RUBRICA BENI COMUNI, 97. QUELLA VECCHIA SCRIVANIA

a cura di FRANCESCO CORRENTI ♦

Quella vecchia scrivania ia-ia-o

Non la volle Pisapia ia-ia-o

Era vecchia, vecchia, ve-ve-vecchia

Quella vecchia scrivania ia-ia-o

Messa in fondo a un magazzino ia-ia-o

Destinata a esser bruciata, ciata, cia-cia-ciata

Fece pena all’architetto ia-ia-o

Che dal rogo la salvò: ia-ia-oh!

L’assonanza del titolo della puntata con una delle canzoni più orecchiabili della nostra vita di telespettatori (Nota 1) mi ha indotto all’esordio “cantabile” che riassume e rende conto del breve dialogo a distanza svoltosi tra profili Facebook nei giorni scorsi. La pubblicazione sulla pagina di CivitaVecchia e le VecchieCittà di una foto, tra altre dell’Archivio Gianni Tassi (figura 1), d’un podestà di Civitavecchia (Francesco Cinciari, Ilario Cordelli, Ernesto Del Greco?) seduto ad una scrivania attorniato dai suoi collaboratori negli anni Trenta, mi ha fatto ritornare d’un balzo al mio primo giorno di servizio a Civitavecchia e poi a tutti quelli seguiti al lavoro di “piccolo scrivano”, che in effetti di pagine manoscritte, dattiloscritte e digitate in vari modi ne ha al suo attivo davvero tante, in questi ultimi cinquantasei anni.

Ad accogliermi nel prendere servizio – quale vincitore del concorso per il posto di Urbanista – presso la sede del Pincio del Comune di Civitavecchia, in quella mattina del 16 febbraio 1969, oltre ai modi bruschi dell’ingegnere capo Domenico Pisapia (presto trasferitosi a Grosseto), furono la signora Palmira Cardarelli Priviero, il signor Memmo Bizzarri, i geometri Ezio Conti e Fabrizio Ferrari, l’usciere capo (e presto amico informatore sulle perdite dell’archivio comunale, dal nome che evocava la Civitavecchia anarchica) Libero Urbani, l’economo (Aldo Pepi, Berardi, Celani?). Dopo un lungo colloquio con l’Ingegnere e in attesa di presentarmi al sindaco Archilde Izzi e all’assessore Osvaldo Cercelletta, come prima sistemazione, mi venne assegnato un angolo della stanza del geometra Ferrari, quella al centro verso la piazza (il “piazzale”) lungo il corridoio, entrando a sinistra, dell’ufficio tecnico.

A quel punto, la signora Miretta, mi ha condotto dall’Economo che a sua volta mi ha pregato di seguirlo e insieme abbiamo raggiunto un magazzino. Mi sembra di ricordare che fosse nell’ala detta “dell’ex INAPLI” (cercavo di memorizzare queste nuove cognizioni e i nomi e diminutivi delle persone) ma non sono troppo certo dei miei ricordi. Comunque, siamo entrati in un locale dove erano accatastati diversi mobili, vari armadi, sedie e alcune scrivanie di tipo abbastanza moderno (Nota 2), ma che non mi piacevano troppo per il colore del legno. In un angolo, ho subito notato un’altra scrivania, vecchiotta, chiaramente malandata, ma di aspetto per me gradevole, di legno scuro, il piano con i bordi arrotondati, tre cassetti per lato ed uno centrale, sotto ad una tavoletta-scrittoio estraibile. Ho detto subito che era quella che mi sembrava più adatta alle mie esigenze ed ai miei gusti. L’Economo ne fu stupito: «Ma quella – mi disse con un leggero sussiego –  la stiamo per buttar via! Lo vede, è proprio vecchia, bruttarella, ha vari danni, e poi…», non terminando la frase.

La mia conferma della scelta deve avere anche confermato in lui qualche dubbio sul buon senso degli architetti, una figura professionale allora poco presente a Civitavecchia, a dispetto della storia antica e malgrado i progettisti del Piano regolatore e di alcuni progetti, tutti però forestieri o non residenti in città. Il senso di quella frase interrotta, mi fu spiegato qualche tempo dopo dal geometra Ferrari, con il quale feci presto amicizia.

Era un socio attivissimo dell’Associazione archeologica “Centumcellae” e quindi in ottimi e frequenti rapporti con mio suocero Mario Moretti, archeologo e soprintendente per l’Etruria Meridionale. Nei momenti di pausa e nei sopralluoghi, Fabrizio Ferrari fu lieto di soddisfare le mie prime curiosità in fatto di antichità e belle arti della città, che conoscevo solo in parte dato che la mia tesi di laurea era in pianificazione urbanistica (io dicevo “in town-design”) e avevo seguito superficialmente quella coordinata di Paola in restauro dei monumenti. E così mi spiegò che quella ora mia scrivania si diceva provenisse dal Grand Hotel delle Terme, recuperata dalle sue macerie, ed era stata a lungo la scrivania del precedente Ingegnere Capo, una persona integerrima e di grande professionalità, e tuttavia…

Qui devo aggiungere anch’io gli stessi puntini di prima… aggiungendo anche, però, che da questa rivelazione non ho tratto alcuna conseguenza, nel senso allora atteso nell’ambiente. Mi sono tenuto la scrivania, ci ho lavorato sempre per tutti i quasi quaranta anni di servizio, portandomela dietro nei vari traslochi che le vicende dell’ufficio hanno comportato e qui ne mostro la lunga vicenda comune nelle tante illustrazioni delle due figure con date e richiami “storici”. Dopo la prima sede al Pincio, il primo trasloco fu nella nuova sede, realizzata con qualche scandalo dei benpensanti nel vecchio casale (con stalla) abbandonato del futuro parco pubblico che – proprio in quel periodo, tra il 1970 e il ’72 – avevamo acquisito alle proprietà del Comune, incamerando i terreni dell’antica Vigna Antonelli, con il suo viale dai 100 pilastri, che immediatamente mi diede da pensare e che avrei poi scoperto essere un tratto dell’Aurelia Nova traianea. Così per molti anni, fino al trasferimento nella sede a monte della “Mediana”, nel quartiere GesCaL, davanti alla chiesa di Gesù Divino Lavoratore, in quella piazza che in seguito riuscirò a far intitolare al mio docente di urbanistica, ideatore del quartiere e autore del PRG, il professor Luigi Piccinato. Nel ’97, nuovamente al Parco della Resistenza, ma mantenendo la sede “Piccinato”, utilizzata dal ’99 al 2006 per l’Ufficio Consortile Interregionale della Tuscia e le progettazioni con i giovani borsisti del PRUSST.

Finché, avvicinandosi il pensionamento e parlando con Vittorio Colasanti (persona straordinaria, capace di risolvere sempre al meglio le frequenti emergenze della casa comunale), mi è stato detto che non vi era alcuna difficoltà a portarmela via, dato che nel Comune non avrebbe avuto altri estimatori, sostituendola con altra. Avevo avuto il piacere di lavorare con Bonarino Loru, che già aveva a suo tempo espresso le sue doti di artigiano-artista nella chiesa di San Pietro Battista e Compagni Martiri Giapponesi al tempo di Lucas Hasegawa e, nel ’96-97, per attuare il mio progetto della nuova Aula Consiliare “Renato Pucci”. Quindi gli chiesi di realizzare, a mie spese, una replica perfetta della scrivania. Cosa che gli fece e che io compensai doverosamente, lasciando la replica integra e senza i danni e i tarli dell’altra nell’ufficio del Parco, come pattuito con l’Economato (Nota 3).

Un’ultima sorpresa ha riguardato la scrivania bis, rimasta in quell’ufficio, all’origine sistemato e arredato in modo che era stato molto apprezzato proprio dai miei Maestri di urbanistica, Luigi Piccinato, Renato Amaturo e Nico Di Cagno. Mi riferisco al fatto ben evidenziato nelle due fotografie in basso alla nostra sinistra nella figura 2, di essere stata oggetto di qualche rito superstizioso, questa volta forse non per l’antico utilizzatore, ma per la mia damnatio memoriae… La scrivania è stata incastrata nel vano dov’era ai miei tempi il ripiano della macchina da scrivere della signora Miretta Cardarelli, con le zampe tornite orizzontali puntate verso la finestra sul parco, coperta dal mucchio dei cuscini azzurri del sedile per il pubblico e l’una e gli altri nascosti da grandi fogli di cartoncino rosa tenuti insieme da strisce di scotch e da punti metallici. Mi riferiscono i colleghi che quella strana sistemazione era stata opera di un bi-assessore temporaneo e di un altrettanto temporaneo dirigente. Mi vien da dire: beati Loru…

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Nota 1

Su Internet possiamo riascoltare il grande successo Nella vecchia fattoria, cantato, in una puntata di “Studio Uno”, dal Quartetto Cetra. Il brano è un adattamento in lingua italiana, opera di Giovanni (Tata) Giacobetti per il testo e di Gorni Kramer e Virgilio Savona per la musica, del canto popolare inglese Old MacDonald Had a Farm del 1706. La canzone divenne popolare in Italia nel 1949, quando il Quartetto Cetra pubblicò la versione tradotta Nella vecchia fattoria sul 78 giriNella vecchia fattoria/La lampada di Aladino”. A differenza dell’originale, nella versione italiana ogni strofa si alza di un semitono rispetto alla precedente. La canzone è stata interpretata successivamente dal Piccolo Coro dell’Antoniano. La versione classica del Quartetto Cetra fu usata anche come sigla dell’omonima trasmissione condotta da Giorgio Celli e andata in onda su Rai 3 dal 17 giugno al 2 settembre 1991.

Questo il testo originale: «Nella vecchia fattoria ia-ia-o / Quante bestie ha zio Tobia ia-ia-o / C’è la capra, capra, ca-ca-capra / Nella vecchia fattoria ia-ia-o / Attaccato a un carrettino ia-ia-o / C’è un quadrupede piccino ia-ia-o / L’asinello-nello-ne-ne-nello / C’è la capra, capra, ca-ca-capra / Nella vecchia fattoria ia-ia-o / Tra le casse e i ferri rotti ia-ia-o / Dove i topi son grassotti ia-ia-o / C’è un bel gatto, gatto, ga-ga-gatto / L’asinello-nello-ne-ne-nello / C’è la capra, capra, ca-ca-capra / Nella vecchia fattoria ia-ia-o […]»

Nota 2

Eravamo, nel settore dell’arredamento, all’inizio della moda dei mobili “svedesi” (comprendente la produzione danese), molto lineari e con elementi a montaggio “fai da te”. Negli uffici, la classica serie di mobili in stile “fratino”, massicci e scomodissimi, che vediamo nelle fotografie degli interni della Rocca e dell’ex Municipio divenuto Casa del Fascio, cedevano il posto – tranne che negli studi notarili e legali – a mobili più confortevoli, generalmente in legno di faggio, con sedute imbottite di varia fabbricazione. Diffusi erano i contenitori metallici (della ditta Buffetti, che aveva il monopolio dei “Registri” e stampati vari). Avevano però grande successo, allora (anche nel Comune di Civitavecchia), le scrivanie modello “Arco” o “Spazio”, progettate nel 1963 dallo Studio BBPR per Olivetti Arredamenti. BBPR era una società costituita a Milano nel 1932 dagli architetti (al tempo famosissimi) Gianluigi Banfi, Lodovico Barbiano di Belgiojoso, Enrico Peressutti ed Ernesto Nathan Rogers. Il disegno delle scrivanie, con parti componibili ed elementi aggiungibili, rispondeva ai nuovi concetti della prefabbricazione introdotti anche in altri campi. La base metallica poteva essere svitata. Supportava una superficie di scrittura e due piedistalli che si aprivano su tre cassetti. Il piano di questa scrivania era realizzato in bachelite, una plastica utilizzata nella prima metà del XX secolo per le sue proprietà isolanti e resistenti al calore. Con il marchio sotto la parte superiore e sotto le gambe: “OLIVETTI ARREDAMENTI METALLICI”. Queste scrivanie oggi sono considerate “antiche in stile vintage”, con il loro aspetto industriale, sono un classico del design degli anni Sessanta.

Nota 3

Bonarino Loru ha realizzato, come suo omaggio all’Amministrazione, anche una elaborata scrivania in legno massiccio, con un bellissimo stemma del Comune intagliato, uguale a quello fatto per la postazione del Sindaco nell’Aula “Pucci” secondo il mio progetto.

FRANCESCO CORRENTI