Ursula Hirschman, il diritto all’identità e all’identità di genere in chiave europeista

di VALENTINA DI GENNARO  ♦

Ursula Hirschmann nacque a Berlino il 2 settembre del 1913 da famiglia ebraica, da Carl Hirschman e di Hedwig Marcuse, primogenita di tre figli. Nel 1932 si iscrisse all’Università Humboldt di Berlino, dedicandosi a studi di economia, ma già l’anno successivo deve fuggire in Francia, dove si era rifugiato già il fratello. Anche Albert Hirschman frequenta l’università e studia economia, che sarebbe divenuto il suo interesse principale, dopo gli anni dell’impegno politico, tanto da venir candidato al premio Nobel. Ursula Hirschmann fu invece subito appassionata dalla politica dai primi anni universitari sino alla fine della sua vita. Si iscrisse giovanissima al Partito Socialdemocratico di Germania, cominciò ad opporsi al nazismo e questa fu la causa della sua fuga a Parigi. Dopo aver raggiunto il fratello nell’estate del 1933 in Francia ed essersi stabilita nella capitale, Ursula vi incontrò Eugenio Colorni, già conosciuto a Berlino. Nel 1935 seguì Colorni a Trieste, lo sposò, riprese gli studi e si laureò in letteratura tedesca a Venezia. Insieme a Colorni erano intanto entrati nell’opposizione clandestina al fascismo. Nel 1937 nacque Silvia e negli anni successivi Renata ed Eva. Quando il marito venne mandato al confino a Ventotene, nel 1939, Ursula lo seguì e, non essendo oggetto di provvedimenti restrittivi come il marito, Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e gli altri, fu in grado di tornare spesso sulla terraferma, riuscendo così a diffondere il Manifesto di Ventotene negli ambienti dell’opposizione a Roma e a Milano.
 Il manifesto invitava a una rottura con il passato dell’Europa per formare un nuovo sistema politico attraverso la ristrutturazione della politica e una profonda riforma sociale. Quando Colorni venne trasferito a Melfi per intervento di Giovanni Gentile, Ursula continuò a mantenere i rapporti con i federalisti dell’isola. Il 27 ed il 28 agosto del 1943, a Milano, fu presente alla riunione di fondazione del “Movimento Federalista Europeo” e collaborò alla redazione ed alla diffusione del foglio clandestino” L’Unità Europea”. Il suo matrimonio intanto era entrato in crisi e lei si avvicinò a Spinelli. che aveva incontrato una prima volta a Ventotene; insieme si trasferirono in Svizzera, dove nacque Diana, la prima delle loro tre figlie. Eugenio Colorni, intanto, che il 6 maggio 1943 era riuscito a sfuggire alla sorveglianza della polizia e aveva lasciato Melfi per intraprendere l’attività partigiana, venne ucciso a Roma dai fascisti della banda Koch nel maggio del 1944, a pochi giorni dalla liberazione della capitale. Dopo la fine della guerra e la morte del primo marito, Ursula sposò Altiero Spinelli e si stabilirono a Roma dove, nel 1946, nacque Barbara e nel 1955 nasce Sara. Si impegnò per la formazione del Movimento Federalista Europeo e nel 1975 fondò a Bruxelles l’associazione “Femmes pour l’Europea ” . Nel 1976 venne colpita da ictus celebrare che le tolse l’uso della parola. Iniziò un processo di riabilitazione, ma non si riprese più completamente, pur continuando a seguire l’attività di Spinelli, impegnato al Parlamento europeo, fino al 1986, anno in cui morì. Ursula Hirschman morì nel gennaio nel 1991, assistita sino alla fine dalla figlia Renata. Riposa nel cimitero acattolico di Roma. Con l’opposizione clandestina al nazismo inizia la sua attività politica che la portò a fuggire in Francia per evitare la repressione del regime. Oltralpe si avvicinò al mondo della socialdemocrazia, si trasferì in Italia e proseguì la sua opposizione clandestina al fascismo. Nel frattempo, Ursula divenne una figura fondamentale per la diffusione delle idee, legate alla necessità di una federazione europea dotata di un parlamento e di un governo democraticamente eletto con forme di rappresentazione democratiche precise, che erano contenute nel Manifesto di Ventotene.
Studiando all’esistenza di alcune donne del secolo scorso se ne ricava la sorpresa di immagini e racconti corali. Ad esempio, la vita di Ursula Hirschman, che credeva nella idea di una Europa unita come antidoto alla follia nazista, è una finestra che ci restituisce un racconto nitido dell’antifascismo europeo. Ne restituisce bene la ricchezza il lavoro di Marcella Filippa “Ursula Hirschmann, come in una giostra” (Aras edizioni). «Questa società – dice Ursula Hirschmann nelle sue ultime riflessioni – che ai maschi pone una serie di sfide per mettere alla prova le loro capacità, alla donna pone tutta una serie di tentazioni per metter fuori gioco le proprie». Prova rammarico per una vita che ha girato «tutto intorno all’amore», dimenticandosi di sé, diventando docile all’esclusione, propensa alla gregarietà. Su questo terreno di discussione e di contendibilità di un campo pubblico, di uno spazio pubblico, la parola di Hirschmann è trasparente e profonda e indaga il dispiacere per aver partecipato attivamente ad una contraddizione agita che la riguarda: l’impercettibile distanza assegnata alle donne che hanno concorso a comporre il progetto politico di affermazione della libertà prima, durante e dopo la Seconda guerra mondiale. Ursula Hirschmann ha cominciato a dare alle cose e alle parole una nuova chiave di lettura europeista, ha tentato di cambiare la postura annoiata dalle gerarchie dei partiti clandestini e dai giochi di potere che sempre ne nascono. Parlò con un alfabeto nuovo, fatto di parole che non conoscono il confine e il limite della tradizione che condiziona. Un alfabeto che poteva dire meglio cosa nasceva di ricostruito e nuovo dalle macerie del fascismo. Da lei, scrive Luisa Passerini, direttrice del Gender Studies Programme: « con Ursula Hirschmann prende avvio l’intento di pensare una nuova cittadinanza europea che abbia a che fare con lo sradicamento e con l’estensione dei diritti – compresi quelli ai sentimenti e alle affettività queer – nella contemporaneità transnazionale.  Anche Rosi Braidotti nei quaderni del centro studi europeo a lei dedicato, aveva indicato che essere europea oggi vuole dire collocarsi dentro le contraddizioni storiche dell’identità europea, nel suo passaggio da esclusiva e gerarchica a molteplice e aperta come si conviene alla nostra epoca diasporica».
 
VALENTINA DI GENNARO                                                                                                         (SEGUE )
 
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