Srebrenica e la colpa della “Democrazia” occidentale

di PAOLA ANGELONI

nel tempo redento
“A Srebrenica ci sono madri che hanno occhi
che tutto hanno veduto
e con riferimento a Dio una sapienza infinita.
Silenziose verticalità, hanno mani che conoscono
la preghiera,
uno spirito che impasta la materia sensibile
che fu tradita.
Nulla di buono a Srebrenica, nella speranza
che il contrario sia fecondo
riuscirà il tempo a redimere dal titolo di sofferenza
che questi poveri versi provano a dire.”
Roberta Dapunt
 

È Roberta Dapunt che titola la sua poesia “nel tempo redento”, nella raccolta “Il verbo di fronte” da me già presa in considerazione su SpazioLiberoBlog. Ma esistono urgenze che partendo da una lettura poetica del mondo, di una piccola parte del mondo, fanno andare oltre.

Come immaginiamo il futuro dell’Europa dopo l’ invasione dell’Ucraina, che l’ha costretta a interrogarsi sulla propria ragione d’essere?

Esiste parlare di “Democrazia” o esistono soltanto le democrazie al plurale? L’ Occidente reclama il suo ruolo di “unica democrazia vera”, pretende di esportarlo dovunque, anche con le armi, sollevando le ovvie resistenze. Questi tentativi egemonici pongono serie minacce alla pace globale e ciò presuppone che si attuino più spazi di consultazione, arbitrato e risoluzione dei conflitti.

Come rispondere a Roberta Dapunt che si chiede se “riuscirà il tempo a redimere dal titolo di sofferenza” intere popolazioni proprio al centro dell’Europa? Certo l’ Unione europea non si è rivelata una terra promessa, e ora rimane più acuto il diffondersi dei populismi che avevano come simboli le affermazioni di Jean e Marine Le Pen in Francia e di Haider in Austria.

Con il 1989 si diffuse una grande euforia per il trionfo della “democrazia occidentale”, coronata nel 2007, all’ insegna di Schengen, con la caduta di confini insanguinati dalla storia ma nello stesso tempo gravi processi involutivi attraversavano i paesi ex comunisti e il ”gruppo di Visegrád” diventava cuore propulsivo delle derive sovraniste.

In Europa centrale, negli anni ’90, la vittoria di tendenze nazionalistiche e conservatrici portò ad un inferno di scontri sanguinosi nel paese più vicino all’Occidente, la Jugoslavia, con l’esplosione delle nazioni e un ritorno della guerra in Europa.

corre-interlinea

La guerra del Kosovo  fu un conflitto armato che insanguinò i Balcani alla fine degli anni ’90.

Al centro della contesa c’era il futuro politico dello stesso Kosovo, provincia autonoma della Repubblica Federale di Jugoslavia a maggioranza albanese. Le cause della contesa vanno ricercate nelle tensioni tra questa maggioranza  e la minoranza serba, alimentate da profonde differenze culturali, storiche e religiose.

Gli albanesi kosovari aspiravano all’indipendenza dalla Serbia e alla riunificazione con l’Albania mentre il presidente Slobodan Milošević, con la sua politica nazionalista, mirava a mantenere il Kosovo sotto il controllo serbo, considerandolo una “culla della civiltà serba”.

Le politiche nazionalistiche di Milošević  e la sua determinazione a mantenere il controllo sul Kosovo furono fattori determinanti nello scoppio della guerra che causò  una feroce repressione contro quella popolazione. Infatti, le forze serbe perpetrarono atrocità contro i civili albanesi con uccisioni, deportazioni e distruzione dei villaggi.

Al termine del conflitto Milošević fu arrestato e accusato di genocidio, crimini contro l’umanità ma morì in carcere prima che si concludesse il processo.

L’Italia, come membro della NATO, ha avuto un ruolo significativo nell’azione militare decisa dall’Alleanza Atlantica. La guerra ha lasciato un segno profondo nell’opinione pubblica italiana, alimentando il dibattito sulla legittimità degli interventi militari. Ora si pone di nuovo la necessità di fermare le atrocità del governo di Israele nella Striscia di Gaza e in tutto il Medio Oriente e proteggere le popolazioni civili.

corre-interlinea

La guerra nel Kosovo ebbe un primo impulso proprio nel 1989: nella Piana dei Merli in Kosovo, di fronte ad una folla di serbi, la celebrazione di una battaglia di seicento anni prima fu l’occasione scelta da Milosevic per annunciare un’escalation aggressiva.

E’ la commemorazione di una sconfitta subita dal principe Lazar di Serbia, che vi lasciò la vita. Milosevich fece riferimenti espliciti alle battaglie future, senza escludere scontri armati, indicando la strada per una riscossa nazionale.

Fu una “orazione funebre per la Jugoslavia”, una “invenzione della storia” per la proclamazione di un progetto politico che cercava la propria “legittimazione storica”.

Una pedagogia civica invece dovrebbe insistere su questo nesso strettissimo tra nazionalismi e usi politici della memoria, tanto che la filosofa Agnes Heller chiamò i tragici conflitti che lacerarono la Jugoslavia “Guerre del ricordo”.  Vi furono massacri, pulizie etniche e il ritorno della guerra nel vecchio continente, traumatici per più ragioni: L’ Europa di Maastricht restò sorda all’ Europa di Sarajevo…quasi non riuscisse a vedere al di là dell’euro.

La “risoluzione” della Nato e dell’Europa fu ottenuta con i bombardamenti sulla popolazione civile e a sua unica discolpa vi fu la consegna dei ricercati per i crimini di guerra al Tribunale internazionale dell’Aja ma l’immagine della “Democrazia Occidentale” come universale, unica e vera, era infranta dai bombardamenti sulla popolazione civile.

L’Europa dovrebbe essere non solo una comunità economica ma una comunità delle memorie.

Quando l’Unione europea ha annesso i dimenticati cugini dei paesi post-socialisti: Jugoslavia, Polonia, Ungheria, non ha considerato i differenti vissuti che questi avrebbero portato.

Come oggi l’Europa non dovrebbe dimenticare per Gaza, Cisgiordania e Libano la teoria del diritto internazionale moderno che condanna l’uso sproporzionato della forza, già conosciuto con la pratica della rappresaglia nazista: “10 italiani per 1 tedesco”, applicato nell’eccidio delle Fosse Ardeatine del 24 marzo 1944 a Roma.

Gli indolenti
“Ascoltami, tu che tra questi fogli, ascolta.
In questo preciso istante muoiono le genti.
Muoiono ora e questo momento
non è il passato. E’ adesso.”.
Roberta Dapunt

 

PAOLA ANGELONI

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* immagine di copertina tratta da: https://geology.com/world/kosovo-satellite-image.shtml