Ho visto un film : “Diamanti” di Ferzan Ozpetek

di MARIA ZENO

A dire il vero, parecchi sono i film che da sempre vedo, un giorno o l’altro vi parlerò di Come eravamo  ai tempi del Cineclub 21, che molti di voi ricordano.

Stavolta, però, mi è venuta voglia di scrivere di questo film del 2024, che da oltre un mese gira nei Cinema anche cittadini, ma che soltanto ieri sono riuscita ad andare a vedere.

Diamanti mi è piaciuto, a dire il vero verso il finale mi ha anche commosso; premetto che mi piace la cinematografia di Ferzan Ozpetek, ho amato Le fate ignoranti e soprattutto La finestra di fronte, quindi sono andata al Cinema ben disposta a vedere un buon film.

Ho trovato interessante il ricorso, soprattutto all’inizio ed alla fine, ad una sorta di metalinguaggio: il regista che allestisce l’idea del suo film davanti ai futuri attori ( anzi, attrici, ben  18!) di per sé ha almeno un illustre precedente teatrale, IL precedente, i sei personaggi di Luigi Pirandello, quindi non è la novità che mi ha colpito, ma piuttosto la garbata mitezza con cui il Regista presenta la sua idea di film, senza anticipare troppo, ma semplicemente ( semplicemente?) annunciando un film di donne.

Il canovaccio, all’apparenza così esile, è l’idea stessa del film il suo plot narrativo, perché di stoffa si tratta, anzi di trame preziose e di sartoria teatrale e cinematografica ad altissimo livello.

Da questo punto di vista, è un film ricco, anzi sontuoso, che riporta all’epoca delle produzioni fastose, Il Gattopardo, per intenderci (riferimento sotteso in tutto il film, come uno dei fili di tessitura preziosi), intrigante nella sua ambientazione in una  Casa di Mode di altri tempi: lunga teoria di stanze, arredi importanti, angoli di ritiro segreti, cucina enorme come quella delle vecchie fattorie avite, e soprattutto la misteriosa stanza dei bottoni di ogni tipo, misura, materiale: bottoni contenuti in centinaia di cassetti, in cassettiere di legno dal sapore antico, quello delle vecchie e ormai inesistenti mercerie.

La stanza di bottoni è, per definizione , un luogo simbolico: da quei cassetti che vediamo alle spalle delle attrici in una delle scene più importanti del film si avverte quasi la tensione dei pensieri, delle idee, la fantasia creativa che, in mezzo a tante stoffe ricche, trova l’espediente geniale dagli incarti delle caramelle, anch’esse iconiche; ricordate la rossa-rossana, che non viene peraltro esplicitamente citata , ma il cui involucro è a tutti noi talmente noto da parlare da solo.

Le trame non sono solo quelle dei vestiti, delle stoffe, ma sono le stesse vicende umane delle protagoniste: la donna con il figlio hikikomori, quella maltrattata dal marito, quella che non riesce ad elaborare il lutto della perdita della figlia, la protagonista-manager chiusa in una rigida armatura di comando che finirà per sgretolarsi.

Trovo significativo che il prodotto finale del film sia un capolavoro della manualità, della collaborazione e della complicità fra donne e che sia frutto della pazienza con cui si cuce una storia, in fondo la vita di ognuno.

E non ho potuto fare a meno di pensare ad Aracne e a Penelope, la cui tela stavolta giunge a piena realizzazione.

MARIA ZENO