Lo spettro del fascismo.

di ROBERTO FIORENTINI ♦
La lista dei paesi che sono caduti nell’ombra dell’estrema destra si sta allungando: Francia, Italia, Ungheria, Polonia, Austria e adesso anche Spagna e Germania, un tempo su posizioni politiche differenti. Il governo di Bolsonaro in Brasile e la possibile seconda presidenza di Trump negli Stati Uniti hanno aperto un dibattito su scala planetaria su quello che una volta sembrava un fenomeno soltanto europeo. Il neofascismo – i movimenti che rivendicano l’affiliazione al fascismo classico – è, in realtà, un fenomeno marginale.
Alla base del successo della nuova destra radicale c’è il fatto di ritrarre sé stessi come qualcosa di nuovo, sia nel caso in cui non abbiano origini fasciste (Trump, Salvini), sia nei casi in cui abbiano rotto in maniera decisiva con il proprio passato (come nel caso di Marine Le Pen). La nuova destra è nazionalista, razzista e xenofoba. In gran parte dei paesi dell’Europa occidentale, almeno laddove la destra radicale sta al potere o si sta rafforzando, adotta una retorica democratica e repubblicana. Ha cambiato il suo linguaggio, la sua ideologia e il suo stile. In altre parole ha abbandonato le vecchie abitudini fasciste ma non è ancora diventata una cosa differente.
In Europa l’ondata xenofoba e razzista diretta contro gli immigrati asiatici e africani inevitabilmente assume tinte neocoloniali. Gli immigrati musulmani e i rifugiati, che ne sono il bersaglio, arrivano dalle ex colonie europee. Questo è un “ritorno del rimosso” che rivela una consistente persistenza di un inconscio coloniale europeo. Ma la vecchia retorica coloniale e fascista è stata abbandonata. Rivendicare “confini chiusi” in un’epoca di “stati cinti da muri” e frontiere militarizzate contro gli immigrati e i rifugiati per me è estremamente pericoloso. Legittima sostanzialmente la xenofobia, le difese reazionarie dell’“identità nazionale” e un ritorno alla sovranità nazionale: un ritornello postfascista.
Pensare che la globalizzazione capitalista possa essere contrastata ristabilendo i confini nazionali è un’idea reazionaria, proprio perché tutte le questioni cruciali del Ventunesimo secolo, dall’ecologia alle ineguaglianze sociali e agli spostamenti demografici, richiedono una soluzione globale.
C’è poi la questione dei social: social network e a Internet, cento anni fa, ai tempi del fascismo storico, non esistevano. I media tradizionali (giornali, radio e tv) hanno ormai irrimediabilmente perso il controllo dell’opinione pubblica a favore dei social network e questa perdita rappresenta una frattura generazionale. È ormai opinione condivisa che le forze conservatrici sappiano usare i social media meglio di quelle progressiste, anche perché dispongono di ingenti finanziamenti che le forze progressiste non hanno. La prima campagna elettorale di Trump è, in tal senso, paradigmatica. Ma davvero interessante è l’uso dei social media da parte del regime di Putin, che possiamo certamente inserire nel novero dei fenomeni oggetto della nostra analisi. In Russia i social sono diventati il grande arsenale di armi con cui bombardare le menti dei giovani russi. A volte con messaggi espliciti, ma per lo più con una comunicazione ingannevole, fino ad arrivare a cercare di convincere i ragazzi che solo attraverso uno stile di vita basato su valori sani (valori tradizionali russi) si può raggiungere il proprio benessere: “Il Cremlino utilizza strategie e importanti influencer per dominare lo spazio digitale puntando a canali come TikTok o Instagram. I ragazzi vengono attratti da questi video e non si rendono conto che sono prodotti dalle agenzie statali. È questa la nuova frontiera della propaganda del regime” come sostiene Ian Garner, autore di “Figli di Putin, indagine sul nuovo fascismo russo”. La bellezza e la purezza (della Russia) come esempio da contrapporre allo squallore e alla corruzione del diverso. Il noi e loro attraverso un video di fitness. Sembra un’esagerazione, ma lo scopo è proprio questo. Instillare nei giovani russi l’idea che esista qualcuno o qualche cosa che voglia mettere in pericolo il loro benessere, che minacci il corpo sano della Nazione: “La logica del regime è molto semplice. Ed è una logica molto familiare a tutti coloro che hanno studiato le esperienze autoritarie del XX Secolo, prima di tutto il fascismo”, spiega ancora l’autore di Figli di Putin. “La logica è così riassumibile: noi, i russi, il gruppo dominante, siamo costretti a combattere contro qualcuno che sta infettando la nostra società, la sta facendo ammalare con l’obiettivo di distruggerla. Senza questo altro, noi saremmo più forti, più solidi, più potenti”.
Certamente la domanda principale è relativa al perché questi movimenti hanno tanto consenso, specie tra i ceti meno abbienti e nei quartieri popolari. Sull’argomento è intervenuta l’inchiesta di Milena Gabanelli sul Corriere della Sera di alcuni giorni che fa affrontava l’ascesa dell’AFD in Germania. La giornalista mette in evidenza come i temi di maggiore presa siano, nella sostanza, la paura dell’immigrazione, l’avversità alle regole dell’Unione Europea, alle novità della globalizzazione e della transizione ecologica. In pratica gli stessi temi che, in un modo o nell’altro, hanno fatto il successo di Salvini prima e di Meloni adesso, nel nostro Paese. L’inchiesta, però, mette bene in luce che le ricette previste dal programma di AFD sono in realtà irrealizzabili: rimpatriare due milioni di immigrati e uscire dalla UE, in nome di una sovranità che non è niente di più che uno slogan buono per un post sui social.
Ma la domanda è certamente inevasa. Perché la gente vota sempre di più per i movimenti di estrema destra? La prima risposta che mi viene è di carattere antropologico, più che politico. Nella società della comunicazione di massa, figlia della rivoluzione digitale, gli unici valori sembrano essere il denaro, il successo e l’apparenza, in una bolla di individualismo esasperato (ed esasperante). Valori che certamente non riconducono alla solidarietà, all’eguaglianza, alla giustizia sociale. Se mi importa solo di me, cosa me ne frega della società, degli altri? Poi ci sono altre risposte più politiche: le politiche sociali dello Stato sociale sono state sempre più sottofinanziate, con conseguente aumento delle disuguaglianze sociali e della polarizzazione sociale che ne può derivare; la sinistra europea non mettendo in discussione il capitalismo, ha contribuito a normalizzare e banalizzare le disuguaglianze sociali; tutte le forze politiche, sia di destra che di sinistra, non sono state in grado di disobbedire all’ortodossia neoliberista in vigore che impedisce l’espansione delle politiche sociali;  la nuova destra radicale si racconta in lotta per la democrazia con il sostegno dei social media, in particolare amplificando le istanze contro l’immigrazione, la xenofobia, la paura per la propria sicurezza, la corruzione dello Stato sociale e i tagli alle tasse, in questo modo il consumismo e i social network hanno trasferito le preoccupazioni degli individui dalla vita pubblica a quella privata; la giustificazione dell’apatia nei confronti della democrazia (non vale la pena votare perché le politiche sono sempre le stessei politici sono tutti uguali) si trasforma rapidamente nella giustificazione entusiasta di questi movimenti che, quasi in modo paradossale, si raccontano come antisistema.
Alla luce di ciò, arrestare l’avanzata del fascismo – un imperativo per tutti i democratici – è un compito politico complesso e difficile, soprattutto perché deve essere svolto a vari livelli e in diversi ambiti della vita sociale e non solo nella sfera politica. Per cambiare questa tendenza c’è bisogno di uno sforzo che prima che politico deve essere culturale. C’è bisogno di ripensare, alla luce dei profondi cambiamenti indotti dalla inarrestabile globalizzazione e dalla rivoluzione digitale, un pensiero democratico ed antifascista che non ripeta, a mo’ di refrain, le parole d’ordine del secolo scorso ma non ne dimentichi del tutto i contenuti.
ROBERTO FIORENTINI
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