AMERICA FIRST

di MARINA MARUCCI ♦

Leggevo che l’elezioni presidenziali  in America sono state una sorpresa inaspettata  per i Democratici. Perdere 14 milioni di consensi  con una candidata donna, in  una delle nazioni  più potenti del mondo non è cosa da poco. Oltretutto sembrerebbe che molti voti persi siano dovuti alle donne, soprattutto bianche  che non hanno votato Kamala Harris ma il misogino Donald Trump. Non ho spiegazioni razionali né analisi risolutive da sottoporre, vorrei solo esporre alcune considerazioni.

Dopo mesi in cui era chiaro a tutti che il Presidente Biden non sarebbe stato in grado di sopportare  un nuova candidatura, viste la pessime  figure collezionate negli incontri pubblici, per non parlare dello scontro  televisivo con Trump , i democratici  hanno deciso, a due mesi dalle elezioni presidenziali, con grande fatica e coraggio,  di non ripresentare  il Presidente in carica e, attraverso le  primarie alquanto discutibili, di mettere in pista la Harris. Intanto lo sfidante erodeva sempre più l’elettorato democratico, sia dei Latinos che dei maschi neri, diffidenti a votare una donna, alimentando così l’astensione. Le grandi star  del mondo musicale americano si sono  schierate con Kamala Harris, come Bruce Springsteen, Taylor Swift, Beyoncè,  ed altri, per non parlare della macchina Hollyvoodiana, con  attori del calibro di George Clooney, tra i primi a manifestare la sua contrarietà alla ricandidatura del Presidente democratico, o attrici come  Julia Roberts che aveva invitato le donne a “tradire “ i loro  mariti o compagni   che preferivano Donald, scegliendo Kamala. Ma tutto questo non è servito, non ha inciso nell’immaginario degli americani che potrebbe essere sintetizzato in una sola  parola con diverse  declinazioni: Paura. La  paura per il loro  futuro ad  essere coinvolti in nuove guerre ,la paura degli immigrati  che tolgono il lavoro agli stessi Latinos  o agli  uomini neri già integrati,  la paura della loro identità, problema di tutto l’occidente,  la paura per l’inflazione sempre più imperante,   accettando  il protezionismo e il sovranismo come ricetta politica per curare tutti i mali insomma:  L’AMERICA FIRST. Trump aveva già vinto le elezioni nel 2016 con lo stesso slogan,  incidendo su un elettorato opposto a quello di Obama e oggi lo ha di nuovo sedotto combattendo i segni del  declino dell’influenza americana ( Leggi Medio Oriente e Ucraina) con l’immagine virile e muscolare  di potenza nazionale, facendo presa sul maschio bianco. In un paese così diviso, come lo sono oggi  gli USA , attraversato da una diversa morale e ad un pericoloso  relativismo culturale  fa comodo avere sempre  nemici da combattere, esterni ed interni,  che rinsaldino le ragioni dell’essere americano. (Si leggano gli scritti di Irving Kristol).  L’isolamento delle Università Americane dalla realtà del paese, con la diffusione dell’ideologia Woke, considerata da molti la cultura della cancellazione e da altri della correttezza politica, hanno  alimentato discussioni continue, infinite,  facendo esprimere Elon Musk, grande finanziatore della campagna elettorale  di Trump e prossimo consigliere alla Casa Bianca, se non Presidente ombra, nel seguente modo: “divisiva, escludente e odiosa”  insomma per snob o per  Radical Chic, oserei dire. Parole che risuonano nella mente perché molto simili a quelle che sentiamo ogni giorno in Italia o in una Europa sempre più  rivolta a destra.

E poi ci sono  le donne. Come è stato scritto il 46%  ha votato Trump.  Qualcuno si chiedeva come mai il  forte movimento femminista americano  non si sia accorto di quello che stava arrivando, per poi  scoprire di  non essere più in grado di recepire le istanze femminili, che a mio parere non si limitano ai soli diritti, quali l’aborto o al mondo LGBTQIA+ .

Forse una riflessione dovrebbe essere fatta soprattutto su i temi economici, sul trattamento salariale dovuto alla differenza di genere  che influisce nella vita quotidiana delle donne, non soltanto americane, ma anche in tutto il mondo. Nel libro di Jennifer Guerra, scrittrice e giornalista italiana, “Il femminismo non è un brand” l’autrice  analizza il movimento femminista americano e non solo,sottolineando che negli ultimi anni è tornato ad essere un fenomeno di massa ma  a volte nascosto da “operazioni opache. Un femminismo addomesticato, affine agli interessi di politici e aziende, è davvero femminismo? Ma soprattutto (si chiede)  questa versione mainstream è una variante del femminismo o una strategia del capitalismo?”. Il potere,  nelle società occidentali ha saputo utilizzare i valori del femminismo quali la realizzazione dei propri desideri, l’autodeterminazione, la libertà di scelta, asservendoli ai suoi interessi, dimenticando anzi escludendo la solidarietà, l’empatia, la sorellanza, il muto aiuto, insomma tutti i valori al di fuori dell’individuo. Le basi della sorellanza, della condivisione, sono i principi fondativi del movimento femminista, come chiarisce la scrittrice Maria Rosa Cutrufelli: “La sorellanza non è scontata, è un lungo processo che richiede un’acquisizione di coscienza femminista ossia è una presa di posizione politica che, ogni volta, deve essere rinnovata e scelta”. Un processo che modifica le nostre vite, che tenta di mettere in equilibrio le nostre parti disarmoniche, dissonanti, il nostro credere di essere libere, realizzate, obiettivo tutt’altro che raggiunto. Dopo la vittoria di Trump molte femministe in America hanno scoperto una dimensione radicale, quella della 4B, movimento nato in Corea del Sud in cui si afferma : Niente  sesso con gli uomini,  Nessun matrimonio, Vietato avere appuntamenti, No alla procreazione, cioè una scelta di vita estrema, in risposta al patriarcato, alle disuguaglianze, alla disparità sul fronte professionale  e alla violenza di genere, ma quanto applicabile tra le masse femminili? Mi risulta difficile crederci, forse perché  vivo ancora  nel XX secolo quando il confronto tra i sessi,  seppure  aspro, avveniva all’interno dei movimenti e dei partiti, oggi il ” contradditorio” si è spostato soprattutto  nel mondo digitale  con parole ad approcci aggressivi, fuori da ogni controllo, come le  fake news che mettono in discussione le fondamenta del vivere comune, in una democrazia che stenta a difendersi e in estrema difficoltà.

MARINA MARUCCI

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