IL LINGUAGGIO NON E’MAI NEUTRALE
di CARLO ALBERTO FALZETTI ♦
Sul dolce declinar dei generi che Valentina sollevò prima che la calura atroce ci devastasse siano sufficienti queste brevi e pacate parole: la forma sovente può essere sostanza!
Sulla vicenda della purezza della lingua penso che la storia renda ben conto della contaminazione. Inutile insistere. Alla triade Dio Patria Famiglia si aggiunge ora il patrio idioma italico. La triade, lo si è detto viepiù, si liquida dichiarando brevemente questo: “che Dio ci liberi da Dio (termine usato temerariamente per indicare l’idolo al mero servizio), che Patria è concetto oggi internazionale, che Famiglia esiste solo laddove alberga Amore.
Sul linguaggio tentiamo di svolgere, qui di seguito, un più approfondito discorso.
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Il linguaggio è la più grande attività dell’umanità! Parlando dell’I.A. si è rilevato come la mente vada oltre il cervello proprio per via della lingua, l’elemento sostanziale della socialità. Ma ciò non toglie che lo stesso linguaggio abbia assunto al momento una posizione che presenta lati negativi. Basta riflettere per comprendere che i problemi non sono all’interno delle singole lingue e dei vari aspetti accidentali (purezza, generi…) delle grammatiche e dei lemmi ma riguardano la sostanza propria del parlare.
Davvero il parlare è il neutrale mezzo innocente con il quale homo sapiens nomina le cose traendole dal caos? ( così come il mito veterotestamentario illustra).
Altro che innocenza! Anzi , la “vera” svolta ecologica se volesse essere davvero a favore del mondo e non degli egoismi umani, dovrebbe partire proprio dal linguaggio.
La madre di tutte le dittature. L’espansione tumultuosa della I.A. è un derivato causale del “post-moderno” cioè di quello stadio dell’umano dove il mondo è stato soffocato dalla potenza semiotica: simboli, segni , segni linguistici, segni iconografici , segni di di natura commerciale, pubblicitaria, logistica, militare. E’ evidente che se tutto è mediazione, tutto diventa facilmente “virtuale”. La “cosa” nella sua realtà non può essere colta come cosa. Lo stesso linguaggio quale regno di segni e di rimandi è un grande gioco virtuale. Ecco perché il mondo virtuale promosso dalla I.A. è il logico proseguimento di questa produzione semiotica!
L’animale umano è sempre stato caratterizzato da una “pulsione a cercare un senso” e questa pulsione ha significato una continua produzione di segni cioè una produzione semiotica. Il linguaggio altro non è che un continuo rimando di segni, una rete fittissima di rimando di segni: che cosa è una mela? La mela è un frutto. Ma: cosa è un frutto? E così all’infinito.
Agli occhi dell’umano una cosa non riesce mai ad essere se stessa, è sempre un rimando ad altro, “sta per”, è un dato valore, un segno. L’uomo non è nel mondo ma sta “di fronte al mondo” per poterlo interpretare. Noi siamo l’animale che trascende sempre , che va oltre la sua posizione nel mondo. Ogni interpretazione è un rapporto a tre: l’uomo, il mediatore (linguaggio) , il mondo. Vedere una cosa del mondo significa “interpretarla”. Dunque noi non vediamo cose ma solo significati. Si pensi attentamente alla definizione di significato: il significato di un segno è la sua spiegazione, e così all’infinito.
Una mela sul tavolo è “una semplice mela” ma per l’uomo che la percepisce è l’uso che se ne fa, è un frutto, è oggetto di tassonomia, è un rimando mitico ad Adamo ed Eva, è il pomo greco della discordia, è il richiamo a New York, è il riferimento a Guglielmo Tell, è esteticamente valutabile, è un complesso vitaminico, è un prodotto che richiede certe cure agrarie, è una merce di produzione…….
Il linguaggio “produce mondo”, produce cioè una visione interpretativa, il nostro orizzonte di esistenza.
Sembra sia impossibile evitare questa mediazione fra noi e le cose del mondo. Impossibile avvicinarsi al mondo senza la mediazione dei nostri sensi e di come noi percepiamo, di come noi udiamo, di tutti i vari significati con cui rivestiamo le cose. Noi ci relazioniamo al mondo non per come esso è nella realtà ma solo nel modo attraverso cui lo percepiamo, lo sentiamo, lo schematizziamo.
Noi diciamo: il mondo è costituito “da fatti. Ma il fatto è un derivato del parlare umano, è il linguaggio che “dice il fatto”. Il fatto non sta dicendo del mondo , dice del nostro linguaggio con il quale illuminiamo il mondo. Ciò che noi chiamiamo “realtà” non è il mondo vero ma l’immagine del mondo. Ne deriva da tutto questo che esiste uno sorta di scarto, un rimosso da parte dell’ umano costituito da quell’aspetto del mondo che non è illuminato da noi. Uno scarto di mondo a noi sconosciuto, impossibile da recepire. Ciò che noi chiamiamo realtà non corrisponde alla totalità del mondo. Il mondo è un di più rispetto a ciò che chiamiamo realtà. In altri termini noi non potremmo mai essere i “padroni del mondo”: nonostante la tracotanza ed il dominio esiste quello scarto, il mistero che non può essere raggiunto dalla potenza del segno umano che tutto vuole “segnare”.
Se solo fossimo consapevoli di tutto questo traendone il giusto rispetto!
Se ne fossimo un poco consapevoli faremmo sorgere in noi una domanda: è possibile l’impossibile?
E’ possibile, cioè, pur rimanendo nella posizione di chi non può esimersi dal mettere il mondo dentro una guaina, il tentare di non avere la stessa guaina? L’idea sembra bislacca dal momento che l’umanità assomiglia ad un Re Mida condannato ad una pena esemplare per cui tutto ciò che tocca diviene oro. Tutto ciò che noi tocchiamo risulta ”contaminato” dai nostri sensi, dai nostri significati. Si può essere re Mida ed anelare a non esserlo? Si può sfuggire dalla presenza del simbolico, da quella operazione di verniciatura semiotica con la quale coloriamo tutte le cose del mondo? Tutte le risposte sembrerebbero essere negative: noi sembriamo tagliati fuori dalla esperienza diretta del mondo! Eppure…..
E’ possibile la speranza nella democrazia verso il mondo ?
Eppure l’uomo ha tentato anche questo sforzo “non umano”. Il rispetto verso le cose.
E’ l’arte a farlo. L’artista ha a che fare non con la realtà costituita dai fatti linguistici dell’uomo ma con quel residuo che sfugge- L’arte produce non in vista dell’utilizzabilità. L’arte tenta di giungere alla “cosa”, alla sua semplice “cosalità” non all’oggetto che sta di fronte in vista dell’uso e di tutti i significati che il linguaggio attribuisce. L’arte tratta delle cose del mondo non degli oggetti “in vista di”. L’artista quando è tale smette di essere un “soggetto”(dominatore dell’oggetto). Smette di essere sempre di fronte al mondo per tentare di essere “nel mondo”, cosa fra le cose. Le cose, agli occhi dell’arte, cessano di avere valore d’uso e valore di scambio, cessano di essere segni che rimandano ad altro. Sono solo se stesse: le cose sono e basta!
In tal senso ecco la provocazione sconcertante: l’arte già alle soglie del moderno non è più legata alla bellezza ma l’arte è quel anelito umano che sorge quando l’umano osa “mettere fra parentesi” la propria condizione di umanità che tutto avvolge.
Depotenziare la potenza semantica: questo il tormento e l’estasi (sarebbe utile accennare agli artisti che più hanno tentato questo sforzo, Cèzanne, Joyce, Rilke,…ma andremmo fuori spazio).
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Forse ha ragione la destra a dire che gli altri sono solo complicati. Ridurre la complessità, questo è vero populismo! Quando Umberto Eco scrisse il saggio sul fascismo perenne, da buon semiologo, aveva in mente anche questi aspetti complicati sul linguaggio..
Può far sorridere questo anelito al rispetto delle cose del mondo in un dramma di morti, assassini, guerre, devastazioni, clima avverso. Certo, dobbiamo sorridere.
Ma dopo quel sorriso di sufficienza che altro ci rimane? Siamo proprio certi che questo essere tracotanti verso il mondo sia il modo lecito di esistere? Crediamo davvero che Il non rispetto verso il prossimo, l’affamato, il reietto, il diverso, “il mondo al contrario”, non faccia parte di quella stessa catena di pensiero che reputa naturale che il mondo sia l’utilizzabile a semplice disposizione di colui che si reputa ad imago dei?
CARLO ALBERTO FALZETTI

Gran bel discorso Carlo su un tema davvero complesso quale quello del linguaggio e della sua altissima, plurima segnicita’: dico discorso proprio per la tua capacità di toccare aspetti correlati e di non tralasciare mai, anzi di porlo come acme del tuo discorrere, il segno estetico con la sua stratificazione, anzi la sua irriducibilita’ semantica. Un piacere come sempre leggerti. Grazie!
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Da sempre affascinata dalla parola, dal linguaggio, non posso che apprezzare molto questo tuo Discorso.
Ricordo al tempo della scuola Cicerone che distingueva gli uomini dagli “animali muti”:: il linguaggio come discrimine fra due condizioni “animali”.
Il Lògos è l’attività umana per eccellenza, probabilmente la più raffinata, la fenomenizzazione del pensiero.
Bello parlare di linguaggio, bello coltivarne il senso e la profonda fascinazione.
Maria Zeno
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Per convalidare la tesi della irriducibilta’ semantica del segno estetico:
” Che cosa c’è in un nome? quel che noi chiamiamo col nome di rosa, anche se noi lo chiamassimo d’un altro nome, serberebbe pur sempre lo stesso dolce profumo”.
Giulietta e Romeo.
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Ma riguardo alla purezza linguistica e le sue contaminazioni vorrei segnalare (“I limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo”) :
_una ripresa del bizantinismo ellenistico, con la discussione “sul sesso degli angeli”,
_finita l’epoca dell’esportazione della democrazia, inizia l’epoca della woke ideology.
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Oltre all’arte anche l’architettura ha un rapporto ineluttabile tra significato e significante; il segno rimanda a quel processo cognitivo che lo lega al suo significato e quando questo segno non permette questo processo il risultato è sicuramente deludente
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Nei Viaggi di Gulliver Swift racconta che gli accademici di Lagado avevano “brillantemente” risolto il problema dell’ ambiguità semantica. Non nominavano mai le cose, ma le indicavano. Per questo i loro servitori erano costretti a trasportare una quantità immane di oggetti.
Gli illustri accademici naturalmente avevano qualche difficoltà col pensiero astratto..
Ettore
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Preciso e molto interessante l’articolo, mi viene in mente una riflessione, noi umani ci siamo allontanati o non vogliamo sentirla la nostra parte “animale”, primordiale, che sarebbe quella di guardare una mela e sentirne il profumo, non ci serve linguaggio per questo.
Come dici tu il linguaggio va oltre quello che vediamo, credo anche io che solo l’arte può avere uno sguardo limpido di fronte alle cose, l’artista “sente”, colori, odori e quel sentire gli consente senza parole di riconoscere e farci riconoscere ciò che vede.
Grazie!!!
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Bellissimo.
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