IL VERBO DI FRONTE – ROBERTA DAPUNT

a cura di PAOLA ANGELONI ♦

La mia lettura della silloge.

“Tutte le cose periscono, salvo il suo Volto” dice il Corano (XXVIII,88).

Tutte le cose possono trapassare nel nulla, essere vittime di costrutti nichilistici, di dubbi metafisici, della disperazione in ogni sua forma. Ciò che rimane quando tutto perisce è “ il volto delle cose così come sono”. Quando non c’è più alcun luogo dove volgersi, ri-volgiti al volto che ti sta dinanzi, guarda in faccia il mondo. Lì sta la Dea (Afrodite) che dà al mondo un senso che non è mito “né significato”, che è questa cosa che ho davanti come immagine: il suo sorriso una gioia, una gioia che è “per sempre”.

Introduco con un passo di James Hillman (L’anima del mondo e il pensiero del cuore, Adelphi), per dire con Roberta Dapunt – Il verbo di fronte, Einaudi, 2024 -, che il mondo ha un senso che “non è significato”, ma è “questa cosa” che ho davanti come immagine.

Aggiungo un passo in cui Jung sta annotando le sue fantasie e sente una voce dentro di lui, e pensa che sia una voce di donna che sta dando “forma” a una personalità che vuole “esprimersi”. Jung la riconosce come una voce di una sua paziente psicopatica, dotata di notevole” talento artistico” e riflette che “la donna dentro di me non possedeva i “centri del linguaggio”, come li avevo io”. È precisamente in quella occasione che Jung scopre “la donna interiore” e ne deduce si tratti dell’anima, o meglio di Anima.

La forma senza Anima, ancor più nella retorica poetica, diventa formalismo, conformismo: forme senza lucentezza, “ senza la presenza del corpo”.

l’odore dell’anima”

“E’ percezione nitida l’odore dell’anima…”

“Unità, l’odore dell’anima è unità.

Essere uno, solo uno e non più di uno.

Te lo dico così, per esprimerti la più totale dedizione di me

all’odore di queste montagne.

Roberta Dapunt mi ha curato e risvegliata, ero addormentata davanti al televisore, con una lingua addomesticata dalla vuota politica, che aveva slavato il senso autentico di parole come ostilità, terrorismo, violenza. Mi ha guarito con l’ immagine della pecora (“La pecora in questi versi/ è urgenza di scrittura fatta attendere/ negli anni per apprendimento/ e maturazione. Preparato sguardo dunque,/…) e ho ricercato una certa tradizione…che afferma che gli animali “vedono” delle cose che, tra gli umani, possono vedere solo i mistici e le mistiche visionarie; angeli custodi della nostra sopravvivenza.

Per Roberta è la pecora delle valli ladine, per me è il riccio di mare nella peschiera romana, sommersa dalla tecnologia, a volte sana, spesso nefasta. È il vedere le cose , che salva:

“ Non “come” il mondo è, è il mistico, ma “che” esso è”. (Tractatus, Wittgenstein).

La sua scrittura tiene unite l’ idea di esperienza e quella di verticalità, che impastano la storia degli uomini. Il suo cogito cartesiano viene perforato dal mondo che è fuori e la fa poetare sulla radicalità di un non-sapere. La sua poesia si sviluppa da una  “incompetenza”  nello scrivere: è la mistica. Errante, transumanante come la sua pecora, trova infine uno “spazio” nella scrittura poetica: cerca uno spazio, in cui scrivere del suo desiderio, di un altrove ( la morte di Uma, madre, la sua preghiera laica, la sorellanza con le donne iraniane, i migranti, le tracce degli affetti ), tra il celato e il nascosto della scrittura:

“Da tempo non sono più in unione con i verbi”

“ Versi, appunto, di poesia brutta”

Sono versi che segnano la fine della retorica, il sottrarsi alla scrittura, i silenzi, “i ricercari”, sette studi sul silenzio (“Non s’improvvisa il silenzio, si va alla ricerca”. “ Scrivo dei silenzi, ho sempre scritto dei silenzi”). È la “mancanza” che fonda il linguaggio, melancholia, saudade, è un’ assente che le fa scrivere:

“Sono Roberta, mi veniva da dirti” / “Conoscimi, riconoscimi, ricordami, Paola”, pag. 61.

In questo senso Lacan dice che mistica e psicoanalisi discutono del e nel soggetto desiderante:

La materna lingua, “matern lingaz”, il vernacolo dell’ inconscio.

“ … ridere e piangere/ nella lingua dell’ intimità e dell’affetto, / senza leggere né scrivere. Nel gioco / dei significati e nella visione dell’ impossibile, / si formava senza bisogno di regole, ma imitandoci madre / il vernacolo dell’ inconscio, nel piacere e nel desiderio”. pag. 5

La condanna della fallacia discorsiva, nell’atto poetico, è un discorso paradossale, perché smentisce sé stesso mentre si fa e si approfondisce il solco dell’autocritica dell’ autrice:

VUOTO

“Ogni giorno di più questa casa non abitata. / Sola ci cammino dentro e la discendo e la risalgo, / ripetendomi dall’acuto al grave gli umori / che non contengono nulla se non l’efficacia del vuoto”.

“Tuttavia respiro con interesse, giacché sento sonante / la sua vuotezza effettiva. Nulla mi rimane da dire / mentre intorno la scarsa capacità intellettuale / e i libri e le loro letture che non ricordo.” pag. 87.

La poesia di Roberta mi stupisce, mi commuove e mi affascina, mentre intorno troviamo letture che non ricordiamo, forse per una mancata soddisfazione dei nostri desideri nelle evoluzioni scientifiche dei nostri tempi. Noi “sentiamo” che anche una volta che tutte le possibili domande scientifiche hanno avuto risposta i nostri problemi non sono ancora neppure toccati, perché ora “ tutto questo tempo in sovrabbondanza di sé” , anche per me, non cura:

  • la guerra che domani compie un anno, i bombardamenti sul Libano e sulla Striscia di Gaza, il terrore della popolazione palestinese;
  • occupare terre, abbattere case, uccidere.

 

Ci dice Roberta Dapunt che nel momento in cui ci si rende conto che il linguaggio è “difettivo” e falsificante, non resta che rasentare il Silenzio:

IL VERBO DI FRONTE I

In questo ordine mi commuovo, sappiate/ solo in questo ordine si sedimenta il mio silenzio, / discrezione esplorata da quando iniziai il mio tempo./ Nello spazio ideale del mio pensiero / ho temperate greggi,/ il loro illuminato vello e innanzi/ il contorno di un muso che precede nello spazio/ una condizione di quiete. Ancestrale opposto/ del mio essere disorientato.” pag.93.

IL VERBO DI FRONTE II

“Fermai i miei versi sulla richiesta di comprensione / posta sul desiderio di capire e di farsi capire./”

NEGLI ORTI DEL MIO BOSCO

…Se solo ci fosse un ascolto,

uno qualsiasi per dire questo:

“… La volontà, patimento interiore, a digiuno, carta bianca, guarda lontano, un sostantivo al neutro, nella visione dell’ impossibile, della tua morte, in silenzio, ferma l’ udito sulle campane dell’ Angelus, verso morto, per troppo voler dire, il respiro come suono.”

“E ti credi altro da te, lutto collettivo, dimenticato orrore, ascolta è adesso, Sebrenica, virus, la mala pianta, il tempo di poesia, il valore del verbo… clausura, bastare, la mia assenza di validità, l’inutile parto, il disagio nello scrivere, punti lenti da imbastire...”

Con “annunciazione I ”e “annunciazione II” sembra che la poetessa apra una “finestra” artistico letteraria nel poetare su Simone Martini e Botticelli. In realtà opera una parabasi per definire il suo rapporto con la scrittura poetica, certo “mistica”, ma anche frutto di un forte convincimento razionale, cioè “condurre a maturità di forma ogni verbo” e la poetessa correla la sua volontà di dire all’ immagine della Madonna e dell’Angelo dell’Annunciazione:

Il verbo io vedo,

Simone lo scrive in rilievo, di così grande valore,

che diventa modellata materia”.

La poetessa sottolinea la necessità di condurre a maturità ogni parola alla stessa stregua di Simone Martini che scrive in rilievo sulla pala: “Ave gratia plena Dominus tecum”, dove la parola (verbo) è prodromica a ciò che diventa, poi, immagine (modellata materia). I versi della Dapunt ci riconducono alle norme comuni alla storiografia dell’arte e alla critica letteraria, a partire dal classico tema oraziano “ Ut pictura poesis ”.

Focus della pala sono l’Arcangelo Gabriele e Maria, ai cui corpi è negata ogni consistenza materiale, messa in atto attraverso un’assoluta bidimensionalità.

Il moto pudico e scontroso della Vergine, che turbata si ritrae, è dato dalla linea curva del manto di un intenso azzurro lapislazzuli che si contrappone al fondale oro; la spiritualità di Maria è perseguita attraverso la negazione del corpo, tesi che Simone Martini porta avanti. Come scrive Massimo Cacciari: “Il primato della donna consiste nella sua obbedienza alla chiamata alla sua volontà di divenire “ pneuma ”, dove la femminilità è destinata a scomparire come la virilità. Si entra nel Regno soltanto dopo aver fatto del maschio e della femmina un unico essere” sicché non vi sia più né maschio né femmina” (Vangelo di Tommaso 22).

L’Angelo ha la stessa luminosità del fondale e inonda lo spazio pittorico di luce propria; si protende in avanti, con un ramo d’ulivo; nel suo planare dall’alto, mantello e ali non sono completamente distesi; le sue mani sono rivolte verso l’alto e verso il basso, determinando lo spazio pittorico in primo piano. La Vergine è turbata, parla e comunica attraverso la torsione del corpo che arretra, si allontana fisicamente, conscia che l’inevitabile comunicazione che le viene data stravolgerà la sua esistenza terrena; esterna, dunque, non solo “ pudicizia ”, ma paura, timore e angoscia: che noi donne – a differenza degli uomini – siamo in grado di esternare da sempre.

“È allora evidente che l’anima di ciascuno

vuole altra cosa che non è capace di dire, e

perciò la esprime con vaghi presagi, come

divinando da un fondo enigmatico e buio”.

PLATONE, Simposio, 192 c-d.

Anima, mistica eVOLO ”  (volo, vis, volui, velle ).

Se vuoi, puoi, dal volere al potere: l’efficacia del “volo” si collega all’atto interiore che è l’”intentio”: è la mappa complessa di un paese interiore cui si riferiscono anche i viaggi mistici miei, Paola, e di “Roberta”, è il passare e il tendere verso: talvolta l’avvenimento interiore è così intenso che rende derisoria la sua produzione verbale o scrittoria (“ Fabula mistica”, Michel de Certeau ).

Si potrebbe mutare nella storicità di un discorso “Le bateau ivre” di Arthur Rimbaud ?

La storia poetica di Roberta Dapunt, che possiede umiltà nel pensiero, racconta relazioni tra ciechi e tra sordi, tra i decaduti della società, tra le donne che rivelano il coraggio, con bellezza:

annunciazione III

Ma se scrivo: sto morendo. Voi cosa fate?

Mi strappate le vesti nere dal corpo? Sputandomi addosso

per vedere il penoso tremito del rospo?

Giudicherete ogni mio verso, calando i vostri nasi

nelle mie scritture, in ciò che dissi e non dissi…”.

“ …E dico,

io amo la tua bellezza donna che riveli il coraggio.

Intorno e attorno tutto il resto

è commento. Solamente, solo commento.”.

 

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L’autrice Roberta Dapunt                                                                                                

 

 

 

 PAOLA  ANGELONI

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