Egemonia e potere
di PIETRO LUCIDI ♦
La più terribile
di tutte le malattie
dello spirito umano
è il furor di dominare.
Voltaire
Tremila anni fa, all’incirca, nella antica cultura, società e relativo linguaggio greco esisteva il termine ègemonìa, che a sua volta derivava da ègemòn, condottiero, e che significava la supremazia politica di uno stato sopra un altro, il potere di comando conferito allo Stato più importante nell’ambito di alleanze. Quella egemonia veniva esercitata esclusivamente nel comando militare delle forze alleate e non consentiva assolutamente allo Stato egemone di intervenire negli affari degli alleati o di violarne la loro propria legittima autonomia di azione. Quell’originale concetto si è gradualmente modificato ed è stato assunto come interpretativo della tendenza degli Stati ad estendere la propria potenza e modificare gli equilibri tra gli stessi.
Sarà nella cultura italiana, prima con Vincenzo Gioberti e poi con Antonio Gramsci, che il termine “egemonia” perderà il significato economico-politico-militare per assumere il valore di etico-politico e quindi di preminenza morale e culturale.
Nel Gioberti la teoria della democrazia e dell’egemonia riproducono una nuova concezione del popolo e della democrazia, all’interno del quale la plebe rappresenta l’intuito, ossia il sentimento e la spontaneità. La plebe, però, senza la guida egemonica dell’ingegno è destinata a degradare nel volgo e trascina la forma democratica in una disgregazione anarchica. Il popolo, secondo il Gioberti, nasce dalla dialettica inestricabile tra i semplici e le elites e queste non possono trovare nessuna seria materia di governo senza l’intuizione ed il sentimento racchiusi nell’elemento plebeo.
In Gramsci, ad un tempo, la storia europea viene analizzata non più in rapporto o relazione alla politica degli Stati, ma trovano nucleo centrale le classi ed i gruppi sociali, la capacità di un gruppo sociale o intellettuale, di una classe, di una formazione politica di influenzare e di attrarre altre classi, di esercitare una sorta di egemonia nella vita sociale e politica. Così si esprime:
“Gli intellettuali sono i ‘commessi’ del gruppo dominante per l’esercizio delle funzioni subalterne dell’egemonia sociale e del governo politico, cioè: del consenso ‹spontaneo› dato dalle grandi masse della popolazione all’indirizzo impresso alla vita sociale dal gruppo fondamentale dominante, consenso che nasce ‘storicamente’ dal prestigio (e quindi dalla fiducia) derivante al gruppo dominante dalla sua posizione e dalla sua funzione nel mondo della produzione”.
Il consenso è quindi guidato dal “gruppo dominante” che si serve del prestigio derivante dal possesso del capitale finanziario e quindi del controllo della informazione (basta guardare la modalità di presentazione delle notizie) e lo sbocco naturale altro non è che la perdita, nei fatti, della democrazia. A tal fine Liliana Segre ci ha detto che “la democrazia si perde pian piano, nell’indifferenza generale, perché fa comodo non schierarsi e c’è chi grida più forte e tutti dicono: ci pensa lui”.
Sono trascorsi trenta secoli dall’ègemòn greco ed ancora l’uomo, nonostante la ragione dovesse prevalere, non ha capito, o per ottusi interessi economici fa finta di non capire, che la vita umana vale molto di più di ogni loro esigenza di magnificenza finanziaria e che le farneticazioni sulla volontà di egemonia mondiale o locale, i sogni di imperio sulla terra o sulla psiche di altri esseri pensanti sono una offesa all’intero genere umano e verranno inesorabilmente, prima o poi, sconfitti dalla storia futura.
PIETRO LUCIDI
