LETIZIA
di CARLO ALBERTO FALZETTI ♦
Era in grazia del tuo nome che si spandeva serenità . Era in grazia della tua capacità nel creare mondo che io potevo immergermi in luoghi a me ignoti. Era in grazia della tua anima curiosa che io avevo accesso ad una armonia attraente.
Fu al Naviglio che avvenne l’inizio.
Il vento soffiò d’improvviso lungo il canale e le acque che stagnavano presero ad agitarsi. Sembrava un prodigio, in quella ardente estate milanese.
A tavola, lungo le sponde, scoprimmo che eravamo nati nello stesso giorno, nello stesso mese, più o meno nelle stesse ore seppur di anni differenti. Un mistero siderale ci connetteva. Parlasti del Rebis (Res-bis, il doppio) frutto delle nozze chimiche fra il mercurio che ti rappresentava e lo zolfo che mi apparteneva. L’amore ha facile gioco a porsi quale agente trasmutativo quando unisce due metalli che già presentano spiccate affinità elettive. Cominciasti a manovrare con le tue formule di ghimatria ed io disincantato sorridevo quando affermavi che la somma dei valori numerici delle lettere del termine unità (ehad) ed amore (ahavà) fosse la stessa e, dunque, amore equivaleva a dire “unità”. Osannavi la casualità e la ammantavi con la rigida Necessità della Qabbalah a cui la tua cultura apparteneva. Un fuoco mentale ti divorava e come un grande magnete mi attirava verso il suo centro. Volevi apparirmi come la mia unica “guida dei perplessi”.
E non desistevi: “ E’ il Piacere , di cui porto fieramente il nome (laetitia), a rendere la mente migliore. Altro che quella petulante masochistica tua cristiana valle di lacrime! Il vero scopo dell’esistenza non è il rifiuto del mondo, la mortificazione della carne, ma conoscere se stessi conciliando gli opposti che sono in noi. Per me significa accettare l’ animus maschile e per te l’anima femminile. E se mi debbo esprimere con più familiarità dovrei dire: unire, in me, le tre sephirot maschili ed unire in te le tre sephirot femminili. Ritornare un nuovo intero: l’Uno, il Tutto. Ricorda: in principio, bereshit, era l’Amore, non altro!”
Finimmo in libreria. Mi riempisti dello Zohar, della mistica di Scholem, del Talmud, di Moshe Idel .Cosa avresti fatto di me, profano irredimibile, se il futuro ci avesse visto uniti?
. . .
Ora ti sono di nuovo accanto, dopo anni.
Ancora una volta il caso! Osservo il tuo volto violentato dal tempo, le labbra appassite, il nero dei tuoi riccioli scomparso. Mi stai fissando inebetita ma i tuoi umidi occhi non mi stanno vedendo. Quale tempo stanno contemplando, mia antica soror mystica? Amavi l’Amore, ricordi? Ti sfioro la mano e provo solo gelo. Non una parola, nessun segno di riconoscimento.
Una mano si posa sulla mia spalla. Mi volto ed una signora in bianco mi fa cenno con la testa dissuadendomi dal proseguire.
Sono ora a passeggiare col mio scoramento ed ecco, all’improvviso, mi ritrovo ancora al Naviglio. Non c’è nessun vento, ora, ma solo immobilità. E uno odioso olezzo pervade l’aria. E un senso di cloaca va trasformando questo canale. Non c’è alcuna trasmutazione, nessun fuoco mentale riesce a smuovere questa assurda inerzia. Parlavi di una Pietra Filosofale, ricordi Letizia? Dove è andato il tuo Ein Sof, il senza fine? Davvero si è solo ritirato per concedere spazio all’Uomo col risultato, alla fine, di lasciare te così smarrita in questa desolazione? O forse tutto quanto era solo l’ombra di un sogno che ci sovrastava ? Che c’è di degno in questo Naviglio ove non alita più alcun vento?
CARLO ALBERTO FALZETTI

Carlo, quali tristezza pervade ulteriormente il tuo animo?
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Conosco la sofferenza di vendere qualcuno o qualcuna che non ci sembra più essere lei o lui. Mio padre mi ha riconosciuto fino alle sue ultime ore. “Papà” era una chiamata che lo ha sempre riportato anche per pochi secondi alla realtà. Una volta mi disse: “io volevo passare la mia vita insieme a te” chissà in quel momento dove e con chi credeva di essere, io mi sono sempre detta che sì, quello è un tipo di amore che può anche essere univoco, mi bastava continuare ad amarlo io, ricordando chi fosse lui anche se non lo scorgevo più. Diceva bene il poeta, gli occhi seppur offuscati, sono sempre stati la guida. Ora mi manca, lo amo ancora, lontano lontano.
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Meditazione profonda sull’amore, il tempo e la ricerca spirituale che si conclude con una nota di disillusione e nostalgia. Letizia è l’ideale perduto, e il Naviglio è il simbolo di un mondo che ha smarrito il suo significato. E’ un invito a riflettere sul senso della vita e sulla fugacità delle esperienze umane. Bello!
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L’En Sof ci riacccoglierà, il corpo è solo manifestazione temporanea dell’energia che l’anima è.
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