Lo Stato, la Nazione e qualche appropriazione indebita (prima parte)

di NICOLA R. PORRO ♦

Su Repubblica del 28 aprile us Ezio Mauro ha abbozzato una riflessione sul linguaggio politico della destra di governo, e segnatamente della premier Giorgia Meloni. Sono considerazioni che meritano attenzione perché non riguardano l’estetica del discorso, vale a dire il suo gergo e il suo stile comunicativo, bensì la sua sostanza. Quella che si viene precisando è infatti una strisciante quanto insistente cesura rispetto ai princìpi costituzionali. Gli stessi reiterati richiami alla Nazione non costituiscono una semplice perorazione retorica o una concessione, enfatica ma legittima, all’appartenenza politica della premier. L’impressione è che si tratti piuttosto di una provocazione calcolata rivolta all’opposizione e ispirata a una rappresentazione ipertrofica dei poteri del governo. Da essa sembrerebbe derivare una vera e propria riscrittura di quel “patto repubblicano” che impegna indistintamente tutte le forze politiche, di maggioranza o di opposizione, a difendere e garantire i capisaldi della Costituzione. Riposa su quel patto non scritto la possibilità di un civile rapporto fra un governo – espressione di una maggioranza parlamentare ma non titolare di poteri assoluti – e una cittadinanza che è per definizione socialmente e politicamente variegata. L’esecutivo sembra però non accontentarsi di esercitare il diritto-dovere di governare. L’impressione è che intenda affermare una specie di pedagogia politica di cui si cominciano a intravvedere i contorni. Dichiaratamente alternativa, come è legittimo, a quella degli avversari, essa sembra però enfatizzare e reiterare strumentalmente quel richiamo alla Nazione o alla Patria che la guerra di liberazione aveva riconciliato con la democrazia contro l’uso ideologico e strumentale che ne aveva fatto il regime fascista.  La premier le ha definite “… due idee centrali nel dibattito politico, giuridico, filosofico e storico… uscite dalla marginalità nella quale erano state relegate, perché considerate a torto retrograde, reazionarie, obsolete e addirittura pericolose”. L’affermazione in quanto tale non è del tutto infondata: l’abuso retorico e l’appropriazione a fini di propaganda che di quei sentimenti avevano fatto i fascismi fra le due guerre ha effettivamente indotto (non solo in Italia) una reazione di diffidenza e persino una sorta di pudore nel farvi ricorso. [1] il tempo ha però fatto giustizia tanto di pericolose nostalgie quanto di indebite lamentazioni. Nel caso dell’Italia postfascista è persino possibile individuare un momento simbolico della “riappropriazione collettiva” del sentimento patriottico. Esso coincide con il mandato presidenziale di Sandro Pertini (1978-1985), il “Presidente partigiano” che seppe rianimare il latente sentimento patriottico degli italiani promuovendolo a strumento non di divisione bensì di coesione sociale. L’evento eponimo di questo ritorno alla Patria è identificabile in un grande evento sportivo: l’entusiasmante e inattesa vittoria della nazionale italiana ai Mondiali di Spagna del luglio 1982. In quell’occasione, infischiandosene del protocollo, il Presidente Pertini, presente allo stadio di Madrid, si offrì all’immaginario nazionale come il “primo tifoso” degli azzurri mentre milioni di italiani si riversavano spontaneamente nelle strade a festeggiare. [2]

2_PERTINI

A contestare l’appropriazione indebita del sentimento nazionale e del patriottismo da parte delle destre basterebbe ricordare, del resto, come la quasi totalità di quelli che l’Italia la fecero davvero – a cominciare da Garibaldi e Mazzini, figure eponime del nostro Risorgimento – fossero di dichiarati sentimenti progressisti e in qualche caso persino rivoluzionari.  Occorre allora tornare al discorso della Meloni e a quel passaggio in cui afferma di aver sempre pensato che “… nazione e patria fossero società naturali, cioè qualcosa che è naturalmente nel cuore degli uomini e dei popoli e prescinde da ogni convenzione”. Non si tratta, va precisato, di affermazioni estemporanee e politicamente innocue bensì di un uso disinvolto e strumentale di concetti cruciali (Nazione e Patria) che non hanno niente a che vedere con le società naturali: la sola società naturale esistente e universalmente riconosciuta è la famiglia. Nazione e Patria costituiscono l’esatto contrario delle società naturali perché rappresentano due prodotti esemplari della storia umana. Nel corso millenario della civilizzazione ogni popolo ha dovuto provvedere a costruirle, a legittimarle idealmente e simbolicamente, a munirle di forme di regolazione legale e di configurazione politica. Sono i popoli, insomma, che hanno fatto di ogni patria una nazione. Definirle società naturali significa non solo alterarne l’identità ma anche, paradossalmente, declassarne l’importanza. Il riconoscersi in una Patria, la “terra dei padri”, è sempre antecedente alla formazione della Nazione, che è un prodotto della modernità incipiente. Le due nozioni vanno perciò rigorosamente distinte ricordando, allo stesso tempo, come le loro forme istituzionali siano quanto mai variegate. Tutti i componenti di comunità civilizzate si riconoscono infatti nell’idealtipo della Patria, ma l’appartenenza a una Nazione è un portato peculiare della modernità.

3_COSTITUZIONE

L’Europa fornisce una molteplicità di esempi di quella “costruzione della Nazione” (Nation Building) che la storiografia recente ha associato al processo di civilizzazione. [3]  Proprio in forza della natura storica delle istituzioni è poi concettualmente possibile distinguere fra la figura del leader e quella del capo, che evoca inevitabilmente l capobranco del mondo animale. Ciò aiuta anche a comprendere meglio la “missione” che le destre assegnano a sé stesse “… non ho mai creduto – dichiara la Meloni – alla teoria della morte della patria: certo la patria è stata sospinta nel cono d’ombra, ma ha continuato a fluire nella coscienza del popolo e oggi torna a riemergere con forza alla luce del sole. Tocca a noi rinnovare quei legami e quei valori, in modo che la nazione possa trarre forza contro l’inganno dell’omologazione, dello sradicamento, della disumanizzazione”. Il passaggio è enfatico ma la sua matrice ideologica è nitida. Attinge al repertorio canonico delle destre europee: la patria negletta, il cono d’ombra, l’inganno ideologico operato da fantomatici nemici…  Espressioni forti che non chiariscono però chi mai e a quali fini persegua la morte della patria e chi l’abbia sospinta nel cono d’ombra in attesa di essere salvata dai patriottici angeli di Colle Oppio. Nemmeno è chiaro, peraltro, da quale omologazione (a che cosa?) e da quale sradicamento (da che?) la patria andrebbe liberata. Per non parlare della disumanizzazione (niente meno!) a cui vorrebbero condannarci tenebrosi poteri che, nella loro vaghezza, ricordano tanto le consorterie demo-pluto-giudaiche di mussoliniana memoria. La questione implica una riflessione ulteriore che rinvio a un prossimo appuntamento.

4_MELONI

 

NICOLA R. PORRO

 
[1] È il tema, assai dibattuto nella Germania post-nazista, della cosiddetta “appartenenza nazionale” (Nationale Zugehörigkeit).
[2] Le immagini dell’evento con il più alto share televisivo mai registrato in Italia, scatenarono un’ondata emozionale senza precedenti. Nella “notte dei tricolori” – scrisse il giornalista Gianni Brera – “all’Italia si attaccò la pelle”.
[3] Esistono inoltre numerosi casi di Patria senza Nazione (l’Italia pre-unitaria ne è un esempio) e di Nazioni che ospitano più di una Patria, intesa come comunità linguistica, religiosa o culturale. La relazione fra processo di civilizzazione e costruzione della statualità è l’oggetto privilegiato di quelle ricerche della scuola configurazionale, ispirata agli studi di Norbert Elias e di Eric Dunning, che hanno evidenziato proprio la “modernità”, e insieme la possibile transitorietà, della Nazione. Solo nel mondo animale si producono invece “società naturali” che hanno per finalità esclusiva la riproduzione biologica della specie attraverso la procreazione e l’accudimento dei cuccioli.

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