L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE HA UNO SCOPO?
di CARLO ALBERTO FALZETTI ♦
L’ambiguità è nel fare dell’uomo!
Il sapere umano è possente, ma l’uomo ora lo volge al bene, ora lo volge al male.
La tragedia di Antigone è appena iniziata con il Prologo, il primo canto si è svolto e Sofocle si appresta a descrivere l’ambiguità. Dopo il Primo Episodio entra di nuovo il coro che canta il primo Stasimo:
L’esistere del mondo è uno stupore infinito, ma nulla è più dell’uomo stupendo….la Terra, santa Madre, con l’aratro affatica d’anno in anno e con la stirpe equina la rovescia….i liberi animali piega al giogo…Fornito oltre misura di sapere, d’ingegno e d’arte…Fornito oltre misura di sapere d’ingegno e d’arte , ora si volge al male, ora al bene… (Antigone, primo stasimo).
L’antico canto della grandezza dell’uomo: produrre utensili per compensare i limiti naturali di un essere organicamente “incompiuto”(l’animale che non è nel mondo ma ha il mondo”, Gehelen) . Ed è così che il mondo è visto come un insieme di cose a nostra disposizione da utilizzare nel bene o nel male. In epoca contemporanea si dirà che l’uomo nel farsi “soggetto” è quell’animale che trasforma l’essere(il fondamento del tutto) in enti la cui ragion d’essere è solo lo stare a disposizione (oggetto del soggetto). Il mondo c’è per noi! (il vento ed il sole è energia, il monte è materiale roccioso, il mare è pesca, il sottosuolo è riserva di minerali, il fiume è possibilità di diga… (e dell’”essere”, il fondamento, niente: è il grande tema dell’oblio dell’essere di Heidegger).
L’utensile è un prolungamento delle arti umane, un intermediario fra uomo e mondo (la falce manovrata dalla mano miete il grano). Con il progresso l’utensile agisce su altro utensile che si rapporta al mondo (la vite viene inserita in un successivo utensile). In un terzo stadio è l’utensile “macchina” che dialoga con altre macchine che si rapportano al mondo: si apre l’età di una “intelligenza seconda” che si affianca a quella umana. Il sogno faustiano (cioè di liberare Prometeo “incatenato”) accelerato da Galilei e profetizzato da Bacone e da Comte si va avverando. La “scienza come professione”(Weber) è giunta a simulare l’azione delle reti neuronali. Il sapere come “sapienza” viene meno in favore di una ardita specializzazione che aumenta di potenza inaudita l’efficienza tecnica (come già Spengler aveva intuito nel suo “Il tramonto dell’Occidente”). Che scopo persegue questa intelligenza prodotta dall’uomo?
A che serve, in altri termini, l’I.A.?
L’opinione diffusa pensa al Golem, a Frankstein, ad una sorta di Alexa super rinforzata a quella fantascienza che ha anticipato molta realtà esistente. Ma questa opinione è del tutto fuori strada. L’investimento che è convogliato sulla I.A. è immenso. Questo sforzo finanziario non può che avere uno scopo che giustifichi pienamente il costo: disporre di una nuova forza lavoro che permetta una completa “standardizzazione” delle fasi produttive massimizzando l’efficacia e che nel contempo permetta di essere il più possibile continua in termini di prestazioni massimizzando l’efficienza.
Questo significa rendere “superfluo” l’umano nelle fasi meccaniche e di controllo ed esautorare del tutto il ruolo sindacale: la produzione cessa di essere frenata da agitazioni di natura umana rimanendo solo sottoposta al rischio di malfunzionamenti materiali.
I grandi gruppi multinazionali del mondo occidentale ed orientale hanno questo scopo, non altro.
Ma non è solo un problema industriale. Il processo della I.A. riguarda innanzitutto l’istruzione la cui deriva possibile è l’abbandono della formazione (nel senso nobile di paideia) ed il trionfo dell’ apprendimento delle competenza. Ed ancora, i servizi in generale, la pubblica amministrazione, il commercio, l’intrattenimento. Il vero pericolo consiste nell’avanzamento “spontaneo” dal momento che la tecnica non ha limiti, la tecnica funziona e basta!
L’articolo di Matteo Vecchi nel nostro blog delinea già taluni aspetti inquietanti circa la privacy. Aggiungerei che questo diritto civile sia già abbondantemente offeso. Siamo in presenza di uno stadio nuovo che potremmo chiamare documanità ( M. Ferraris). Ogni volta che “passiamo” una carta bancaria noi lasciamo una traccia identitaria: noi siamo “continuamente” al lavoro fornendo dati sensibili al mercato che costruisce instancabilmente il nostro profilo di consumatori (una provocazione si impone: perché pagare il servizio quando, al contrario, siamo noi ad offrire un servizio?).
Che può significare la spontaneità dell’I.A. dovuta all’assenza di controllo?
Il mondo attuale è caratterizzato dalla “complessità” (globalizzazione di merci e di culture, aumento demografico, rivendicazioni civili, guerre, tecnologie digitali sempre più avanzate..).Di fronte alla complessità la scelta dell’uomo contemporaneo sembra essere quella di aggirare ciò che è complesso attraverso la scorciatoia populista in politica e la delega della razionalità alla macchina. Populismo e ragione calcolante liberano l’uomo dall’affrontare la fatica della complessità oggi regnante . Ciò che viene sacrificato è “il mondo della vita”(non più “chi è l’uomo?” bensì “come funziona?”). La ragione calcolante spazza via ogni “saggezza” (phrònesis) relegandola a semplice “rumore di fondo”. Insomma, gli aspetti negativi, nella misura in cui assorbono gli aspetti positivi conducono all’egemonia di una “logica lineare”(la logica con la quale agisce la macchina)che si pone come dominatrice del pensiero comportando un conformismo universale(Galimberti)
La proposizione “è vero?” verrebbe definitivamente sostituita dalla proposizione “a che serve?” (in molti casi traducibile con “si può vendere?”). Nel campo della istruzione, si è già detto, questa “performità” appare particolarmente violenta: la trasmissione del sapere non può che essere affidata alle reti di memoria tremendamente più veloci dei neuroni dell’insegnante. Nel momento in cui la formazione viene rimpiazzata dall’apprendimento di competenze la velocità è il vero parametro e non le categorie del giusto-ingiusto, del vero-falso classiche dell’azione formativa. La realtà digitale oscura la realtà del mondo della vita (Lyotard)!
Due, comunque, sembrano esseri i freni che si frappongono ad un avanzamento “automatico” di questo processo.
Il primo fattore è rappresentato, nell’ambito del sistema macroeconomico, dall’aggregato consumo. Se la produzione rende superfluo l’umano (a parte i programmatori e controllori dei programmi) come può avvenire il bilanciamento domanda- offerta? L’offerta sarebbe sovrabbondante causando una deflazione mondiale. Dunque, è essenziale trovare meccanismi che producano consumo e dunque reddito e lavoro alternativo. Questo frena la pervasività dell’I.A.
Secondo fattore è il controllo politico del fenomeno. Senza una presenza forte l’I.A. si rivela catastrofica impedendo di acquisire i “vantaggi potenziali di essa presenti”. Ancora una volta risorge l’ambiguità del fare umano da cui siamo partiti con l’aiuto di Sofocle..
Innanzitutto si pone il problema del profilo giuridico; quale può essere la responsabilità di una “macchina intelligente” che produce effetti sociali, pedagogici, di giustizia. Pensiamo alla possibilità di elaborare verdetti velocizzando il processo produttivo dei tribunali (possibile facilmente sul piano civilistico, meno su quello penale), pensiamo alla scuola a distanza, pensiamo alla medicina a distanza che, acquisendo l’anamnesi e gli esami fisiologici e radiologici (che la macchina stessa acquisisce) elabora la diagnosi, la terapia e produce la prescrizione in tempo reale. La soggettività giuridica della macchina è il problema degli anni a venire e questo problema non risolto avviene mentre il progresso dell’I.A. procede a velocità impressionante. Il problema etico sorge perché non siamo più di fronte ad una macchina “a mia disposizione” per cui si può asserire che è l’utente il responsabile degli effetti. Una macchina intelligente è una cosa diversa che ancora non capiamo dal punto di vista giuridico ed etico.
Si profila, in sintesi, un “destino”, che certo non è cosa di poco conto.
Di fronte ad un destino l’unica azione giustificata è riconoscere questo destino tentando il possibile per
acquisirne anche i lati positivi. La cultura, intesa come Kultur, è un organismo che nasce come necessità inesorabile sopprimendo la cultura precedente. La cultura nella quale siamo nati ed abituati è ormai nello stadio della piena realizzazione (Zivilisation) e si avvia alla estinzione: questo
volevo intendere con la parola destino!
Un destino che ha a che fare con le nostre forme di vita e che pertanto deve essere affrontato, come dicevo, in modo tale che possa essere volto alla felicità dell’uomo (macchina certo sapiente, ma amica).
Utilizzando Cicerone (Le discussioni di Tuscolo) potremmo dire che il lavoro nominato in termini greci si dice pònos, termine questo che significa lavoro, produzione ma, al tempo stesso, fatica, sofferenza, dolore fisico. In termini latini invece, si vanta Cicerone, si distinguono i due concetti, labor e dolor. Dunque, l’I.A. deve liberare l’uomo dal generico pònos , dal lavoro inteso come fatica e dolore e permettere all’uomo che lavoro sia solo labor e non anche dolor.
Ma non è, come detto, questo l’intento dell’I.A. su cui si investe prepotentemente.
Ecco perché la politica di controllo (che non può essere che internazionale) è essenziale.
Si pensi alla genetica “negativa” ovvero alla possibilità di liberare il corpo dalla malattia intervenendo a priori sul DNA. Ma, al tempo stesso, si pensi alla possibilità di una genetica “positiva”, ovvero il miglioramento genetico manipolando il DNA. Questo esempio rende chiaro il problema che ci sta di fronte: l’homo technicus può avere una trasmutazione non solo esteriore ma anche del suo stesso modo di esserci. Pensiamo alla follia ancora imperante di “selezionare” l’umanità insistendo di nuovo sul concetto assurdo della razza. L’uomo non più attore della tecnica ma semplice oggetto di essa (il richiamo a Rosemberg, de Gobinau e H.S. Chamberlain non è fuori luogo, ben conoscendo la volontà di potenza dell’uomo) .
Il problema successivo deve rispondere ad un quesito fondamentale: è possibile arrivare ad una completa equiparazione fra intelligenza prodotta dall’uomo e intelligenza dell’uomo? Una risposta chiaramente di filosofia della mente che rimandiamo al prossimo articolo.
CARLO ALBERTO FALZETTI

Documanita’ di M. Ferraris è un gran bel libro, che da una complessa lettura della complessità, in particolare sulla funzione del linguaggio scritto. Ancora non si è risolto l’antico tema del privilegiare il linguaggio scritto o quello orale, (Theuth, mi sembra).
Come in un luogo fantascientifico mi sento di privilegiare il silenzio degli animali, degli in_fanti, o al minimo i messaggi nella bottiglia, i messaggi sul cartone dei mendicanti, lo slang nei gabinetti della scuola, i messaggi di chi cerca l’Altro mondo e si suicida, e le rivelazioni della pura poesia.
"Mi piace""Mi piace"
Grazie per questo bel contributo Carlo, lo aspettavo dalla telefonata di settimana scorsa!
Purtroppo molte politiche di controllo sono già in atto ed i privati (ben saldi all’idea di nazione e chiusura) tutto fanno per venderci l’idea di una IA avanzata, sovrapponibile nel senso do maggiore evoluzione rispetto a all’attuale intelligenza umana e soprattutto verso l’affidamento a privati di tutto il processo IA; dalla programmazione al funzionamento. Sul versante lavoro, per ora, mi taccio…
Sono curioso di leggere i prossimi articoli, a presto!
"Mi piace""Mi piace"
Mi chiedo, come si chiede anche la scrittrice Chiara Valerio, ma chi ha creato l’intelligenza artificiale? Non l’ha forse creata l’umanità? Da Prometeo e il suo furto della prima tecnologia, il fuoco. Rubato a dèi che non praticavano la lettura. Da allora tecnologia, intesa come miglioramento delle possibilità umane, e riti religiosi sono andati di pari passo. Non gioiamo forse dei miracoli della tecnica e della scienza quando sconfigge la parte biologica delle malattie che ci affliggono?
Potremmo, come hanno fatto altri prima di noi citare Proust, per il quale nella ripetizione c’è il senso della realtà, a Solaris di Stanislaw Lem. La base spaziale – nella quale ciascun ricercatore vive nella sua cella e il protagonista vi ritrova la moglie morta – «fa quello che fa l’IA, ci riporta la nostra memoria, personale e di specie. Sul passato è molto precisa, perché ha più informazioni che sul presente e sul futuro».
Perché l’IA siamo noi. «È umana? Sì» ricorda Chiara Valerio
"Mi piace""Mi piace"