Quanto guadagna il CEO? Una riflessione sulla sperequazione e l’ingiustizia sociale.

di ROBERTO FIORENTINI ♦

Noto per le sue dichiarazioni forti e spesso controverse, che tendono a generare accesi dibattiti, Carlos Tavares anche nel 2023, si è confermato il manager più pagato in Italia, secondo il report Pay Watch de “Il Sole 24 Ore”, che analizza le retribuzioni dei dirigenti delle società quotate in Borsa, comprese quelle con sede legale all’estero. Il CEO di Stellantis, che si è appena dimesso, ha percepito lo scorso anno una retribuzione di poco superiore a 23,47 milioni di euro. Su questo tema è ormai quasi proverbiale la vicenda di Valletta. Negli anni Cinquanta il mitico capo della Fiat Vittorio Valletta aveva portato il suo stipendio a 12 volte quello dei suoi operai. Oggi lo stipendio di un operaio metalmeccanico alla Fiat Stellantis è di circa 1700 euro mensili, poco più di 22.000 euro l’anno. Quindi lo “stipendio” di Tavares è pari a quello di 1066 operai.
Una curiosità: cosa significa CEO?
L’acronimo CEO significa Chief Executive Officer, che in italiano si traduce come Amministratore Delegato (o Amministratrice Delegata). È il ruolo più alto all’interno di un’organizzazione aziendale e rappresenta la posizione di maggiore responsabilità operativa.
Secondo la 27esima edizione dello Spencer & Stuart Board Index, nel 2021 l’80 per cento degli amministratori delegati delle società quotate sul Ftse Mib ha percepito uno stipendio superiore al milione di euro. In particolare, il 16 per cento ha ricevuto un compenso superiore ai cinque milioni di euro. Sulla questione vale la pena ricordare quanto diceva Adriano Olivetti«Nessun dirigente, neanche il più alto in grado, deve guadagnare più di dieci volte l’ammontare del salario più basso». Tanto che arrivò a criticare il suddetto Valletta che guadagnava “ben” 12 volte i propri operai.
Negli Stati Uniti si parla di “pay gap” per riferirsi alla differenza salariale. Dal 2018, per tutte le aziende quotate è obbligatorio trasmettere questo valore alla Sec, la Consob americana. Secondo l’American Federation of Labor nel 2020 la retribuzione media degli amministratori delegati delle aziende quotate allo S&P 500 è stata di 299 volte superiore a quella mediana dei lavoratori. Questa comunicazione obbligatoria mostra che le autorità statunitensi si sono rese conto del problema etico e sociale rappresentato dalle eccessive remunerazioni dei vertici aziendali. Nel contesto americano è infatti apparso come uno scandalo il caso di Kevin Clark, Ceo della società di componenti automobilistici Aptiv PLC, che con i suoi 31,2 milioni di dollari ha guadagnato 5.294 volte lo stipendio mediano.
Il fenomeno della crescita delle diseguaglianze è globale, riguarda cioè tutti i Paesi. Non è una caratteristica esclusiva dell’Occidente e del capitalismo tradizionale. Le diseguaglianze crescono anche Oriente, anche là dove c’erano una volta i paesi socialisti. Le diseguaglianze sono aumentate in modo vistoso in Russia e ora anche in Cina.
Ma per venire a noi, ovvero alla questione dell’enorme distanza che esiste tra le retribuzioni dei manager e quelle dei lavoratori dipendenti dalle stesse aziende, nell’ambito di questi processi una delle cose che colpiscono è la crescente divaricazione tra profitti e salari in generale. Il problema delle grandi diseguaglianze di reddito tra i lavoratori e i manager delle aziende segnala prima di tutto una mancanza di democrazia nelle relazioni industriali. Sono sempre i vertici a decidere in modo autoreferenziale, a prescindere quasi sempre dai risultati concreti che si ottengono. La situazione dipende strettamente dal ruolo del potere dei manager di cui sopra, che rende di fatto quelle retribuzioni come un elemento fisso e incomprimibile. Addirittura molti manager hanno super-bonus nella misura in cui riescono a ridurre la massa salariale pagata complessivamente. Ecco, al top della retribuzione, l’azione sindacale può purtroppo fare ben poco, se non cercare di porre sempre più l’attenzione in modo da invertire quelle norme sociali pro-ricchi di cui dicevo prima. Il principale ruolo sarebbe dell’azione pubblica che dovrebbe porre una serie di misure vere per combattere la presenza di rendite nei mercati. Le super-retribuzioni sono sempre il frutto di rendite dovute a una distribuzione diseguale del potere fra manager e azionisti e lavoratori.
Questa breve analisi delle remunerazioni dei vertici aziendali richiede necessariamente un approccio critico. Innanzitutto bisogna ricordare che una banca o un’azienda sono comunque un fattore sociale perché la loro patologia colpisce creditori e dipendenti, oltre agli azionisti. Quindi eccessivi stipendi distraggono risorse a una gestione responsabile. Secondo un report di Mediobanca il compenso medio di un top manager è di oltre 36 volte il costo del lavoro: ciò significa che servono 36 anni di paga di un qualsiasi dipendente nella stessa azienda, per guadagnare quanto guadagna in appena un anno il suo dirigente apicale. La disuguaglianza è enorme, così come le sperequazioni. Inoltre oggi in Italia i lavoratori guadagnano meno di 30 anni fa: secondo le ultime rilevazioni Istat, i salari e gli stipendi di operai e impiegati sono diminuiti del 2,9% in termini reali, cioè come potere di acquisto, mentre nel resto dell’Europa sono aumentati (ad esempio in Germania e in Francia sono cresciuti di un terzo). E tutti sanno che se i salari diminuiscono e l’inflazione sale, la povertà aumenta. Già oggi i lavoratori poveri sono circa il 15% del totale: guadagnano meno di 800 euro al mese. Anche per questo si sta pensando all’introduzione del salario minimo, come prevede una direttiva dell’Unione Europea che però tocca agli Stati attuare, e l’Italia non lo ha ancora fatto. C’è poi la questione del Gender Pay Gap, che sarebbe troppo complicato affrontare in questa sede ma che riveste una grande importanza anch’essa.
Ci troviamo in una fase storica in cui le disuguaglianze sociali, create dalle teorie economiche del liberismo, sono aumentate dagli anni ottanta del secolo scorso. Una fase storica che ha prodotto due serie crisi economico-finanziarie, una pandemia e una flessione della globalizzazione. Una fase che ha evidenziato l’urgenza della transizione ecologica per la salvezza del pianeta e dei suoi abitanti.  Tutto questo richiede nuove politiche economiche e assestamenti geopolitici, oltre a ingenti risorse. Rivedere le remunerazioni dei top manager di banche e imprese ha quindi una ragione economica ma anche etica non più differibile ma certamente di non facile realizzazione.
ROBERTO FIORENTINI
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