RUBRICA BENI COMUNI, 82. SUL PONTE ETRUSCO DELL’ABADIA

a cura di FRANCESCO CORRENTI ♦

Mail del 14 maggio 2013:

«Gentile Arch. Correnti, / sono la studentessa di architettura che ha incontrato sabato (…) e che era interessata ad una eventuale collaborazione alla sua iniziativa per il catalogo delle chiese ridotte a rudere all’interno del territorio della Tuscia. Colgo l’occasione per inviarle l’immagine della chiesa di San Rocco, non quella nel comune di Caprarola (da lei indicatami) ma quella presso Canale Monterano. / Mi farebbe piacere che valutasse questa mia proposta, al fine di intraprendere tale eventuale collaborazione in merito a ciò di cui abbiamo parlato di persona. Sarebbe molto interessante per me (e altri colleghi) collaborare a fini universitari ad una vera campagna di rilievo scientifico. / Cordialmente, G. S.»

Mail del 15 maggio 2013:

«Cara G., / ricambio la foto della cappellina di San Rocco presso Canale che mi hai mandato con alcune della chiesetta di Caprarola e con la locandina di un convegno da me organizzato l’anno scorso a Palazzo Farnese, nello stesso comune. / Da cosa nasce cosa. La tua proposta, suggerita da me ma non ancora approfondita più di tanto, mi ha fatto venire in mente un’idea. Già in passato, ho stipulato dei protocolli d’intesa con istituti o dipartimenti della nostra facoltà (DIPTU e ITACA) e con l’Università di Viterbo, per delle collaborazioni su vari temi. Ho avuto anche vari contatti con lo IUAV di Venezia per uno studio riferito al Ponte del Castello dell’Abadia a Vulci. Allora, se mi fai sapere i nomi dei tuoi docenti, per verificare se li conosco, si potrebbe pensare di organizzare una ricerca finalizzata alla campagna di rilievo – o almeno al censimento – dei monumenti a rischio di scomparsa (chiese, torri, casali e altro), che rappresenterebbe il “tema d’anno” del corso o qualcosa del genere. / Noi dell’Ufficio Consortile e i comuni interessati possiamo fornire un supporto da definire (probabilmente anche logistico, oltre che cartografico e quant’altro) e tu ed i tuoi colleghi, con il coordinamento dei docenti, svolgere la ricerca e dare l’esame. Alla fine, una mostra organizzata insieme tra gli enti, per sensibilizzarle il pubblico e coinvolgere le cittadinanze, potrebbe degnamente concludere il lavoro, insieme ad una pubblicazione. A te, mi sembra ovvio, spetterà un trenta e lode! E per ora fermiamoci qui. Aspetto tue notizie e ti saluto cordialmente. / Francesco Correnti»

Mail del 21 maggio 2013:

«Buongiorno, mi scuso per la risposta tardiva ma ultimamente sono stata molto impegnata nello studio. L’idea d’un censimento dei monumenti che con il tempo hanno perso (o forse no) la loro bellezza mi sembra molto interessante; tuttavia l’unico corso di restauro della laurea quinquennale sta volgendo al termine. Abbiamo già scelto un tema autonomamente con l’approvazione della Prof.ssa Marina Docci. Personalmente, insieme ad una mia collega, mi sto occupando del restauro della chiesa di San Michele Arcangelo a Formello che si trova lungo il percorso della via Francigena. Si potrebbe tuttavia organizzare un eventuale workshop che permetta comunque la realizzazione di questo lavoro, che sia al contempo un’interessante ricerca e una fonte d’esperienza per noi studenti, oppure si potrebbe valutare il coinvolgimento degli studenti del corso di restauro del prossimo anno accademico.»

Mail del 2 giugno 2013:

«Oggetto: Reliquie architettoniche. (…) Sto completando un lavoro urgente che mi impegnerà ancora fino a domani, ma conto di prendere contatto con Marina Docci, se non domani stesso, entro martedì, per sentire la sua disponibilità a partecipare alla nostra iniziativa. Ci sentiamo subito dopo. Allego un documento programmatico, il Manifesto sull’ambiente etrusco 2007-2013, che abbiamo pubblicato a marzo del 2007. Saluti / FC»

Ho iniziato questa puntata di “Beni comuni” con lo scambio di messaggi che ho avuto tra maggio e giugno del 2013 con G. S., allora studentessa di architettura, che si era interessata alla campagna di ricognizione, catalogazione e schedatura (con raccolta di documentazione, formazione di sintetica individuazione cartografica e fotografica, eventuale rilievo architettonico e del degrado), che volevamo organizzare nell’ambito dell’Ufficio Consortile Interregionale della Tuscia, estendendo la ricerca svolta per la zona di Civitavecchia e dei Monti della Tolfa ai comuni intorno al lago di Bracciano e nel Parco di Veio e ai comuni della fascia costiera (area integrata “Litorale Nord” della LR 22 dicembre 1999 n° 40, Programmazione integrata per la valorizzazione ambientale, culturale e turistica del territorio). La campagna aveva visto una fase iniziale di impostazione, aperta dal convegno internazionale di presentazione del progetto “Landsible: Integrated Landscape Park. A plan for an innovative and responsible landscape governance of ‘marginal’ areas” per il Parco regionale Marturanum, Sala Sant’Angelo, Barbarano Romano, 16-17 marzo 2007. Interventi: dott. Luca Montaccini, sindaco di Barbarano; dott. Stefano Celletti, direttore Parco Marturanum; arch. Daniele Iacovone, dirigente del Dipartimento Territorio della Regione Lazio; arch. Francesco Correnti, direttore Prusst della Tuscia; dott.ssa Anna Maria Moretti Sgubini, Soprintendente per i beni archeologici dell’Etruria meridionale; prof. Lucio Carbonara, direttore del Dipartimento di pianificazione territoriale e urbanistica Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Relazioni: arch. Antonio Correnti (anche a nome della dott.ssa Maria Lorenza Mordacchini Alfani, impegnata in altra sede) e arch. Elio Trusiani (responsabili del progetto), dott. Alessandro Lovera (provincia di Cuneo), dott. Roberto Franzini Tibaldeo (associazione culturale Marcovaldo), dott.ssa Georgia Anagnostopoulou (municipalità di Aetos, Grecia), ing. Bernardo Barone (provincia di Agrigento).

Una seconda tappa s’era svolta il 28 marzo 2007, prima con un rapido incontro tecnico a Viterbo, in piazza San Simeone, nella sede dell’Ufficio Consortile presso quella Provincia, poi al Comune di Soriano nel Cimino con il sindaco Domenico Tarantino e l’assessore Massimo Boccialoni, per definire la collaborazione – senza alcun onere per l’ente locale – con il DIPTU della Sapienza (proff. Lucio Carbonara e Giovanni Morabito), lo Spin-off accademico S.E.A. Tuscia dell’Università di Viterbo e l’Ufficio Consortile. Ulteriori collaborazioni e “buone pratiche” sono state messe in atto dall’Ufficio attraverso accordi con lo stesso DIPTU nel quadro del Master URBAM/L’urbanistica nell’amministrazione pubblica:  management della città e del territorio, con il Museo dell’Architettura di Antonio da Sangallo il Giovane a Montefiascone, con il Museo della Navigazione nelle Acque Interne di Capodimonte (Lago di Bolsena), il Castello Monaldeschi di Montecalvello (con i ricordi di Balthasar Kłossowski de Rola, “Balthus”) e moltissime altre istituzioni e associazioni del territorio.

Nel frattempo, il “Gruppo Tuscia 40”, formato da me, progettista responsabile, e dalla dott.ssa Barbara Dominici, dall’arch. Raffaella Carli, dalla dott.ssa Giulia Moscetti, dall’ arch. Simone Quilici, con la partecipazione dell’arch. Elisa Fochetti e il contributo amministrativo della signora Maria Ceccarelli, ha svolto le elaborazioni connesse all’Intesa di Programma tra la Regione Lazio, la Provincia di Roma, la Direzione regionale per i Beni architettonici e paesaggistici, i Comuni di Civitavecchia, Allumiere, Santa Marinella, Cerveteri, Ladispoli e Tolfa e la Comunità Montana Zona III “Monti della Tolfa”, facenti parte dell’Area di Programmazione Integrata “Litorale Nord”, ammessa a sperimentazione ed approvata dalla Giunta Regionale con deliberazione n° 378 del 25 marzo 2005, pubblicata unitamente al Piano nel S.O. n° 6 al B.U.R. del Lazio n° 15 in data 30 maggio 2005. Purtroppo, poi, l’esemplare attività svolta è stata vanificata, con gravissimi danni per gli enti pubblici (e i cittadini), oltre che per il Gruppo, ingiustamente privato dei compensi dovuti (vedi Nota 1).     

Per quanto riguarda le “Reliquie architettoniche”, comunque, siamo giunti ad integrare il lungo elenco delle architetture a rischio di scomparsa con un ulteriore gruppo di “luoghi da salvare” a carattere prioritario, per i quali si sono predisposti studi preliminari o anche veri e propri progetti di recupero:

  1. Chiesa di San Rocco sulla Via Cimina a Caprarola;
  2. Palazzo Chigi a Soriano nel Cimino;
  3. Campanile di Sant’Egidio/San Giulio a Civitavecchia;
  4. Facciata del Palazzo della Zecca di Castro (prof. arch. Francesco Paolo Fiore);
  5. Resti del paese abbandonato di Monterano;
  6. Chiesa di San Rocco presso Casale Monterano;
  7. Tomba Annesi-Piacentini a Trevignano Romano;
  8. Torre di Stracciacappa a Trevignano Romano;
  9. Osteria, stazione di posta e statio romana a Baccano (Campagnano Romano);
  10. Edifici sei-settecenteschi e sostruzioni romane del Casale di Vicarello (Bracciano).

A Soriano nel Cimino, per Palazzo Chigi (rectius: Palazzo Madruzzo-Chigi Albani), abbiamo raggiunto l’ottimale risultato del finanziamento integrale e del restauro completo e definitivo. Ne ho parlato qui su SLB, in questa rubrica, n° 40, del 13 aprile 2023, Studi, restauri e casi esemplari in un comune del Patrimonio di San Pietro in Tuscia, ricordando anche lo splendido intervento sulla Fontana di Papacqua, ma anche il problema delle sistematiche manutenzioni (e relativi costi), senza le quali, in breve, “tutto ritorna come prima o peggio”.

Per il Campanile di Civitavecchia, proprio domenica scorsa, primo settembre, ho ricordato la ricorrenza della festa di Sant’Egidio (dal Dizionario Treccani: “Sant’Egidio. Abate (m. 725 circa); secondo una Vita leggendaria (sec. IX-X), ateniese, si rifugiò in Provenza, prima alle Bocche del Rodano poi nei pressi di Nîmes. Avrebbe fondato un monastero benedettino attorno a cui sorse la città di Saint-Gilles. Festa, 1º settembre”), postando su Facebook, traendoli dalla documentazione CDU / AC-FCM, i miei rilievi del 1974-75, il graffito di Lorenzo Balduini del 1975 per la copertina di “Chome lo papa uole…“, le schede degli anni ’80, l’accordo (18 settembre 2018) dell’Ufficio Consortile Interregionale della Tuscia con il Dipartimento di Scienze dell’Antichità della Sapienza… E finalmente ci siamo! ormai, a giorni, in Comune, con Marco Piendibene Sindaco, Stefania Tinti, Piero Alessi, la presentazione dei risultati delle ricerche, degli studi e dei progetti per la definitiva salvezza del Campanile templare di San Giulio e la valorizzazione della mansio dei Cavalieri di Rodi e di Malta. Aspettiamo solo la disponibilità della professoressa Francesca Romana Stasolla, reduce dalle straordinarie campagne di scavo presso il Santo Sepolcro a Gerusalemme. Nella mostra, tra tanta documentazione inedita e altra già nota ma sempre importante, presenti in segreteria diverse copie della rivista “Lazio ieri e oggi” con l’articolo sul Campanile a tre “voci” (FC, Roberta Galletta ed Enzo Valentini). Presente anche un pannello con le belle ricostruzioni di Francesco Etna. Opportuna la prenotazione. Tra l’altro, già per questa mostra, è stata chiesta la collaborazione e i “crediti” dell’Ordine degli Architetti di Roma e Provincia per avviare un filone di studi sulla città di tipo veramente innovativo.

A questo punto, è arrivato veramente il momento di raggiungere l’antica Vulci, di porsi «sul ponte etrusco dell’Abadia», proprio al culmine della “schiena d’asino” e di dare uno sguardo retrospettivo ai tantissimi anni – proprio tanti! – in cui quel Castello è stato per me e Paola il «nostro Castello», in un legame sentimentale immensamente superiore a quello che potrebbe essere rappresentato da un’appartenenza materiale. È ovvio, lo conosciamo in ogni suo aspetto, «pietra per pietra», nel vero senso della parola: studiato, disegnato, “riprogettato”… ’E figli so’ figli! gridava Eduardo, ma i “luoghi” dei nostri progetti, delle nostre idee diventano proprio parte di noi, creature amatissime, da continuare a seguire con apprensione e da difendere! Anche quando, per fattori giuridici e ordinamenti vari, non ne abbiamo più quella “patria potestà” che è il diritto d’autore, mal tutelato in architettura!

A guardar bene la nostra normativa, risulta che per ottenere una qualche tutela efficace su un’opera di architettura contemporanea (vedi Nota 2) deve trascorrere un gran numero di anni e deve intervenire anche «la dipartita dell’architetto»! In parole povere: hai da morì!

Il Castello di Vulci ha costituito un felice esempio metodologico, grazie all’intelligente politica della Soprintendenza alle Antichità per l’Etruria Meridionale (SAEM), modernamente diretta dall’archeologo Mario Moretti, “figlio d’arte” ma con la chiara percezione del momento favorevole ad una conduzione dinamica dei fatti culturali. E quindi, una prassi conseguente: occupazione del bene, rapido esproprio o acquisizione in forme concordate, accurato rilievo, tempestivo progetto e contestuale reperimento del finanziamento a livello governativo, seguito senza indugi dall’immediato intervento reale. Il tutto, nel contesto di una istituzione – la stessa SAEM – organizzata come un’azienda autonoma ed autosufficiente, eppure tradizionale, con al suo interno tanto i servizi specialistici quanto gli artigiani, capace di competere con le istituzioni straniere “concorrenti” e di contrastare la nefasta piaga degli scavi e dei traffici clandestini, collaborando positivamente con organizzazioni eccellenti, all’avanguardia nei metodi scientifici. Così, l’immenso patrimonio delle necropoli etrusche ha potuto essere censito in breve tempo, grazie alle prospezioni geofisiche della Fondazione Carlo Maurilio Lerici, che consentivano di ottenere la fotografia a 360° delle camere sepolcrali attraverso il “periscopio rovesciato”, senza alcuno scavo.

Per il Castello, la buona conduzione delle procedure è stata dovuta anche alla “nostra” presenza. Anzi, alla circostanza di conoscere già molto bene, per motivi familiari, il monumento, di dover affrontare l’esame universitario di “rilievo dei monumenti” e di aver immediatamente collegato l’uno all’altro. Per ripetere esattamente le diciture dei titoli degli elaborati, le attività di «rilievo e progetto di restauro del Castello dell’Abadia a Vulci, Comune di Canino (VT), finalizzate all’esame per il Corso di Restauro dei Monumenti con il prof. arch. Bruno Apollonj Ghetti, sono state iniziate da parte del gruppo di studenti formato da Francesco Correnti, Luigi D’Elia, Maria Grazia Martini, Paola Moretti e Fabrizio Vescovo». Ottenuto il permesso di svolgere le operazioni necessarie e di accedere a tutte le parti del complesso, assumendo le necessarie precauzioni per la sicurezza, il nostro lavoro è iniziato a primavera del 1963 e si è protratto a lungo, con frequenti nuovi sopralluoghi di controllo. Al termine, si è provveduto alla stesura grafica degli elaborati con ogni necessario accorgimento tecnico per giungere alla più fedele rappresentazione degli elementi murari, della situazione statica, dei materiali e, su tavole apposite, delle cromie ambientali.

Tutti hanno partecipato all’esecuzione dei disegni (a matita, con grafite di varia durezza, su carta lucida ad alta grammatura, in scala 1:50), ma il disegno dei prospetti interni con tutti i dettagli, come l’urna cineraria scoperta tra le tegole del tetto e come anche l’aspetto di parti degradate o “rattoppate”, di infissi consunti dalle intemperie o di elementi naturali quali la vegetazione infestante, le rocce e le singolari stalattiti delle concrezioni calcaree create dall’acqua tracimata dall’acquedotto e addirittura gli “spilloni” confiscati ai tombaroli e appesi alle pareti, hanno richiesto la mia mano, “più pittorica” ed esercitata nella miniatura. Come i prospetti del grandioso ponte, invece, hanno richiesto un grande tavolo da disegno, un gran foglio di carta lucida di circa un metro per due e mezzo, il doppio degli altri, e le mani di due persone, Fabrizio Vescovo e ancora io stesso. Partendo a rappresentare, sempre al 50, pietra su pietra, il tufo, le toppe di mattoni, gl’intonaci sbrecciati e quant’altro riportato con le misure sui fogli di appunti, sempre ricontrollando le forme sulle fotografie, Fabrizio dalla sponda destra del Fiora, verso la campagna, ed io da quella opposta, cioè dal lato del Castello, per ritrovarci a congiungere i segni delle matite, dopo alcune giornate di lavoro, esattamente al centro del foglio, proprio al culmine della “schiena d’asino”, lassù, «sul ponte etrusco dell’Abadia». L’esame si è svolto il 21 giugno con il voto di 28/30, alto per l’epoca ma un po’ deludente per il nostro impegno e la passione che abbiamo dedicato all’approfondimento dello studio, alla concreta salvaguardia e al riuso del monumento.

Beni comuni 82. Figura 1

Lo studio è stato donato alla Soprintendenza, ricevendo il fervido ringraziamento del Ministero, che ha chiesto la nostra disponibilità a continuare la collaborazione. L’attività, quindi, è proseguita nel 1964 con il progetto esecutivo di restauro architettonico e di sistemazione dell’Antiquarium, condotto in collaborazione con l’Ufficio Tecnico della Soprintendenza. I lavori sono iniziati alla fine di aprile ’64, con  il restauro del tetto e la demolizione delle superfetazioni recenti. L’anno successivo, nel mese di aprile 1965, è iniziata la seconda fase dei lavori di restauro del Castello. Abbiamo redatto il progetto della scala in putrelle di ferro e gradini in legno, all’interno del torrione maggiore (il maschio) ed il 14 giugno la prima rampa, a ferro di cavallo come la parete, è stata realizzata, raggiungendo il piano superiore. Il 22 luglio abbiamo consegnato il progetto esecutivo delle porte in legno, mentre il 29 e 30 dello stesso mese ho diretto un saggio di scavo nella parte di corte a ridosso della porta del ponte levatoio, in cui abbiamo ritrovato, come previsto, un contro-fossato per alloggiare la parte interna dell’impalcato mobile. Altri disegni sono stati consegnati alla ditta esecutrice a febbraio 1966, poi il 12 giugno si è proceduto ad installare la parte superiore della scala nel torrione, formata dalle varie rampe diritte predisposte fuori opera con doppie travi inginocchiate, che sono state montate rapidamente per reggere i gradini e i pianerottoli, lasciando visibile per tutta l’altezza del maschio la parete curva del semicilindro interno. Nel frattempo, è stata messa in opera una cerchiatura di consolidamento in acciaio, nascosta all’interno della muratura, ad evitare lo “spanciamento” delle pareti. Il primo settembre (sempre del ’66), possiamo constatare che la costruzione delle rampe è giunta a 3,80 metri dalla botola in cima. Da lì, con una scaletta a pioli, in modo alquanto acrobatico, passiamo dall’apertura e saliamo sulla piazzola di sommità, dove la pianta d’ulivastro “seminata” da qualche volatile ignaro di aruspicina, che per tanti anni aveva caratterizzato il torrione ma stava compromettendone la stabilità con le radici, ha dovuto essere rimossa con la toppa di terra che s’era formata. Così riappaiono dei gradoni che ripetono la forma a ferro di cavallo del torrione, coronato dall’asola della caditoia e dal parapetto merlato sorretto dai beccatelli. I lavori proseguono a settembre, ottobre, novembre. Il 12 dicembre tutte le porte sono in opera e pure le ringhiere delle scale.

Con il 1967, gli intendimenti del Ministero e della Soprintendenza si evolvono, prevedendo campagne di scavo, un progetto di consolidamento e di restauro dell’intero monumento e il progetto di allestimento del Museo Nazionale Archeologico Vulcente. Tra le nostre convinzioni (peraltro, inizialmente, non condivise da illustri personalità), quella che il Castello fosse fin dall’origine circondato da un fossato, non solo in corrispondenza della porta verso Roma (dove abbiamo ritrovato anche gli appoggi del ponte levatoio, subito ripristinato) ma per tutto il tratto del suo perimetro non protetto dalle alte e scoscese pareti della forra del Fiora. Il fossato, in effetti, era lì da sempre, colmatosi nel corso del tempo, una volta cessata la funzione difensiva della rocca, fino a coprire di terra la parte inferiore delle mura di cinta, con le cortine e le torri. Ma ben riconoscibile – una volta svuotato a luglio ’67 e nuovamente riempito dall’acqua dell’antico acquedotto – dalle incrostazioni di calcare chiaro che coprivano i blocchi di basalto grigio scuro per oltre un paio di metri. Nel 1968, la dicitura sul cartiglio dei nostri disegni cambia ancora una volta: «Canino (Viterbo), Castello dell’Abadia a Vulci. Progetto esecutivo dell’allestimento del Museo Nazionale Archeologico di Vulci.» Oggetto dei disegni sono le vetrine e le altre strutture espositive e gli impianti tecnologici, in particolare una studiata illuminazione. I lavori di montaggio si svolgono a dicembre 1968 ed a gennaio 1969. Sono giorni particolari, per me. Ho vinto il difficile concorso per esami bandito dal Ministero della Pubblica Istruzione con D.M. 4 luglio 1967, a 9 posti di architetto della carriera direttiva delle Soprintendenze alle Antichità e Belle Arti (su 250 partecipanti). Vengo nominato in ruolo con effetto 1° aprile 1969 ed assegnato alla Soprintendenza ai Monumenti di Genova, dove ancora per otto mesi è Soprintendente Armando Dillon (ne ho parlato su SLB, BC n° 8, il 24 marzo 2022).

Ma alle ore 0,50 della notte successiva al giorno di Natale del ’68, siamo resi felici dalla nascita del nostro primogenito Antonio e «la bella opportunità di fare esperienza in quella prestigiosa istituzione genovese si conclude per le difficoltà pratiche di conciliare la costante presenza in loco con la situazione famigliare radicata a Roma. Con il figlioletto che inizia la sua crescita, la moglie presa dalle cure materne e pure impegnata nell’assistenza alla cattedra di Restauro in Facoltà, che non può esser trascurata. Per cui ho optato per la mia seconda passione professionale, dopo il restauro dei monumenti, cioè quella per l’urbanistica e le opere pubbliche, in quanto nel frattempo ho partecipato anche ad un altro concorso pubblico, quello per il posto di urbanista al Comune di Civitavecchia. È il 20 dicembre 1968 quando, dopo la prova orale di questo concorso, mi viene data comunicazione del suo esito positivo. Ho vinto il concorso e prenderò servizio il 15 di febbraio 1969.

La mia attività professionale si orienta in modo univoco e totalizzante sulla città di cui sono divenuto l’Urbanista, ma il lavoro svolto in precedenza trova attuazione e così, il 24 luglio 1975, partecipiamo emozionati all’inaugurazione del Museo Nazionale Archeologico Vulcente nel Castello dell’Abadia a Vulci. Il Soprintendente prof. Mario Moretti, presenti autorità e pubblico, mi dà la parola per illustrare i criteri di restauro e progettuali, che riassumo in poche parole: «Chiudere in vetrina i visitatori, entro un percorso ben delimitato, e lasciare liberi nello spazio dei vari ambienti i tantissimi oggetti provenienti dagli scavi, i vasi dipinti, le sculture, insieme all’apparato didattico illustrativo ed alle cartografie».

Puntuale, molto gradita, ci giunge in data 21 febbraio 1976, prot. n° 1097, Div. VI, la lettera del Direttore Generale delle Antichità e Belle Arti del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali a noi indirizzata: «Ritengo doveroso esprimere a nome di questa Amministrazione e mio personale la più sincera gratitudine ed i miei più vivi ringraziamenti per la efficiente collaborazione fornita dalle SS.VV. per il restauro del Castello dell’Abadia di Vulci, nonché per la progettazione e la realizzazione del Museo». Torneremo al Castello il 1° luglio 2003, dopo la riunione quasi plenaria dei Comuni del PRUSST a Montalto di Castro, presenti molti amministratori e tecnici dell’intero territorio. Nella visita a Vulci ci sarà preziosa guida alla Tomba François Carlo Alberto Falzetti.

Bibliografia tematica sul restauro del Castello dell’Abadia al Ponte

  • Biego, Vittoria, La Rocca dell’Abbadia al Ponte: una roccaforte pontificia di confine, tesi di laurea in storia dell’architettura (Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Facoltà di Architettura, a.a. 1999-2000, relatore Prof. Arch. Vittorio Franchetti Pardo).
  • Catanesi, Virginia, Il nuovo Museo di Vulci degli architetti Correnti e Moretti, in “Parametro”, n° 91, novembre 1980, p. 7.
  • Correnti, Francesco – D’Elia, Luigi – Martini, Maria Grazia – Moretti, Paola – Vescovo, Fabrizio, Rilievo e progetto di restauro del Castello dell’Abadia a Vulci, Comune di Canino (VT), Corso di Restauro dei Monumenti, Facoltà di Architettura, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Roma 1963.
  • Correnti, Francesco e Moretti, Paola, Castello dell’Abadia a Vulci. Progetto esecutivo di restauro architettonico e di sistemazione dell’Antiquarium (poi Museo Nazionale Archeologico Vulcente) / Varie fasi attuative, Soprintendenza Archeologica per l’Etruria Meridionale, Roma 1964-1975.
  • Correnti, Francesco e Moretti, Paola, Restauro e allestimento museografico del Castello dell’Abadia a Vulci (presentazione del Prof. Arch. Franco Minissi), relazione con diapositive al 1° Convegno nazionale “Il riuso dei castelli: esperienze e proposte”, Tarquinia, Palazzo dei Priori, 8-10 giugno 1984.
  • Correnti, Francesco, Relazione illustrativa e documentazione bibliografica e fotografica per la giornata di studio del Prusst della Tuscia presso il Comune di Montalto di Castro e il Castello dell’Abadia a Vulci (1° luglio 2003), Ufficio Consortile Interregionale della Tuscia, Civitavecchia 2003.
  • Di Girolami, Gianluca, Il museo nel castello, in “I luoghi, le città, le regioni”, n° 62, La Maremma degli Etruschi, supplemento a “Bell’Italia”, gennaio 2001, pp. 42-47.
  • Minissi, Franco, Restauro e allestimento museografico del Castello dell’Abadia a Vulci (architetti Correnti e Moretti), relazione con diapositive al 1° Convegno nazionale “Il riuso dei castelli: esperienze e proposte”, Tarquinia, Palazzo dei Priori, 8-10 giugno 1984.
  • Moretti, Mario, Vulci, De Agostini, Novara 1982.
  • Sgubini Moretti, Anna Maria, Vulci e il suo territorio, Quasar, Roma 1993.

Nota 1

Con la formazione del Piano operativo dell’Area integrata “Litorale Nord” ai sensi della legge regionale 22 dicembre 1999, n° 40, Programmazione integrata per la valorizzazione ambientale, culturale e turistica del territorio, l’Ufficio Consortile, tramite il “Gruppo Tuscia 40”, ha espletato gli adempimenti necessari per ottenere la liquidazioni degli ingenti contributi e finanziamenti (in totale circa 650.000 euro) regolarmente stanziati ed assegnati. Questo, dopo aver conseguito le approvazioni necessarie attraverso un lungo lavoro iniziato nel 2000, che ha visto la candidatura del Comune di Civitavecchia e dei sei Comuni aggregati – Allumiere, Cerveteri, Ladispoli, Santa Marinella e Tolfa –  approvata con delibera G.R. n° 226 del 1° marzo 2002 e definitivamente inserita tra le aree ufficiali con deliberazione della G.R. n° 378 del 25 marzo 2005. L’Ufficio ha poi provveduto a produrre le elaborazioni progettuali dettagliate in collaborazione con gli uffici regionali e con il BIC Lazio, in un lavoro protrattosi per tutto l’anno 2007. L’intesa di programma è stata firmata dal presidente della Regione Lazio, dal presidente della Provincia di Roma, dai sindaci dei Comuni di Allumiere, Cerveteri, Civitavecchia, Santa Marinella, Ladispoli, Tolfa, la Direzione Regionale per i Beni architettonici e paesaggistici e la Comunità Montana Zona III del Lazio “Monti della Tolfa”, facenti appunto parte dell’Area di Programmazione Integrata “Litorale Nord” ammessa a sperimentazione. Con tale deliberazione è stato approvato lo stanziamento di Euro 52.000,00 per l’esercizio finanziario 2005, sul capitolo C12501, quale quota di partecipazione regionale all’elaborazione del Programma esecutivo di Sviluppo. Il “Piano Preliminare di Sviluppo dell’Area Integrata Litorale Nord”, così come redatto dall’Ufficio Consortile, è stato pubblicato, unitamente alla deliberazione sopra richiamata, sul supplemento ordinario n° 6 al Bollettino Ufficiale della Regione Lazio n° 15 del 30 maggio 2005. Nonostante la trasmissione formale del Piano al sindaco di Civitavecchia e le sue precise disposizioni, il dirigente pro-tempore incaricato ha omesso di consegnare agli uffici regionali gli elaborati ricevuti, nei termini perentori prescritti, impedendo così la liquidazione delle somme spettanti e, quindi, danneggiando in modo molto grave ed economicamente rilevante i Comuni associati e danneggiando ingiustamente anche il gruppo di lavoro, che non ha potuto percepire i dovuti compensi e rimborsi per le prestazioni professionali svolte e per il tempo e le spese delle attività progettuali, i sopralluoghi e le numerosissime riunioni di studio, di lavoro, di ricerca e di concertazione, tenute nei vari Comuni e negli uffici dell’Assessorato regionale e nelle varie sedi del BIC Lazio.

Nota 2

Riporto le pertinenti riflessioni di Matteo Monti, L’architettura come forma d’arte: fra libertà e tutela, in “Aedon”, fasc. 1, gennaio-aprile 2019: «La prima considerazione che si può fare in tal senso è la lacuna del Codice dei beni culturali, imperniato sulla tutela vincolistica di tipo “temporale” (art. 10 Codice: 50 anni, 70 anni), che impedisce la tutela nel novero dei beni culturali delle architetture di recente costruzione: l’Auditorium Paganini di Renzo Piano, il Moma di Rovereto di Mario Botta, la Chiesa di Santa Maria Assunta a Riola di Vergato di Alvar Aalto, il Centro Islamico di Roma di Paolo Portoghesi come la Chiesa del Giubileo a Roma di Richard Meier potrebbero non trovare tutela nel periodo necessario all'”invecchiamento previsto” dal Codice, con il rischio che vengano alterati irrimediabilmente o addirittura demoliti edifici dall’indubbio valore artistico. Va, inoltre, rilevato che all’invecchiamento dell’edificio deve accompagnarsi la dipartita dell’architetto, che sembra “dover spirare” per poter vedere tutelata la propria opera. L’unico riferimento a una tutela delle architetture contemporanee nel Codice è quello dell’art. 11, comma 1, lett. e) che dispone una protezione per le “opere dell’architettura contemporanea di particolare valore artistico, di cui all’articolo 37” e lo stesso articolo 37 che dispone finanziamenti per interventi “conservativi su opere di architettura contemporanea di cui il ministero abbia riconosciuto, su richiesta del proprietario, il particolare valore artistico”. Questa forma di protezione, in cui l’intervento ministeriale ha riconosciuto la dimensione meritevole di tutela di un’opera artistica, è in realtà molto poco efficace perché incentrata su un paradigma individualistico che delega alla voluntas del dominus l’opportunità di intervenire.»

Nota 3

Desidero esprimere qui, insieme a mia moglie, il nostro ricordo affettuoso e commosso per i colleghi di quegli anni giovanili lontani ma indimenticabili e poi amici carissimi di una vita – Luigi, Maria Grazia, Fabrizio – che ci hanno via via lasciato, nel volgere inesorabile del tempo.

FRANCESCO CORRENTI

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