“CHE AMBIENTE CHE FA” DI LUCIANO DAMIANI – LA COP IL TRAMONTO DI UN SOGNO
di LUCIANO DAMIANI ♦
Anche la COP 29 ha infine chiuso i battenti, battenti aperti con un pessimo auspicio, anzi tre. Il primo, forse quello più decisivo, é l’avvento dell’era Trump, a quale ‘ordine mondiale’ sul clima si possa tendere, senza l’apporto della più grande potenza economica e politica del mondo, proprio non si sa, é dato per scontato che il negazionismo americano sottrarrà gli USA agli accordi sul clima. Questo vuol dire che verranno verosimilmente meno gli apporti finanziari e politici alla strategia globale della riduzione delle emissioni di gas serra, detta in modo diverso alla riduzione dell’uso delle fonti fossili come sorgenti di energia. La posizione americana potrebbe spingere anche altri paesi, per convenienza o per opportunismo politico, verso il rilancio del fossile o quanto meno verso la negazione della responsabilità antropica rispetto al clima. Altro cattivo auspicio é il perdurare delle guerre che coinvolgono direttamente il mondo occidentale. Da un lato pare decisamente ipocrita parlare di clima e nel contempo produrre armi in quantità e partecipare in qualche modo ai due conflitti che chiamano in causa direttamente il mondo occidentale che si pone come trainante nella lotta per il clima. Il terzo é il fatto che questa COP é ospitata dall’Azerbaigian che segue quella ospitata dagli Emirati, due partecipanti che vivono di gas e petrolio, entrambe oggi come oggi, fondamentali per l’economia europea a seguito della guerra russo-ucraina. All’apertura della precedente conferenza, il Sultano Al Jaber ha detto che senza le fonti fossili “si tornerebbe alle caverne”, il presidente Aliyev, all’apertura della 29ma Conferenza, ha detto che “petrolio e gas sono doni di Dio”. Il ruolo dei paesi ospitanti le COP é quello di mediare e guidare gli accordi, ruolo assolutamente determinante, ed é quantomeno curioso che questa funzione venga affidata a certi paesi. Ci sarebbe da chiedersi se queste due designazioni non siano frutto di una qualche strategia o se siano meramente casuali, ma é difficile da credere che in queste cose il caso possa metterci lo zampino, decisamente poco credibile. Certo, ogni deduzione ed ipotesi rientra però nel campo della fantapolitica. La decisione sul prossimo paese ospitante é stata presa con il Presidente Lula già inquilino del “Palazzo dell’alba” a Brasilia, ci fosse stato ancora il negazionista Bolsonaro davvero sarebbe stato decisamente sospetto, nel senso che sarebbe stato ancor più evidente che il partito del fossile sta tramando per la fine di queste conferenze, ma c’é da contare che il Presidente Lula remerà nel verso giusto, sicuramente a favore dei paesi in via di sviluppo e per un mondo più sostenibile, e non c’é contraddizione in questo. Ma bisogna essere intellettualmente onesti, e i media e i commentatori spesso non lo sono, non si capisce bene se consapevolmente oppure per mancanza di approfondimento. Del discorso del Presidente Azero, ad esempio, si é diffuso solo quel ritaglio, quel “dono di Dio”, ma in realtà, la lettura del testo, ci restituisce un contenuto del tutto diverso, diverso perché il padrone di casa intendeva sottolineare l’ipocrisia occidentale che, con i suoi media i suoi politici e certe organizzazioni, dipinge il suo paese come un “petrostato”, ipocritamente scordando che é proprio il mondo occidentale quello che più consuma energia fossile e che più richiede petrolio e gas dal suo paese, paese che non è più quel gran produttore che era nel XIX secolo dato che oggi produce lo 0,7% per il petrolio e lo 0,8% per il gas della produzione mondiale. E dunque la questione si può metter giù così: “di chi é la responsabilità del riscaldamento globale? Di chi produce risorse fossili o di chi le consuma? Domanda cruciale questa. Nonostante la difesa del proprio paese, resta comunque il sospetto che le ultime designazioni di ‘paese ospitante’ abbiano un senso ‘sommerso’, che siano parte di una qualche strategia, anche questa é fantapolitica, meglio stare ai fatti.
Dopo l’intervento del Presidente azero ha preso la parola il Segretario dell’ONU Gutierrez che, per definire la situazione, ha utilizzato la simbologia del “ticchettio dell’orologio”: “Siamo nel conto alla rovescia finale per limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5 gradi Celsius. E il tempo non è dalla nostra parte.“ Certe cose però i cronisti e i commentatori non le dicono, Gutierrez, nel suo intervento, ha detto anche: “I ricchi causano il problema, i poveri pagano il prezzo più alto. Oxfam ha scoperto che i miliardari più ricchi emettono più carbonio in un’ora e mezza di quanto una persona media non faccia in tutta la sua vita”. Ma é proprio questa consapevolezza la protagonista delle discussioni che ci sono state per raggiungere l’accordo finale. La questione fondamentale di questa Conferenza é stata quella che riguarda il finanziamento della ‘transizione’, chi, come e quanto questo debba essere assicurato. I paesi in via di sviluppo non hanno le risorse per una crescita economica sostenibile, ma neppure sono i maggiori produttori di CO2. Ogni cittadino americano produce 13 volte la CO2 prodotta da un africano e quasi il doppio di quella prodotta da un Cinese. Se l’occidente riconosce la responsabilità nei cambiamenti climatici deve anche farsene carico assai seriamente, il count down é iniziato. I paesi emergenti hanno preso coscienza di questo e chiedono molte più risorse di quanto l’occidente sia disposto a dare e in modalità per alcuni inaccettabili. Alla richiesta di 1,300 miliardi di dollari l’anno a fondo perduto il mondo sviluppato é arrivato a concederne ‘solo’ 300 miliardi l’anno, certo molto più di quanto deciso nelle COP precedenti, ma molto meno di quanto chiesto, inoltre non si tratta solo di finanziamenti pubblici ma anche di finanziamenti privati, non si sa quanti a fondo perduto. C’é poi la questione del vincolo d’uso, clausola non gradita ai paesi emergenti ed argomento di discussione, i paesi beneficiari vorrebbero mano libera, a differenza dei paesi occidentali che vorrebbero un certo controllo sui finanziamenti del clima, cosa, per la verità, che pare legittima. Il ‘controllo’ e la ‘trasparenza’ sono questioni rilevanti in questi accordi, questioni che però, nelle risoluzioni finali, rimangono sempre un po’ vaghe, rimandate ad organi non ben definiti, ad altre conferenze. Così è per l’altro accordo scaturito dalla conferenza, quello riguardante il ‘mercato della CO2’. Un tema già avviato a Dubai che ora é più definito, anche se non tutto è chiaro e molti dubbi ancora sussistono. si tratta di un meccanismo pensato ‘ufficialmente’ per aiutare i paesi in via di sviluppo nella loro transizione. Ogni paese deve fare la sua parte nella riduzione delle emissioni, ogni paese ha i suoi compiti da svolgere ma non é obbligatorio farli in casa propria. In sostanza ogni paese può considerare, nel,pacchetto dei compiti svolti, anche le emissioni tagliate con propri investimenti all’estero. Facciamo conto che il nostro paese debba tagliare emissioni per 1.000 tn di CO2 (cifra a caso), può farlo con interventi nel proprio territorio oppure può finanziare ad esempio un rimboschimento in un paese emergente guadagnando credito di CO2. In altre parole il mondo civilizzato può essere ‘meno virtuoso’ a suon di dollari, nella misura in cui finanzia la transizione nei paesi emergenti. Su questo l’accordo di Baku ha fatto passi avanti individuando il ‘come’ governare questa sorta di mercato, restando però ancora vago non solo sugli organismi ma sui metodi di controllo e di trasparenza, concetti fondamentali perché il mercato possa realmente essere definito uno strumento ‘efficace’ e non uno strumento per far girare soldi in modo opaco e nel contempo liberare gli stati di parte degli impegni presi, una sorta di “facile ammuina” della transizione, quando i soldi si sostituiscono ai fatti concreti il timore ė d’obbligo, di fatti non poche sono state le obiezioni e le denuncia di criticità. I prossimi anni ci diranno se questo meccanismo si sarà dimostrato uno strumento efficace per la transizione dei paesi ‘poveri’ o ‘emergenti’, sempre al netto delle inevitabili negatività.
Se é vero che l’occidente, con le sue industrie, i suoi consumi e la sua crescita é il primo responsabile dell’effetto serra, c’é da dar ragione ai paesi ‘in via di sviluppo’ quando lamentano fortemente la propria insoddisfazione, India in testa (ha definito l’accordo con l’espressione “somme irrisorie”) ma anche la Cina, hanno chiesto cifre ben più significative, ma la Cina è ancora curiosamente considerata un paese ‘in via di sviluppo’, per cui é esentata dal partecipare alla ‘finanza climatica’ può farlo però in modo ‘volontario’, per altro ha rifiutato ogni genere d’obbligo sul tema, in altre parole l’occidente dovrebbe, in teoria, finanziare anche la transizione Cinese, ma la delegazione cinese, pur rifiutando l’obbligo, ha dichiarato che farà la sua parte in modo ‘volontario’.
Questo é, in sostanza, il risultato principale della COP 29 di Baku, Non c’é altro che meriti di essere commentato, anche gli obiettivi della transizione hanno perso definizione, e non potrebbe essere diversamente viste le tensioni nel mondo, il probabile sfilamento degli USA dagli accordi di Parigi e la generale aria sovranista e negazionista che spira in occidente, gli obiettivi strategici sembrano sempre più lontani, nonostante che vengano sempre assunti in premessa. In questi giorni si sta compiendo lo scivolamento a destra della UE, escono i Verdi ed entrano i conservatori della Meloni e, se é vero che l’occidente é il trattore della transizione ed il primo responsabile dell’effetto serra, non resterebbe che dire: “speriamo che ce la caviamo”. Durante la discussione finale alcuni attivisiti manifestavano con lo slogan: “Alzatevi e pagate” indirizzato ai paesi ricchi, saremo pure ricchi ma abbiamo tutti dei problemi di bilancio e distrarre importanti capitoli per finanziare la transizione altrui é un problema per molti paesi, già é difficile far digerire la transizione a casa propria, ma forse i cambiamenti climatici possono attendere. Secondo il Segretario dell’ONU il conto alla rovescia é iniziato. Secondo l’AI, se il mare si alzasse di 50 cm, sarebbero in crisi 410 milioni di persone, ed il ritmo con il quale il livello dei mari si sta alzando non è propriamente insignificante, con l’incremento del tasso di crescita, basterà meno di un secolo. Ma le parole d’ordine parlano di ‘realismo’, come se gli effetti del cambiamento climatico non siano realtà toccabile con mano e portafoglio, parlano di supremazia della economia, di allungamento dei tempi e revisione degli obiettivi e a poco valgono le catastrofi metereologiche, le proiezioni scientifiche, ed il costo economico e sociale dell’inquinamento e di un clima sempre più instabile e devastante.
LUCIANO DAMIANI
