RUBRICA BENI COMUNI, 99. IL 3 NOVEMBRE DI AILATI: IDEE, FOTO E DISEGNI DI UN REDUCE DELLA “GRAN VERA” NEL 1919 (TERZA PARTE)

a cura di FRANCESCO CORRENTI ♦

 

(5 – continua dalla puntata precedente)

Ho interrotto il mio racconto, la settimana scorsa, dopo aver riferito ai Lettori che mio padre, a Santa Maria la Longa, in corpi e ruoli diversi, fu un commilitone di Giuseppe Ungaretti, e che, lì stesso, ebbe modo, più volte, di incontrare il capitano Gabriele D’Annunzio, nei suoi spostamenti presso i vari corpi d’armata per sollevare il morale delle truppe e far giungere messaggi propagandistici in Italia e all’estero. Il termine “commilitone” – che trovo antiquato e mi suona quasi come un falso accrescitivo – ha come sinonimi “compagno d’armi” e “camerata”, a loro volta con significati e usi specifici, lontani dalla quotidianità dei nostri tempi, qui in Italia, a parte quelle “adunate” in cui il secondo riecheggia con una accentuazione dell’appartenenza politica e del riferimento al passato. Che resti tale.

In ogni caso, il clima letterario e le affinità poetiche evocate da quelle vicinanze, penso trovassero in Nino Correnti (Nota 2) forti corrispondenze. Con la differenza “abissale” tra la poesia ungarettiana di tre parole e il diluvio di versi del siciliano, che si esprimeva contemporaneamente in tanti altri generi letterari, dalla commedia alla narrativa, dal giornalismo alla fitta corrispondenza con i familiari. La sua esuberanza, del resto, si manifestava soprattutto nella facilità di comunicazione con superiori e soldati e si traduceva, come ho detto, nel disegno umoristico e nella fotografia, che in quegli anni aveva il carattere avvincente del reportage autobiografico, specchio veritiero della vita quotidiana nelle trincee e nelle retrovie, vita allegra e scanzonata proprio a esorcizzare lo spettro onnipresente della morte. Credo fosse una pratica frequente, quella delle fotografie, dato che ho trovato in rete una pubblicità del tempo che reclamizzava appunto un «apparecchio tascabile Kodak» di cui «dovrebbe provvedersi ogni ufficiale e soldato».

Un armadio della sua biblioteca (disegnata da lui stesso), che è ancora presente nella mia casa, accoglie gli album di fotografie dell’intera esistenza, testimonianze preziose non solo di fisionomie e vicende famigliari ma soprattutto di avvenimenti, costumi e situazioni di luoghi e tempi oggi di grande interesse storico e sociale. Sette sono gli album fotografici degli anni di guerra, decorati da nastrini e medagliette, ciascuno di 25 pagine per un totale di oltre un migliaio di scatti. Ne do qualche immagine nella figura 99/3, in cui il Lettore può vederne una copertina e alcune pagine, qualcuno dei disegni di abbellimento e vari oggetti-ricordo, come la piccola urna d’alabastro con la «Terra del Carso», un binocolo, un soprammobile celebrativo della «PAX». Molte fotografie hanno subito in questi anni alterazioni o sono scolorite. Provvederò a restaurarle, ma per fortuna, molti anni addietro, quando lo stato di conservazione era buono, avevo scansionato gran parte delle pagine degli album. Di souvenir di quell’esperienza così incisiva e memorabile, peraltro, mio padre me ne ha lasciati diversi, oltre ai suoi racconti di episodi vissuti, di pericoli corsi, di ferite e malattie avute, sullo sfondo di scenari ed eventi storici, che ho ascoltato fin da bambino. Imparando anche a conoscere i luoghi di allora, dove mi ha portato (Trento e Trieste, il Piave, il Carso, Redipuglia, Monte Grappa…) e i nomi di persone, che mi ha fatto conoscere di persona, come il “suo” colonnello Achille Sirchia, di Cagliari, divenuto generale, con il quale gli scambi di lettere, di doni e di visite si sono protratti “fino all’ultimo”. Conservo proprio nella biblioteca un pregevole artistico scrigno (giunto intorno al 1960), al cui interno una piccola busta indirizzata a papà racchiude un biglietto autografo che dice: «Cagliari, ? / Caro Nino, ti prego gradire questo modesto oggetto quale mio ultimo ricordo terreno e in memoria della nostra più che fraterna amicizia. / Tuo Achille». Altri tempi, altri sentimenti…

Tra i tanti ricordi conservati, che quindi sono giunti anche ai miei figli e nipoti, la giacca della divisa da allievo ufficiale e l’elmetto ammaccato dalla scheggia d’una granata scoppiata a pochi passi, che uccise il suo attendente, e innumerevoli documenti cartacei ben ordinati cronologicamente in cartelle sospese nelle mie cassettiere. Ed anche cose ancora in uso, come il baule d’ordinanza per il vestiario, in tela e bandelle metalliche, dove in campagna son riposti certi attrezzi del giardino, e un altro in legno dipinto color verde bandiera e le iniziali A.C., poggiato a terra accanto al caminetto, che prosaicamente usiamo per tenerci i ciocchi di legna da bruciare. Dato il carattere allegro e spiritoso di papà, dimostrato anche da qualche foto della figura 99/3 e della 99/4, credo che non sarebbe dispiaciuto dell’uso attuale di quel reperto militare. Altro oggetto conservato con devozione è il “Calamaio ricordo” (foto in basso), opera e dono d’uno dei suoi soldati, realizzato con proiettili, schegge e altri residuati. Ho inserito nelle figure anche immagini che visualizzano argomenti di cui ho parlato ed un dettaglio d’uno dei molti scaffali della biblioteca con i suoi libri sulla Grande Guerra (e altrettanti sulla Seconda), cui si aggiungono le mie acquisizioni recenti. Per dare un quadro della produzione letteraria del giovane tenente, mi affido all’elenco che egli stesso ha compilato nelle pagine introduttive de “I 3 novembre di Ailati (Italia)”, la “Fantasia Drammatica in un Prologo e tre Atti – Epoca Moderna” di cui ho ripreso il titolo per questa puntata plurima della rubrica. Trascrivo l’elenco (i numeri dopo “vv.” sono quelli dei versi dei componimenti):

Opere dello stesso autore pubblicate

Il giuramento di Pontida – scherzo drammatico in un atto, prosa e versi, vv. 1089, carnevale 1912

La festa di ballo – lavoro satirico in versi, vv. 237, novembre 1912

Tra fischi fiaschi – idem, vv. 758, marzo 1913

Storia di un duello – romanzo satirico, maggio 1913

I miei compagni – biografie in versi ricordo del 3° Liceo, vv. 429, luglio 1913

Maestri e donni – biografie in versi ricordo dei professori, vv. 320, luglio 1913

Arcadia moderna – raccolte di versi, vv. 212, luglio 1913

Gilda di Vaqueiras – commedia in cinque arti in versi, vv. 6.128, ottobre 1913

Angiola Maria – dramma dialettale in quattro atti, febbraio 1914

Ghiselda d’Altura – melodramma in quattro atti, vv. 1.832, maggio 1914

48 ore sull’Etna – resoconto della gita a cratere centrale, luglio 1914

Fiori di passione – versi primo volume, vv. 3.200, agosto 1915

Fiori di passione – versi secondo volume, vv. 3000, agosto 1917

Il 2° Regg.to della “Catanzaro” – opuscolo-ricordo pel reggimento, Trieste, dicembre 1918

Leggende di guerra – novelle ed episodi, aprile 1919

Le favole e le note di CRA – poesie e versi satirici, vv. 830, luglio 1919

In corso di pubblicazione:

I dardi! – Articoli politici, 1920

Dal Pasubio a San Giovanni di Duino – tre anni con la Catanzaro – cronistoria, 1920

La pace, il disarmo, la Società delle Nazioni – diritto internazionale, tesi di laurea, 1919

Il Fox trotte – un atto, 1919

Il biglietto d’ingresso – commedia in un atto, 1919

Il portasigarette – id. id., 1919

I 3 novembre di Ailati – tragedia in quattro atti – vv. 4470, 1919

L’eroe – racconto, 1919

Solo! – novella, 1919

Quarta velocità – commedia in un atto, 1919

Cose dell’altro mondo – leggenda, 1919

Signori, si ride!! – commedia in tre atti, 1921

Il mestiere di Pandaro – id in un atto, 1921

La Doganeide – versi, vv. 456, 1921.

Passiamo ai fogli del manoscritto del dramma, le cui pagine iniziali sono riprodotte nella figura 99/5. I fogli sono a righe, nel formato protocollo. Sul frontespizio, in alto, il nome dell’Autore, o meglio il suo pseudonimo, che del nome (e cognomi: Antonino Correnti Raciti) è un anagramma: Renato Toraccini Nirnito. La data: 12-19 dicembre 1919. In un piccolo ottagono, il motto che manterrà sempre, riportato sulla carta da lettere, addirittura serigrafato sul cristallo circolare del lampadario dello studio (aveva, con molti anni di anticipo, una forma simile a quella dei dischi volanti le cui apparizioni mi appassioneranno negli anni Cinquanta, tanto da riempire vari quaderni di ritagli dei giornali con le notizie degli avvistamenti): ET MIHI RES NON ME REBUS SUBJUNGERE CONOR.  (Quintus Horatius Flaccus, Epistulae, I.1.19). Trascrivo le pagine successive:

«Prefazione

Legato da un sentimento di amicizia più che fraterna con Renato Toraccini, vedendo in lui quasi la mia stessa persona, non è la prima volta che mi assumo l’incarico di sottomettere alla censura del pubblico i suoi lavori. Ben so di essere assolutamente profano d’arte e di stilistica e molto al di sotto per la cultura alla mediocrità della gente: come tale, il mio compito si riduce a quello dell’amanuense, copiando i prodotti che la mente fervida e fantasiosa di Renato mette fuori con una rapidità che ha dell’ammirevole e del prodigioso.

L’infelice mio amico, che dalla più rosea età fu colpito dal più crudele dei mali, la follia, nei momenti di lucido intervallo, scrive, scrive, scrive appassionatamente. Non può modificare le sue cognizioni letterarie, non può allargare le sue conoscenze storiche ed artistiche, perché, passati quei momenti di ispirazione, ricade nell’abbattimento più brutale, nel più completo abbandono di sé: i suoi scritti perciò risentono della più onesta innocenza, della più pura e genuina invenzione, senza orpelli di forma, senza fioriture volute e ricercate. In essi la sua anima si sente aliena da ogni estraneo contagio, vibrante della sua infausta passione: il suo cuore palpita con la sincerità dei fanciulli e canta come i primordiali bardi, per i quali il fantastico si confondeva col soprannaturale.

Ed io che conosco la sua anima franca e sincera e la sua mente acuta e indagatrice, che ne apprezzo gli slanci sublimi ed eroici, che ne animano l’intelligenza e la versatilità, plurimorfa e fluidissima, che ne comprendo gli ascosi dolori e le profonde aspirazioni, m’assumo volta a volta l’incarico di coordinare il numeroso volume di scritti che egli, come torrenziale uragano, rovescia in pochissimi giorni: me ne assumo l’incarico con la devozione sacra del profano che tocca le reliquie di un santo!                  

                                                                                      Avv. Nino Correnti

A tutto ciò che dall’ala del tempo non viene scalfito

a tutto ciò che dalla corruzione non viene maculato

a tutto ciò che dalle passioni in tempesta non viene travolto

al solo, al vero, all’unico, inestinguibile amore

all’amore che i genitori nutrono

per i germogli del proprio sangue

questo lavoro è dedicato

Profano, macchiato di colpe, impuro, mentitore, sacrilego

se la tua coscienza non è nitida come un cristallo di Venezia,

pura come un diamante

serena come una vasca d’olio

non aprire il mio libro.

Se non sei scevro di colpe, come l’anima è priva di ogni spoglia mortale nel gelido Lete

non sfogliare le mie pagine

scritte con la penna dell’eternità, intinta nel sangue del giovane cuore squarciato!

Memento e discostati!

Il ribrezzo delle tue colpe, celate, ti porterebbe al suicidio!

  1. Toraccini.»

«Al Pubblico

L’Autore, lacero e cencioso, si presenta al pubblico ed animato da quella franchezza che è la sua vera dote, parla:

 

Madonna che sorpresa, che visi stralunati!

Vi fo tanto spavento? Vi ho terrificati?

Scusatemi per questo, amabili signore

e signori carissimi: io sono l’autore.

Sì, sì! Non c’è da ridere: dovreste applaüdire

dato che mi presento con sì sicuro ardire.

Capisco che purtroppo moltissimi scrittori

infestano le stanze con i loro lavori,

sciocchi, leggieri, inutili, vuoti ed inconcludenti

dove l’amante geme, dove fischiano i venti,

dove l’amico inganna, dove il nembo s’aduna,

dove i ladri non rubano col chiaro della luna,

dove si fa del chiasso… ma io signori belli,

ve lo dico sincero: no, non sono di quelli!

Oppur lo sono… insomma, lo sei o non? direte

voialtri giustamente … Provatemi e vedrete!

Solo, dal vostro aspetto, m’accorgo che ho sbagliato

presentandomi prima: così sarò fischiato.

Però per quell’amore, padre del mio lavoro

e che voi certamente nutrite verso l’oro …

pardon, che dico… verso le vostre donne buone,

io spero che vorrete prestarmi l’attenzïone.

La mia presenza misera, il viso mio barbato

certo che non depongono in bene del mio stato…

ma ora, in due parole io vi dirò chi sono

cercando di calmare e di pigliar col buono.

Non sono tanto giovane, né questa mia mania

è sorta in un momento! La tarda fantasia

il sottoscritto, o amici, compose il primo verso

saranno quindici anni: non ho lo stile terso,

limato del poeta perché nel mio passato

ben poche cose ho letto e poche ne ho gustato:

non ho grande cultura e come tutto il gregge

mi sono finalmente addottorato in legge.

A sedici anni appena mi sono innamorato

e fino a ier per questo son stato disgraziato

seguendo a perdifiato, seguendo come un pazzo

l’amore mio infelice, che mi recò strapazzo.

Per la mia donna bella ma di tutta virtù

sofferto ho molto, misero, ma inutilmente fu.

Scrissi dei drammi lunghi, i miei minuti persi,

scrivendo fino ad oggi un ventimila versi,

ispirati ad amore e dedicati a lei

per cui tutto me stesso sacrificato avrei;

ma il destino crudele non mi volle donare

la mano sua e, triste, versai lacrime amare!

Dopo quattr’anni interi, passati combattendo

tra ansie e tra perigli, ferite ognor soffrendo,

 fui destinato alfine in un distaccamento

dove aspettavo il giorno del mio congedamento.

Ma il fato ancora volle beffarsi del meschino

e mi vibrò nell’alma un colpo acuto e fino.

Pazzo, demente, folle per l’infelice amore,

dimenticai ben presto il senno ed il valore

di ragionare a fondo, e in mezzo alla follia,

combinai, miei signori, una corbelleria!

Successe un finimondo: tutti mi bistrattarono

ed in una stanza diaccia, chiuso mi relegarono.

Solo, senza un conforto, in quella stanza tetra

divenne ancor più pazzo il cuore mio di pietra.

Come passare il tempo, lungo, pesante, uguale

in quella stanza fredda, deserta, sepolcrale?

Unici miei compagni dentro la mia prigione

furono la mia follia, la mia disperazione!

Avevo della carta, tenevo un calamaio

e mi son posto a scrivere questo dannoso guaio.

Come torrente gonfio, che scorre a tutto andare

la testa traboccava di mie parole amare,

e in 5 giorni soli, velocemente ho fatto

questo lavoro mio, lavor da vero matto!

Ho cercato di fondervi la vita mia d’allora,

le cagioni del male che mi rattrista ancora

e combinato il tutto con certi avvenimenti,

cui non si pensa e i quali son forse travolgenti!

Ripeto, non cultura, non fine intelligenza

posseggo e la mia opera risente la carenza

di questa due virtù, che bramo ma non tengo!

Però che c’è di male? Lo stesso me ne vengo

dinanzi al vostro volto, sereno e ben cosciente

d’aver fatto un lavoro sciocco ed inconcludente.

Solo, sostengo sempre, con alta voce e franca

che la mi’ alma è netta, la mia coscienza bianca,

e nutro un grande amore, fortissimo, possente

per un trino perfetto, come il sole splendente:

tre cose, tre parole, che come faccio io

l’adorate voi pure: patria, famiglia, Dio!

Ed or da voi desidero, care persone buone,

il vostro orecchio amico e la vostra attenzione

pensando che quest’opera è stata solo scritta

dallo sfogo d’un’anima atrocemente afflitta,

pensando che fu scritta da un derelitto core

che nacque, visse, scrisse, perciò languì d’amore!

 

                                                      (l’autore si ritira)»

                                     

La figura 99/6 riproduce tutti i “bozzetti dei costumi” dei personaggi disegnati dal tenente Nino Correnti. E sono proprio questi disegni che mi sono sembrati notevoli, spiritosi e significativi, tanto più in quanto opera d’un avvocato senza una formazione scolastica artistica, per cui ho voluto farli conoscere agli Amici del Blog e, se sarà possibile, ad un pubblico più vasto. Il contenuto della «fantasia drammatica», per come l’ho interpretata, rispecchia il clima del tempo e le riflessioni di un giovane reduce di guerra, dopo quattro anni terribili e indimenticabili (Nota 3), ma ne riporto solo alcune parti, da leggere considerando le mie premesse, tralasciando in questa sede gran parte dei 4470 versi contenuti nelle 168 fitte pagine del manoscritto. Chiudo con l’elenco dei personaggi:

«Le persone del dramma

Takipàchi                (Vittorio Emanuele III)                       – leone – imperatore di Ailati

Parvè                      (Io)                                                        – cigno – Guerriero

Ortàgora              (Vittorio Emanuele Orlando)            – leone – Capo dei bianchi

Brompèba              (Giolitti)                                                – coccodrillo

Kumbela                (Malatesta)                                      – sciacallo – Capo dei rossi

Xucsù                     (Misigno)                                             – serpente a sonagli – Rosso

Scialy                     (Don Sturzo)                                       – corvo – Capo dei neri

Tàkso                      (Ing. Luzzatto)                                    – pescecane – Nero

Iulo                         (Nitti)                                                    – tricheco –

Làmio                       (Mutilato)                                             – scoiattolo – Guerriero

Bramatipu              (Cadorna)                                           – asino – Gran maresciallo

Funfufu                  (Porro)                                                 – ippopotamo – Maresciallo

Asa                          (L’Ufficiale effettivo)                          – talpa – Vice-maresciallo

Pipòn                       (Il borghese)                                       – coniglio –

Brapèd                   (L’uomo delinquente)                        – vampiro – Malfattore

Rámpelo                 (Il falso Amico)                                   – lupo – Amico di Parvè

Ahmara                   (La mia fidanzata)                             – oca – amata da Parvè

Melù                        (La donna ideale)                              – aquila – amante di Parvè

Tìgera                     (La suocera)                                       – arpia – madre di Ahmara

Cemia                      (Mio suocero)                                     – pellicano – padre di Ahmara

Cekòy                     (Il marito)                                             – barbagianni – amante di Ahmara Altabet                                        – cerbiatto – Trombettiere

Tix                                                                                         – cavallo – Corriere

Jolìtepa                                                                               – canguro – Medico

Tenchi                                                                                  – giraffa – Capo delle guardie

Streghe

Giraffe, sparvieri, lupi, asini, leoni, cigni, tigri, talpe, conigli, sciacalli, corvi, scoiattoli, serpenti, foche, vampiri, cavalli, volpi, galli ecc. ecc.»

 

E con ciò concludo la mia trascrizione. Il manoscritto è a disposizione di chi voglia leggerlo per intero ed eventualmente (un’idea?) intenda rappresentare il dramma sulle scene.

 

Nota 2

A completamento delle notizie biografiche date nelle puntate precedenti, devo qui ricordare, per dovere filiale, che l’intera vita di “Nino” è stata da lui dedicata agli ideali cui era stato indirizzato dal padre, dal nonno e dal bisnonno, carbonari, patrioti e garibaldini, oltre che animatore e promotore di iniziative di alto valore sociale e umanitario in tragici frangenti del mondo e dell’Italia e nei mesi dell’occupazione nazista di Roma, con fortissimo rischio personale, garantendo rifugio sicuro e mezzi di sopravvivenza a famiglie e persone della Comunità Ebraica ed a ufficiali non aderenti alla Repubblica di Salò (ho predisposto la documentazione per il suo riconoscimento quale Giusto tra le Nazioni), in accordo con il Vicariato di Roma. Con decreto del Comando Civile e Militare della Città di Roma e suo territorio situato in zona di guerra / Fronte della Resistenza, gli è stato tributato un encomio solenne con la motivazione: «Durante l’occupazione tedesca in Roma, animato da elevati sentimenti patriottici, sfidando la sorveglianza della sbirraglia nazi-fascista, si prodigava coraggiosamente per la causa della resistenza, aiutando validamente le organizzazioni clandestine sorte per la liberazione della Patria oppressa. Settembre 1943 – Giugno 1944».

Nota 3

Cronologia sintetica:

1918, 15-22giugno: battaglia del Piave.

1918, 24 ottobre: Vittorio Veneto.

1918, 3 novembre: firma dell’armistizio a Villa Giusti. Le truppe italiane entrano a Trieste, a Trento e in altre città dei territori liberati. A Trieste, oltre ai Bersaglieri, che sbarcano per primi dal cacciatorpediniere “Audace”, giunsero altre truppe per organizzare la nuova amministrazione della città. Tra queste, anche la Brigata “Catanzaro” con i due reggimenti, 141° e142°, e la compagnia mitraglieri 1208 di Antonino Correnti, che prende alloggio in una Caserma che viene intitolata al patriota Guglielmo Oberdan.

1919, gennaio: continua la permanenza a Trieste della compagnia di Antonino Correnti, che scrive per il giornale ‘U Simpaticuni di Paternò, di cui è condirettore, una serie di “Lettere triestine”. In seguito, la compagnia (?) è trasferita a Rossano (Cosenza), dove Nino Correnti dirige i lavori di un gruppo di soldati per restaurare un piccolo convento abbandonato. Nel frattempo prepara la tesi di laurea, incontrando il relatore durante alcune licenze.

1919, 25 gennaio: la conferenza di pace di Parigi accoglie la proposta di Wilson di istituire la Società delle Nazioni, organizzazione sovranazionale a salvaguardia della pace mondiale.

1919, 24 aprile: Orlando e Sonnino abbandonano la conferenza di Parigi.

1919, 22 giugno: Gabinetto Nitti.

1919, 12 settembre: D’Annunzio entra a Fiume.

1919, 21 ottobre: Antonino Correnti discute la sua tesi di laurea in diritto internazionale La pace, il disarmo, la Società delle Nazioni, presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Catania. A novembre consegue l’abilitazione alla professione di procuratore legale e di avvocato e nel 1920 si iscrive all’Ordine degli Avvocati di Catania.

1919, 11 novembre: data della lapide posta da Nino Correnti nel piccolo convento restaurato a Rossano. La ferma si conclude ai primi del 1920.

1919, 12-17 dicembre: Nino Correnti scrive la “fantasia drammatica” I 3 novembre di Ailati.

 

N.B.:

Dato che Rosamaria Sorge, nel suo commento del 13 febbraio alla prima puntata, ha parlato della foto di suo padre giovane con il principe Umberto di Savoia, ne ho messo a mia volta una analoga, di mio padre giovane con Umberto di Savoia ed un’altra con Arturo Ferrarin (Thiene, 13 febbraio 1895-Guidonia Montecelio, 18 luglio 1941), divenuto celebre in tutto il mondo nel 1920 per il raid aereo Roma-Tokyo (18.000 km in 30 tappe, per 112 ore di volo, alla velocità media di 160 km/h) che poi, dopo altre imprese aviatorie, morirà a Guidonia per un guasto all’aereo durante un collaudo. La foto è stata scattata giusto un secolo fa alla Gare de Modane, la stazione ferroviaria internazionale in Savoia di raccordo e scambio tra la rete ferroviaria francese e quella italiana (linee che raggiungevano Paris Gare de Lyon da una parte e dall’altra Bardonecchia, Torino e Milano). Anche l’altra immagine, con il principe ereditario, è più o meno di quegli anni. Di passaggio in quella località di frontiera dove la comunità italiana è numerosa, Umberto deve essere sceso per un programma già concordato e viene accolto dal sindaco francese della cittadina e da altri, tra cui mio padre, ispettore capo della Dogana italiana, con cui scambia evidentemente parole di circostanza.

(Rosamaria in 13 febbraio 2025 alle 9:00 ha detto: «Anche io penso spesso ai miei strambi genitori e in una nicchia sul letto ho la foto di mio padre con il principe Umberto di Savoia, l’unica foto di mio padre giovane e forse l’unica foto in generale pertanto la tengo dentro questa nicchia scavata nell’intercapedine con il palazzo limitrofo (cose che solo noi architetti facciamo) anche se sono mille miglia lontana dalle idee di mio padre e dalle sue frequentazioni.»)

FRANCESCO CORRENTI                                                               (5 – fine)