RUBRICA BENI COMUNI, 83. BISOGNA PIANIFICARE!
a cura di FRANCESCO CORRENTI ♦
Un noto personaggio del giornalismo (le cui iniziali corrispondono ai benemeriti che spengono incendi mentre lui, al contrario, attizza focose polemiche) che, nelle sue esternazioni, mi ha spesso suscitato stupore per la sua scarsa conoscenza di nozioni anche piuttosto elementari, giocherellava tempo fa con le parole. Sappiamo che i giochi di parole possono essere divertentissimi ma possono anche trasformarsi e deformarsi, assumendo aspetti che li assimilano ai giochi di mano del proverbio. In quel caso, il noto personaggio – parlando dell’architetto Renzo Piano – diceva che con lui «bisognava andarci piano», aggiungendo alcune spiritosaggini di qualità non esaltante.
Sono, ad altri livelli di bravura e di celebrità, pur sempre un “collega” di Renzo Piano ed è quindi naturale la mia reazione negativa alle suddette spiritosaggini, anche perché erano offensive non solo per Piano ma per tutta la categoria. Comunque, per quanto mi riguarda, posso dire di aver svolto, per gran parte della mia vita – proprio per definizione, per concorso regolarmente vinto e per contratto – la professione di Urbanista (“condotto”, si diceva, sempre per scherzare con le parole). Quindi il mio compito, per cui ho percepito stipendi e compensi particolari, mandando avanti la famiglia e accudendo a tutti i bisogni dei famigliari, è stato quello di «pianificare», ossia di «progettare piani urbanistici» in tutte le loro forme e varietà. Questa attività si è dipanata per ben oltre quarant’anni, avendo per oggetto i territori di parecchie località e attualmente, compiuti ben cinquantasette anni di professione e assurgendo così anche al novero dei decani del mio Ordine, posso dirmi soddisfatto della carriera, per la quale ho ricevuto, fin dai primi anni e poi nel tempo, parecchi tipi di riconoscimenti, alcuni dei quali sono conservati in idonei ripostigli, altri sono visibili sulle pareti dello studio ed altri ancora – anche coppe e medaglie, come se avessi davvero gareggiato in concreta adesione al mio cognome – stanno lì a impolverarsi (ne sa qualcosa Mariana) sul ripiano d’una libreria nella mia stanza, a testimonianza vanitosa del cursus honorum. Il gentile Lettore può andare a ritrovare, sul tema, il mio articolo di SLB “Corsi e ricorsi. Ci vuol fiato, ma fa bene…” del 15 marzo 2022.
È nell’ordine naturale delle cose, come suol dirsi, che di quei riconoscimenti e della loro origine, passati un po’ di anni e cambiate – per i casi della vita – le persone che ti conoscevano (apprezzandoti oppure disprezzandoti), il ricordo si affievolisca, la memoria si perda, si confonda, scompaia del tutto. I “nuovi” non sanno proprio chi sei. Nemmeno che sei esistito! Non so se mi spiego, ma di tutti quei piani urbanistici e dei progetti di nuove opere o di restauro di monumenti o creazione di musei, e della loro realizzazione, come pure delle tante altre cose inventate, studiate, scoperte, ideate, realizzate, cioè disegni, quadri, loghi, stemmi comunali, ricostruzioni storiche, plastici, caricature, fumetti, racconti, poesie o anche norme, relazioni, interventi, inventari, ricerche archivistiche, corsi e lezioni, attività di tutela, battaglie sostenute, offese ricevute, false accuse e torti vari subiti, eccetera eccetera, non rimane più alcuna traccia nella reminiscenza collettiva. E se il tuo busto non ha trovato posto in nessun parco della rimembranza (come abbiamo visto nella scorsa puntata sul Ponte di Vulci, nel migliore dei casi, «devi prima morire»), non te la prendere, solo con qualche coetaneo ancora “tra noi” potete rievocare le cose passate. Rassegnatevi: siete dimenticati.


Allora, per riallacciarmi all’avvenimento per cui l’altro ieri, lunedì 16 settembre, ho scritto un commento ad un post di Massimiliano Grasso sul suo profilo Facebook, trascrivendolo poi nel mio con delle aggiunte, faccio qui la stessa cosa, copiando quelle stesse frasi.
«Mi sento un po’ Apollodoro… la riapertura della “Bocca di Levante” nel porto storico di Civitavecchia era nella mia tesi di laurea del 1966 (con quella di Paola Moretti) e nel piano per il porto e il centro storico del 1990 che ottenne la targa del Premio Gubbio e fu fatto proprio dal Genio Civile per le Opere Marittime come Piano Regolatore Portuale del porto monumentale. Ma nessuno se ne ricorda… Non ne faccio un problema: i fatti rimangono.»
Delle due tesi coordinate dell’anno accademico 1965-66 e del piano particolareggiato del 1990, targa di segnalazione del Premio Gubbio di quell’anno, ne ho parlato su SpazioLiberoBlog, rubrica Beni comuni n° 67 del 25 gennaio scorso. In quei progetti era prevista l’apertura a sud, quella appunto che si chiamava la “Bocca di Levante”, e, fondamentale per la storia e per l’immagine ideale tradizionale del porto, il ripristino della forma curvilinea del Molo del Bicchiere verso terra, insieme alla demolizione dei silos, ingombranti e del tutto incongrui in quel contesto.
Nella figura 1, la prima immagine con lo studio delle previsioni progettuali riportate a rilievo in plastilina sulla foto aerea della città, rappresenta una prima fase di ipotesi della tesi (tra marzo e aprile del 1966), con una impostazione formale che si ispirava agli allora recenti progetti del mio relatore, Ludovico Quaroni (al concorso per il quartiere CEP delle Barene di S. Giuliano a Mestre, 1959), presso il cui studio lavoravo da studente. Poi il progetto si è evoluto, adottando una struttura urbana orientata secondo assi e direttrici che avevano anche lo scopo di conferire una regolarità e un ordine alla icnografia urbana. alterata da espansioni spontanee incongrue e non meditate.
Il progetto da me presentato per il Comune di Civitavecchia, essendo Sindaco Fabrizio Barbaranelli e Assessore all’Urbanistica Ezio Calderai, ha ricevuto – come detto ripetutamente – la prestigiosa segnalazione del Premio Gubbio con la motivazione che ho piacere di trascrivere qui:
«Comune di Civitavecchia. Studi preliminari per il recupero del centro storico e Piano particolareggiato del porto monumentale. Progettista: arch. Francesco Correnti, Capo settore urbanistico del Comune di Civitavecchia.
«Il Comune di Civitavecchia, nella gestione degli strumenti urbanistici attuativi e nella progettazione di alcune opere pubbliche, può fare ricorso alle preziose acquisizioni, sulla formazione e sulle trasformazioni del tessuto urbano, di uno studio sistematico e approfondito condotto dall’architetto Correnti nel corso di quasi venti anni. Un campione significativo, non solo delle ricerche rigorose e analitiche ma anche delle conseguenti proposte sia di intervento che di raccordo tra le differenti competenze da coinvolgere nell’attuazione, è offerto dagli studi per il Piano particolareggiato del porto monumentale della città. Questo ultimo appare oggi devastato dalla guerra e cancellato in molte sue parti essenziali dalle disorganiche e vistose superfetazioni post-belliche. Gli studi condotti spaziano dalle trasformazioni di scala territoriale e ambientale, legate alla fondazione del porto traianeo e ai suoi successivi ampliamenti, fino alle previsioni di recupero, tanto approfondite da dare definizione anche agli elementi architettonici e costruttivi dello scomparso passato.
«Inserita nel Piano di Recupero del Centro Storico del marzo 1990, l’opera di riqualificazione generale del porto monumentale potrà articolarsi in una successione di fasi precisamente determinate e correlate ai tempi, purtroppo lunghi, di attuazione delle previsioni connesse con le attività del porto.
«Obiettivo finale di tale ardua operazione sembra essere quello di realizzare, alla fine, una vera e propria “restituzione” ambientale, in loco e al vero, delle differenti componenti storiche delle strutture portuali di Civitavecchia. Tale intervento di restituzione intende spingersi fino alla ricostruzione del tessuto edilizio prospiciente il porto, sulla base di documentate ricerche riguardo alla conformazione delle principali quinte architettoniche andate distrutte. Il lavoro condotto dal settore urbanistico del Comune, sotto la guida dell’architetto Francesco Correnti, presenta un apprezzabile equilibrio tra il rigoroso e puntiglioso metodo di indagine e la freschezza delle immagini che suggerisce. Suggestiva è, ad esempio, la proposta ricomposizione della darsena interna, completamente circondata da edifici.»
Termino qui, con il compiacimento – confortato dai molti e in vari casi gratificanti commenti al mio post apparsi sui “social” in questi giorni – di aver esteso la conoscenza dei fatti descritti a un buon numero di persone amiche e benevole. La soddisfazione di veder realizzate le nostre idee, sia pure a distanza di molti anni, è notevole e non ha bisogno d’altro. Sappiamo bene che piani e programmi non sono cose dell’immediato ma si proiettano nel futuro. Non per nulla sono poco praticati dagli improvvisatori e dai superficiali, da chi cerca un consenso giorno per giorno, senza curarsi del dopo. Sono convinto che “piano piano”, lentamente, un poco per volta, il buon senso e i buoni piani saranno apprezzati. Utopia? Ha scritto Ludovico Quaroni: «Il senso delle cose e della vita delle cose dà (agli architetti) la certezza che questo ideale è, come ogni ideale che si rispetti, impossibile; ma è certo, anzi è sicuro, che ne vedremo, prima o poi, la realizzazione». E scusate questa ennesima citazione del mio relatore alla tesi.
La copertina, in tema, richiama un famoso giochino grafico di Fabrizio Vescovo che nel riaffermare la necessità di pianificare, doveva storcere la parola per farla rientrare nel foglio, avendo calcolato male lo spazio disponibile, cioè non avendo pianificato. Io ho indicato una soluzione, che ai problemi tecnici credo ci sia sempre, adattando la parola ai fatti.
FRANCESCO CORRENTI
