SOLILOQUIO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE.

di CARLO ALBERTO FALZETTI ♦

Nella notte calda e senza sonno dal profondo dell’animo un essere ha condiviso con me il lento corso della notte.

 Mi ha parlato con querula voce senza suono.

 Con lenta monotonia mi ha intrattenuto sul tempo andato.

 

Lasci me libero di parlare? Vuoi che io ridesti il tempo che è stato inabissato e che più non sarà a tua disposizione? Chi credi che io sia? Mi hanno denominato in tanti modi: anima, coscienza, daimon, ombra, genius, angelo custode, ka, fato, destino, vocazione, causa formale, voce della coscienza….Non importa il mio nome, importa solo ciò che dico.

Ti interessa sapere dello scialo che ti riguarda?

Sappi, dunque, che l’essere umano è l’essere del “possibile”. Avresti potuto fare questo, avresti potuto fare quello. Hai fatto questo, non hai fatto quello.

 Ogni scelta è un rifiuto dell’alternativa. Ti rattristano le scelte non fatte? Ti sgomenta il tempo perduto, il tempo di tante possibilità perse? E’ su ciò che la mia voce ti intratterrà in questa notte che sembra non aver fine.

Innanzitutto sappi che la gente abita spazi ma dovrebbe invece abitare “luoghi”.

Un tempo, tanta tempo fa, uno spazio si trasformava in luogo ovvero in qualcosa da vivere profondamente. Rammenti che cosa significava per gli antichi un bivio? Ed un bosco arcano? Ed un semplice muretto a secco? Spazi collettivi rivestiti di sacralità e mistero (il temenos) dove albergava un’anima del luogo. Ma, credimi, esistono tuttora spazi privati, spazi del vivere individuale che hanno la stessa capacità di essere trasformati in luoghi del tutto personali.

 Uno spazio può essere investito d’amore. Uno spazio del genere è ciò che ospita momenti di vita intensi. Uno spazio può divenire “luogo” per il nostro animo.

 Ma tu ne hai avuto piena consapevolezza? Voglio dire, quando potevi avere il potere di creare luoghi hai davvero esercitato sempre questo potere?

La verità è che hai vissuto senza comprendere e solo ora, solo ora, quello spazio trascurato diviene “luogo” per la sola ragione che lo stai ospitando nella memoria. Solo ora che è trasformato in ricordo lacerante.

 Perché, allora che potevi, non riconoscesti i luoghi?  Non sapevi che erano spazi da custodire? Erano luoghi geometrici che contenevano possibilità rimaste solo allo stato di sterile potenza. Un incontro non è evento banale. Puoi immaginare il calcolo complesso che conduce il Fato ad una coincidenza?  Ma tu pensavi che tutto fosse semplice spazio quello che ti stava soavemente ospitando e non invece il miracolo di un luogo, il  luogo protetto dal suo diligente genius loci. Eppure io ero in te, ti abitavo, ma ero spirito inascoltato.

Ed ora vorrei parlarti del tempo.

Il tempo perduto, lo scorrere tedioso di giorni ribollenti di possibilità inespresse. Quanto tempo gettato via.

Tu vivevi come se il tempo fosse al tuo fianco, l’amico del cuore sempre disponibile che non tradisce. Ma il tempo è sempre donato per poter essere tolto: gli dei concedono per poi togliere. Tutto ha il suo costo. Che cosa rende il Dio più pago: il porgere o il ritirare?

Bastava ascoltare il mio grido: adora l’attimo, ogni attimo è un dono prezioso, vivi il presente non farti lacerare dal futuro. Benedici il tempo come una grazia concessa da custodire con tutto l’amore possibile,

 Bastava ascoltare il silenzio del mare che si frangeva sullo scoglio nero in quelle lunghe giornate estive quando il sole stanco si immergeva al Pirgo. Là a Largo Caprera colmo di gioventù. Tempo lontano, tempo dileguato. Ed invece, gli animi umani sono, come dice un poeta, le api dell’invisibile: volano disperatamente per succhiare il nettare del visibile per trasformarlo poi nel sogno invisibile di cui è fatta la  mesta nostalgia.

Quanti battiti ti sono riservati figlio della Terra? Sento che trovi ingiusto il destino. Ingiusto il fatto che non ti sia concessa alcuna possibilità di ripercorrere il percorso col senno di poi. Quale rasserenante possibilità sarebbe quella di vivere conoscendo l’esito di ogni bivio!

E se valesse la favola bella di una reincarnazione? E’ questo che ti viene ora in mente? Un possibile eterno ritorno dell’uguale?

  Ebbene io ti dico che se anche fosse possibile questa via sappi bene che se ti dovesse esser data la possibilità di provare di nuovo, ebbene, saresti costretto a trangugiare l’acqua del Lethe, il fiume della Dimenticanza. Dunque, non potresti mai ri-percorrere ma solo percorrere senza poterti avvalere della passata esperienza, senza avere la minima consapevolezza dei bivi sbagliati, delle opportunità mancate, del dispendio del tempo, del non aver visto che spazi amorfi e mai luoghi. Stai riflettendo che questo sarebbe, se fosse in atto, un disegno di malvagità divina? Giudica come vuoi, questo sarebbe!

E se il vero problema fosse solo la  povertà di tempo? Ora a questo stai pensando? Il tempo a disposizione della vita è troppo poco? Sei indignato per questa scarsità?

 Con Seneca ti correggo, mio triste coabitante : “Non conta la durata della vita, ma l’uso che se ne fa….Non riceviamo una vita breve, ma breve la facciamo noi; non ne siamo poveri, ma prodighi”. Ecco le ragioni profonde dello scialo!

In ogni caso, voglio tu sappia che io non sono un agente moralistico. Il mio compito è di rappresentare il tuo doppio, la tua parte umbratile, il portavoce del tuo destino. Un doppio che vive in te e che dovrebbe, soprattutto, vivere per te ma che è spesso ignorato e che non sempre tu  hai trattato con rispetto reverenziale amando seguire ciò che l’anonimo “si dice, si fa” ti imponeva dall’esterno. Vivere autenticamente è solo una minuscola onda nell’oceano della vita inautentica.

Ma, come vedi, giunge alfine il tempo dell’amaro contrappasso.

La tua età permette la mia rivincita. E lo permette poiché, se l’oblio spesso è un gradito dono degli dei, il tuo tempo non ti concede di ricevere questo dono. E’ questo il tempo in cui la reminiscenza fa facile aggio sull’oblio!

Mi accorgo che hai preso sonno, alfine. Mi ritraggo nel fondo dell’animo, come d’uso, Deo concedente.

 CARLO ALBERTO FALZETTI

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