Di chi la competenza e la responsabilità di una partecipazione discussa?

di MASSIMO COZZI

 
In un articolo dal titolo: “Lo sport : tema del nostro tempo”, apparso su SpazioLiberoBlog  il  quattro agosto dello scorso anno, ho cercato di delineare, evidenziandone la dimensione culturale e sociale, le caratteristiche dello sport moderno, considerato, unanimemente, un “universale culturale”, percepito e definito come “fatto sociale totale”, perché soggetto a trasformazioni continue, in stretta connessione con le dinamiche  di cambiamento culturale e sociale entro un complesso sistema di definizione e ridefinizione di identità ed interessi, legati:
 
– alla gestione del tempo libero;
 
– alla rilevanza sociale assunta dallo sport di massa ed al ruolo degli Enti di Promozione Sportiva;
 
– all’organizzazione e gestione dell’attività sportiva dilettantistica e professionistica facente capo, a livello nazionale, alle Federazioni Sportive Nazionali e al C. O. N. I. e, a livello internazionale, alle Federazioni Sportive Internazionali e al C. I. O.;
 
– alla rimozione dell’idea decoubertiniana del dilettantismo che aveva impedito ed ostacolato la crescita dell’industria di settore e la conseguente  commercializzazione del prodotto sportivo. Nel giugno del 1968, il torneo tennistico di Wimbledon viene dichiarato dagli organizzatori “open”: aperto anche ai tennisti professionisti.
 
 Lo sportivo è un professionista che deve guadagnare come una qualsiasi star dello spettacolo: cade l’ostracismo all’agonismo spettacolare, il tabù del professionismo, l’enfasi della funzione pedagogica dello sport. Il linguaggio immediato e universale: misure, cifre, record; il meccanismo basato sui valori di fondo della società moderna: competizione, vittoria, sconfitta; la sua estrema riproducibilità tecnica attraverso i media e infine la sua potente azione di veicolazione dell’immagine industriale, capace di drenare impressionanti investimenti e sponsorizzazioni hanno contribuito a trasformare lo sport moderno nel più grande spettacolo dei nostri tempi.
 
Tale universalità conferisce allo sport una propria legittimazione che non lo isterilisce nella semplice ricerca del dato specifico considerato a sé, avulso dal suo contesto di riferimento, conservandone pressoché inalterati i valori che hanno sotteso e sottendono lo sport.
 
La dimensione di “universale culturale”, ad esempio, rappresenta una funzione positiva per l’educazione al comportamento sociale: i principi di base di disciplina e di educazione sono essenziali sia nel comportamento sportivo che nella vita sociale in generale. La trasmissione della cultura e dei meccanismi di funzionamento della società si riverbera sull’acquisizione conscia ed inconscia delle regole che sottendono la pratica delle attività sportive: i sistemi vigenti nello sport possono essere considerati come riflesso diretto del complesso delle norme sistematiche imposte dalla società; la socializzazione così come l’educazione comportamentale ed il rispetto delle regole che disciplinano l’attività sportiva si basano, infatti, sull’interiorizzazione di diritti/doveri, di principi morali e di norme di ruolo proprie della società.
 
Se si vuole comprendere lo sport moderno è necessario, quindi, inserirlo nella complessità dei fatti, delle condizioni, degli antecedenti, delle cause, delle relazioni istituzionali, degli attori, delle norme che hanno contribuito e contribuiscono a determinarne e regolarne la sua peculiare configurazione in un sistema organizzativo complesso non tanto per le grandi dimensioni che lo caratterizzano, quanto per la varietà e l’intreccio delle relazioni di tipo culturale, socio-economico e politico che lo connotano.  
 
A distanza di un anno, sollecitato da alcuni amici a intervenire sui Giochi Olimpici, in corso di svolgimento a Parigi, ho ritenuto importante fare una doverosa premessa propedeutica ad un tema che l’incontro di pugilato nella categoria superleggeri donne, il particolare clima psicologico e le polemiche che si sono succedute mi hanno sollecitato a trattare sinteticamente, consapevole che i risvolti di quanto accaduto produrranno i loro effetti, in generale, sulla cultura dell’organizzazione sportiva e, in particolare, sulla sua regolazione normativa e politico-istituzionale.
 
Fin dalla prima giornata ho seguito parecchie discipline e tantissime gare, incollato al televisore ed ho apprezzato l’elevato livello tecnico ed agonistico degli atleti e delle atlete partecipanti; mi sono emozionato, in occasione della partita di pallanuoto Italia-Croazia per il rigore parato da Marco Del Lungo, portiere del Settebello, nostro concittadino.
 
In questa sede, però, non mi interessa parlare di cronaca sportiva né di medaglie e di medagliere italiano, perché attengono alla comunicazione di settore, fanno parte del linguaggio sportivo e, alla fine della fiera, una medaglia in più o una in meno, costituiscono solo le mostrine da ostentare e far pesare sul piatto della bilancia nel perenne braccio di ferro con le istituzioni governative, dalle quali, ormai da tempo, dipende il finanziamento delle casse del C. O. N. I., l’Ente pubblico, che sovraintende all’organizzazione dell’attività sportiva italiana, che, a seguito di una serie di disposizioni legislative, succedutesi dalla metà circa degli anni Novanta dello scorso secolo in poi, ha perso le prerogative che la legge n. 426, del 16 febbraio 1942, (legge istitutiva) gli aveva conferito: autonomia, autarchia e autogoverno.
 
Durante questo periodo, infatti, si è evidenziata la crisi delle entrate del Totocalcio e il conseguente problema di una diversa distribuzione delle risorse. Si è assistito ad una contrapposizione tra sport professionistico – spettacolare e sport inteso come diritto sociale. Soprattutto il primo aspetto ha evidenziato il problema del doping e della violenza negli stadi, mentre il secondo ha evidenziato il decentramento dei poteri dello Stato, anche in materia sportiva, con il conferimento di competenze alle Regioni, che hanno visto rafforzata la loro funzione di garantire la pratica sportiva come opportunità per tutti i cittadini.
 
Mi interessa, invece, affrontare il “casus belli”, sollevato dall’incontro di pugilato nella categoria superleggeri donne tra l’algerina Imane Khalif e l’italiana Angela Carini, non tanto per rinfocolare, quanto per stemperare una serie di polemiche sterili suscitate dalla identità di genere dell’atleta algerina, legate, secondo alcuni, a preconcetti omofobi e sessisti, secondo altri, al corredo cromosomico X e Y, perciò maschile, e non certo alla quantità di testosterone presente nel suo organismo, perché la questione avrebbe dovuto essere affrontata dagli organismi internazionali preposti alla decisione di ammissione e/o esclusione dai Giochi Olimpici, nel caso di specie dal C. I. O., unico e solo organismo deputato a decidere in merito.
 
Senza un pronunciamento del C. I. O. l’algerina aveva ed ha il diritto di partecipare ai Giochi, anche se, a giudizio dei fautori della sua esclusione, avrebbe dovuto pesare ed essere determinante il pronunciamento della International Boxing Association, associazione, peraltro,  non riconosciuta dal C.I.O., che l’aveva, in precedenza, esclusa dai Campionati mondiali di pugilato donne, perché ritenuta biologicamente uomo.
 
Riguardo al comportamento dell’atleta italiana, approvato da  alcuni: “ha fatto bene Angela…”, lo ritengo censurabile in quanto, presentandosi sul ring, l’atleta italiana ha accettato di partecipare all’incontro senza riserve né pregiudizi.
 
Angela non avrebbe dovuto prestarsi a strumentalizzazioni che esulano dal mero ambito sportivo e porgere il fianco a una disputa insoluta che molti, al di fuori dell’ambito sportivo, sostenitori delle tesi pro e contro, non avendone titolo né le conoscenze e le competenze necessarie richieste, hanno cercato di affrontare senza costrutto. Angela avrebbe potuto, invece, tramite la propria Federazione Sportiva Nazionale e il C. O. N. I., attivare una serie di azioni giuridico-legali ed istanze presso gli organismi internazionali di riferimento a tutela dei propri diritti e, qualora non avesse avuto soddisfazione, presentarsi sul ring, così come ha ben fatto, accettando, però, le regole condivise con l’avversaria, ma, soprattutto, riconosciutane la superiorità sportiva, tributare il dovuto onore all’avversaria, dimostratasi più brava e stringerle la mano. Tutto ciò nel rispetto del fair play ed in ossequio ad un codice di comportamento etico che deve, sempre, mettere al primo posto il rispetto di sé, dell’avversario e delle regole.
 
 
 
MASSIMO COZZI
 
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Immagine di copertina tratta da wikipedia: File:Boxer of Quirinal (Mys from Taranto) – Lateral View.jpg