’alto: “Chi sono io per…” Tuttavia, sento fortemente la necessità di parlarne agli amici del blog, forse proprio per capire se questo mio modo di reagire, di trovarle un po’ ridicole o grottesche o riprovevoli, quelle cose, dipendono da una mia mentalità superata, viziata da pregiudizi, oppure possono essere condivise e possono stimolare qualche tentativo per cambiarle.

La buona educazione (nel titolo la buena educación, solo per assonanza e senza implicazioni, tanto per non far torto – dopo tanta Francia – all’altra consorella latina) esprime il concetto che, nella maggioranza dei casi, non si tratta di Codice penale ma di Galateo: quelle di cui parlo sono questioni di scarsa attenzione, di cose fatte senza troppo meditare, in qualche caso manca il tatto della buona creanza, il rispetto per le “forme”… Altro discorso, quando dobbiamo constatare che ci sono anche, purtroppo, fatti che non meritano indulgenza, esempi di vera e propria inciviltà. Che non si concilia con l’essere noi, a detta del Palazzo dedicato proprio alla Civiltà Italiana all’EUR, «un popolo di poeti, di artisti, di eroi, di santi, di pensatori, di scienziati, di navigatori (con la recente variante dei navigators), di trasmigratori» (le virgole sono mie), che sono proprio tutte categorie (allora “corporazioni”) necessariamente civilizzate. Non mi addentro sul termine trasmigratori, versione aulica di trasmigranti, ossia emigranti (e sono stati tanti), migranti (dice qualcosa?), profughi, esuli, con le riflessioni opportune e gli obblighi umanitari che ne conseguono.

Nella copertina di questa seconda puntata, ho aggiunto anche l’immagine, non posso dire il viso, di quella che considero a buon diritto una mia “creatura” e, anzi, quasi una mia “emanazione”, cioè l’espressione fisica, materiale, proprio concretamente “espressiva”, del mio stato d’animo di fronte a certi fatti sorprendenti, che mi lasciano così come vedete, attonito, a occhi sbarrati e bocca spalancata. L’ho battezzato “Abock” e dò qualche maggiore notizia nella nota 1. Nella figura 103/1, invece, ho voluto rappresentare i due casi estremi di comportamenti anomali e superficiali ma comunque dannosi, uno di lieve entità, dovuto a scarsa attenzione, l’altro al contrario che costituisce un grave esempio di inciviltà, di tipo molto diffuso. Il luogo in cui entrambi i fatti si sono verificati è la sede comunale ovvero il Palazzo del Pincio, più in particolare l’Aula consiliare intitolata al primo sindaco eletto democraticamente dopo la Liberazione, Renato Pucci. Anch’essa una mia “creatura”, questa quale edificio da me progettato e diretto nella realizzazione.

Vedo con piacere e soddisfazione che quella costruzione e il suo spazio interno, realizzati da marzo 1996 a maggio 1997 (l’inaugurazione il 1° giugno), sono ormai sentiti come luoghi emblematici della Città. L’aspetto architettonico è interiorizzato da tutti – probabilmente con maggiore o minore “simpatia” – senza che susciti lo scandalo e il disappunto iniziali per non essere affatto simile allo “stile” del Palazzo comunale, nato nel 1930-31 come «Casa del Balilla», la scuola di educazione fisica voluta dall’O.N.B. (Opera Nazionale Balilla), divenuta alla fine del ’37 sede della G.I.L. (Gioventù Italiana del Littorio) e utilizzata dal dopoguerra per sede comunale, data la distruzione di quelle storiche. Per l’acquisto della palazzina, lo schema del bilancio di previsione predisposto dalla Giunta (è la terza amministrazione Pucci, frontista, e il progetto è datato 2 maggio 1961; vedi nota 2) per l’esercizio finanziario 1961 prevedeva all’art. 152 la somma di lire 30.000.000. Da notare che nello stesso bilancio, parte straordinaria, erano previste anche altre spese per le opere pubbliche (con mutuo) che ci aiutano a comprendere la situazione generale della città:

  • 149 – Spesa ricorrente relativa alla costruzione e sistemazione delle vie e piazze (elevata da £. 4.000.000)………………………………………………………………………………. £. 7.000.000
  • 150 – Contributo del Comune per l’acquisto dell’area per l’erigendo Ospedale Civile di Civitavecchia……………………………………………………………………………… £. 1.000.000
  • 151 – Concorso nelle spese di progettazione della strada Terni-Viterbo-Civitavecchia (N.d.FC: la Trasversale Nord ancora oggi incompleta!)………………………………… £. 500.000
  • 152 – Acquisto palazzina ex Gil attualmente sede comunale……………… £. 30.000.000
  • 153 – Acquisto area (esproprio) da destinare alla costruzione dello edificio postale in Via G. Bruno………………………………………………………………………………………… £. 10.000.000
  • 154 – Spesa per la costruzione di alloggi per i senza tetto………………….. £. 100.000.000
  • 155 – Acquisto di aree da destinare a zona industriale………………………. £. 10.000.000

L’assenza di manutenzione costante o almeno saltuaria ha consentito la crescita e il rigoglioso espandersi di una pianta rampicante, la Parthenocissus quinquefolia, più nota come “vite americana”, che ormai ricopre interamente il lato grande verso mare e i due minori adiacenti dell’ottagono, abbarbicata alle scabrosità dei blocchetti rosa delle pareti. Ne dà una descrizione perfetta il catalogo in rete <Le tue piante. Garden center online> della Azienda Agricola Tempesti Stefania di Pistoia: «Le giovani foglie sono verde chiaro, divengono più scure d’estate per assumere magnifiche tonalità rossastre in autunno. Con i primi freddi le foglie cadono per spuntare nuovamente nel mese di aprile.»

L’aspetto, quindi, è gradevole, in certi periodi suggestivo, ma queste piante, come pure l’edera (Hedera helix), sono giustamente dette anche «infestanti» e devono il loro nome «al fatto che si sviluppano in maniera estremamente veloce, praticamente su tutte le superfici, anche se apparentemente impervie. Basta infatti una piccola fessura sul rivestimento esterno degli edifici, per creare un ambiente ideale per la germinazione di semi portati dal vento e dagli insetti. L’umidità all’interno di queste crepe funge da nutrimento alle viarie piante infestanti, che possono crescere indisturbate per anni. Il problema è che, mentre si sviluppano le piante, si sviluppano anche le loro radici, che insinuandosi sempre più nelle strutture degli edifici, allargano le fessure già esistenti (nelle quali si infiltra l’acqua piovana), provocando anche il distacco di materiali.» Insomma, «tanto belle a vedersi quanto nocive per gli edifici: queste piante riescono ad attaccarsi ai muri grazie a piccole ventose che aderiscono con forza all’intonaco e ai rivestimenti, danneggiandoli e quando vengono staccate, questi risultano irrimediabilmente rovinati».

Eliminare quella pianta dalle superfici esterne della Sala consiliare sarà un’operazione non semplice, in quanto, una volta estirpate accuratamente le radici, non solo andranno ripristinate le strutture e gli intonaci rovinati, ma si dovranno adottare tutte le accortezze necessarie affinché il problema non si ripresenti. Sarebbe stato opportuno, per tali aspetti, che gli uffici comunali avessero dato ascolto, quando (come dg di UCITuscia) ricordavo le “Prescrizioni” (le chiamerei anche “raccomandazioni”) lasciate per iscritto – da ultima, la relazione datata 13 dicembre 2013 – dalla sapiente restauratrice della Fontana di Papacqua al Comune di Soriano nel Cimino, uno dei Comuni del nostro Prusst. In primo luogo, quella di sottoporre sistematicamente la Fontana e le altre opere d’arte restaurate, a periodici trattamenti di manutenzione con biocida ed erbicida. Altrimenti, si torna daccapo.

Ma qui interrompiamo il discorso, rinviandolo alla prossima puntata. Buona Pasqua!

Nota 1
Prima di essere Abock, si trattava di un oggetto in terracotta, un manufatto prodotto da un vasaio, lavorato in argilla al tornio, in forma di cono allungato a base circolare, quasi un imbuto simile ad un altoparlante o megafono, sulla cui estremità più stretta è innestato un cilindretto sagomato, quasi un’ampolla a fondo semisferico, con la sua anima vuota in comunicazione con l’interno del cono attraverso un foro sul fianco, nel punto di innesto. L’aspetto complessivo è quello d’un grosso imbuto a gomito, come lo sbocco di un piccolo pluviale o un comignolo a sfiato orizzontale. Perché questo è, infatti, il nostro oggetto: uno sfiatatoio o esalatore o gorgogliatore, da applicare al foro (detto in Toscana “cocchiume”) che c’è sulle botti o alla botola dei tini. A fermentazione terminata, sempre in Toscana, nelle Marche e altrove, si applica nel foro il “tappo colmatore”, un congegno in vetro (la cui invenzione è attribuita addirittura a Leonardo da Vinci), il quale permette di tenere il vino al colmo, rabboccandolo quando cala e limitando il contatto con l’ossigeno dell’aria, evitando così l’ossidazione e il formarsi d’aceto.
Abbiamo acquistato il nostro esemplare, Paola ed io, in uno dei tanti soggiorni marchigiani negli anni Sessanta e Settanta, quando contemporaneamente ci occupavamo del Teatro “Feronia”, al mercato settimanale di San Severino Marche, l’antica Septempeda, in piazza del Popolo (altra cosa è Mercato San Severino, comune campano in provincia di Salerno, e così ovviamente Mercato Saraceno in Emilia-Romagna, provincia di Forlì-Cesena). Non siamo riusciti a saperne il nome popolare o tecnico, neppure con ricerche più recenti. Divenuto un soprammobile, tra oggetti di svariate provenienze intercontinentali (!), ha ricevuto presto – per gioco, a svago e stimolo dei nostri figli – il dono degli occhi (non è certo se anche della vista), come pure altri oggetti. Questo perché, frequentando per finalità entomologiche il negozio della ditta Gruppioni, laboratorio di tassidermia, all’arco di via Sant’Agostino tra piazza delle Cinque Lune e corso Rinascimento, di cui era già cliente mio padre in anni anteguerra, mi ero fatto una piccola scorta di occhietti in vetro, quelli che essi usavano appunto per certe loro “preparazioni”. Ci eravamo divertiti ad applicarli a varie cose, come certi miei recipienti per esperimenti di chimica, una storta in vetro (tipo alambicco) – divenuto così un buffo pachiderma – e qualche matraccio, poi, appunto, il coso coniforme, che così assumeva una vaga somiglianza con quei famosi personaggi di “Carosello”, Carmencita e il Caballero del caffè Paulista, scaturiti dall’incontro (1958) tra Emilio Lavazza e Armando Testa. Solo che quelli avevano le espressioni necessarie a rappresentare i loro vari stati d’animo mentre il nostro coso manteneva sempre con fermezza il suo aspetto sbalordito. Che così rappresentò in modo perfetto la mia grande sorpresa e la conseguente infinita delusione, dopo l’imprevedibile, naufragio per cause “endemiche” apprese a posteriori, della domanda di partecipazione al bando dell’avviso pubblico “Valorizzazione della Memoria Storica del Lazio” presentata attraverso altri soggetti. Che non avevano però allegato alla stessa la “descrizione del progetto”, inavvertitamente o per dimenticanza o per un errore di trasmissione della PEC, senza poi dirlo! A saperlo subito, forse si sarebbe potuto rimediare. Impossibile farlo dopo che il verbale pubblicato a conclusione dei lavori della commissione regionale dichiarava che la nostra domanda era l’unica non ammessa perché priva di progetto.
A lungo, appresa la questione dagli atti del sito regionale, ho manifestato sul mio profilo Facebook le mie reazioni affrante con l’immagine di Abock, che battezzai così come eco dell’esclamazione che mi sfuggiva dalla gola a ripensarci (sul modello del civitavecchiese «Apò») e specchio della bocca a O (l’O di cotto!) del “pupazzo” laterizio, forse pure come reminiscenza della collana di libri che mio padre mi aveva mostrato nel suo studio quando frequentavo la prima Media, scritta da Americo Scarlatti (pseudonimo di Carlo Mascaretti), edita a Torino dalla UTET dal 1918 al 1934 e dal titolo Et ab hic et ab hoc, pubblicata in 12 volumi, ciascuno dedicato ad un genere di amenità o curiosità, con una frase di introduzione: «Quando conveniunt Domitilla, Sybilla, Drusilla, Sermonem faciunt et ab hoc, et ab hac, et ab illa. Gunprecht ad Erasmum» (mi risulta una nuova edizione nel 1988).
 
Nota 2
La Giunta PCI-PSI, in carica dal 1960 al ’64, era così composta: sindaco Renato Pucci, vicesindaco e assessore LL.PP. e Urb. Giovanni Massarelli, Spartaco Arcadi, Fernando Barbaranelli, Archilde Izzi, Agostino Masaracchia, Renato Piendibene, Michele Agueli, Matteo Caputo. Segretario generale Antonio Stranges, Ragioniere capo A. Orioli.  
Il passaggio al Centro Sinistra dopo le amministrative del ’64, il precedente abbandono della politica da parte di Pucci – deluso dalla mancata candidatura al Senato dell’anno prima – e la volontà del PSI di avviare nuove e diverse alleanza, hanno portato all’elezione a sindaco, alla fine di dicembre 1964, di Giovanni Massarelli. Nel suo volume “Una città in bilico”. 50 anni tra cronaca e storia, Civitavecchia, giugno 2010, pp. 57-70, la descrizione obiettiva di quel periodo di tensioni e di passioni, con la «tumultuosa riunione consiliare» per quella votazione, i suoi retroscena locali e nazionali e l’insorgere sia pure temporaneo di inimicizie personali, in quel panorama provinciale che rappresentava spesso il banco di prova di esperimenti e di equilibri di maggiore livello.

FRANCESCO CORRENTI