Diario di viaggio – Normandia. Quinta tappa: Le spiagge
di VALENTINA DI GENNARO ♦
“E per mesi di seguito, in quella Balbec che avevo tanto desiderato perché la immaginavo solo battuta dalla tempesta e perduta nelle brume, il bel tempo era stato così splendente e stabile che, quando lei veniva ad aprire la finestra, avevo sempre potuto, senza rimanere deluso, aspettarmi di trovare la stessa striscia di sole piegata all’angolo del muro esterno, e di un colore immutabile che era meno commovente come segno dell’estate di quanto non fosse triste come quello di uno smalto inerte e fittizio. E, mentre Françoise toglieva gli spilli dalle imposte, staccava le stoffe, tirava le tende, il giorno d’estate che scopriva sembrava altrettanto morto e immemoriale di una sontuosa e millenaria mummia che la nostra vecchia domestica avesse liberato con cautela dal viluppo di tutte le sue bende, prima di farla apparire, imbalsamata nella sua veste d’oro.”
[Marcel Proust, All’ombra delle fanciulle in fiore, traduzione di Maura Del Serra, Newton Compton, 1990]
La nostra quinta tappa in terra francese ci peta nelle spiagge di Étretat, Deauville e Trouville. Nonostante il turismo ammiriamo infreddoliti scenari sospesi, nei quali l’osservatore è libero di proiettare ed immaginare nella belle époque il brulicante soggiornare dell’aristocrazia e dell’alta borghesia parigina che occupava le spiagge, le ville e i grandi alberghi, descritti con cristallina precisione da Proust.
Immagino fotografie in lunghe pose, scattate rigorosamente in pellicola con vecchie fotocamere e particolari obiettivi, con le cabine a righe colorate e costumi castigati, con vezzosi parasole.

Le immagini ripercorrono le tracce lasciate dallo scrittore nei suoi luoghi: Cabourg/Balbec, il Grand Hôtel de la Plage, le promenades lungo le infinite e profondissime spiagge, il mare, le vertiginose scogliere, dipinte anche da Monet.
E poi infine il belvedere della Corniche di Trouville, le svettanti chiese gotiche e i suoi castelli.
Più che un reportage o un racconto di fatti queste poche foto vogliono rivestire la funzione di ritrarre i “paesaggi emotivi”, quelli che hanno costituito il panorama interiore proustiano, ma che continuano a suscitare ricordi, malinconie, epifanie in tutti noi, alla ricerca di quel nucleo nel quale le emozioni umane sono custodite.
Le maree, così diverse dalle nostre. Che ti sorprendono all’improvviso, ti bagni i piedi e poi invece ti allontanano dal fondale: scoprendo ciò che fino a poco tempo prima era sommerso. Conchiglie, ciottoli, sassolini.
Quante volte in queste pagine abbiamo parlato di verità, aletheia, a-lantano, cioè che non è più nascosto e si disvela. E allora si fa epifania. Epifanomai. Mi mostro, appaio, mi faccio vedere.
VALENTINA DI GENNARO

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