A Civitavecchia anche la 62^ edizione del Premio Campiello

di ERNESTO BERRETTI ♦

Nel 1962, la prima edizione ha premiato “La tregua” di Primo Levi (foto da sito Unindustria)

BERRE IMG 2Nel nostro porto storico, da tre anni a questa parte i finalisti del Premio Campiello godono del tramonto civitavecchiese, tanto amato da Stendhal, dando le spalle alla Fontana del Vanvitelli e guardati dall’alto da merli immobili e gabbiani spazientiti.

Quest’anno, si contendono la finale del 21 settembre, al teatro La Fenice di Venezia, cinque libri di narrativa. Di bella e varia narrativa. Di testi importanti scritti da penne importanti: IL FUOCO CHE TI PORTI DENTRO di Antonio Franchini – Ed. Marsilio; ALMA di Federica Manzon – Ed. Feltrinelli; LOCUS DESPERATUS di Michele Mari – Ed. Einaudi; DILAGA OVUNQUE di Vanni Santoni – Ed. Laterza; LA CASA DEL MAGO di Emanuele Trevi – Ed. Ponte alle Grazie. Ciascuno di questi scrittori vive la letteratura contemporanea ad altissimi livelli, e sentirli rispondere alle domande del nostro Gino Saladini, anfitrione sempre più a suo agio in eventi di tale spessore, è stata un’esperienza piacevolissima, allietata dal sound garbato del trio CaFè Sound formato da Anthony Caruana alla chitarra, Gino Fedeli al flicorno e Matteo Aguzzini alle percussioni.

BERRE IMG 1Grazie alla lungimiranza di Cristiano Dionisi, nominato recentemente Presidente delle piccole e medie imprese di Unindustria – coordinatore delle copartecipanti associazioni, istituti scolastici e Proloco – e all’immancabile necessario sostegno della Fondazione Ca.Ri.Civ., dell’Autorità Portuale e dei partner commerciali, il Premio è diventato una ricorrenza culturale, prestigiosa ed elegante, che apre la stagione delle rassegne estive e dei premi letterari che ormai fanno di Civitavecchia una città in cui si inizia a parlare di cultura senza complessi. Certo, c’è ancora tanto da fare, ma la rete tra le associazioni culturali si rafforza sempre di più e, senza legacci burocratici e strutturali, potrebbe essere il reale valore aggiunto per restituire nel migliore dei modi l’appellativo di “bella città d’incanto”. È fondamentale l’impegno nel formare un pubblico, che solo se curioso potrà diventare interessato. Partecipazione, per essere liberi davvero; cultura come traino per la crescita, parafrasando le parole sul palco sottolineate anche dal neo sindaco Marco Piendibene.

Ma vi chiedo scusa, mi sono lasciato prendere dal fervore: rientro sul Premio Campiello e chiudo con le schede dei libri realizzate per l’occasione.

IL FUOCO CHE TI PORTI DENTRO

di Antonio Franchini – Ed. Marsilio

BERRE IMG 3Quanti di noi abbiamo mantenuto quella forma di venerazione verso la propria madre, concentrandoci esclusivamente sul “buono” per garantirci una calda coperta per l’inverno della vita? Quasi tutti. Perciò, se qualcuno accetta di esporsi alle intemperie della sfera affettiva, approfittiamone per osservarci, interrogarci e, chissà, magari per rappacificarci. Questa è quasi un’ispezione nella vita della madre dell’autore, una donna dal carattere difficile, uno specchio che riflette cinicamente tutti gli aspetti peggiori dell’Italiano medio. Un memoir popolato di personaggi che circondano la protagonista sempre al centro della scena, un’eroina eccessiva e imprevedibile capace di alternare toni drammatici e ossessivi a momenti decisamente comici. Quale esperienza, manifesta o occulta, quale frustrazione, quale nascosta ferita può rendere tanto ostili, rabbiosi, refrattari a qualsiasi forma di pacificazione? Quale motivo, semplice o complesso, sta dietro la furia di Angela: la guerra che la segna da bambina?, un padre morto troppo presto o una madre morta troppo tardi che gli ha, a sua volta, influenzato la giovinezza e la maturità?, un atavico complesso d’inferiorità o l’appartenenza alla cultura del Meridione oppresso le cui ragioni Angela vorrebbe far valere contro l’odiato Nord usurpatore? Oppure, più semplicemente, il fuoco interno che la divora è privo di qualsiasi ragione come il cuore nascosto di un vulcano?

Antonio Franchini ha 66 anni ed è nato a Napoli. È stato un editor storico della Mondadori. Dal 2015 è direttore editoriale della narrativa, della saggistica, e della varia non illustrata della casa editrice Giunti. Ha vinto premi letterari e curato raccolte. Questo è il suo undicesimo libro.

ALMA

di Federica Manzon – Ed. Feltrinelli

BERRE IMG 4Alma vuol rifarsi una vita. Lascia Trieste, ma dopo soli tre giorni ritorna in città per raccogliere l’inattesa eredità del padre, un uomo senza radici che odiava il culto del passato e i suoi lasciti, pieno di fascino ma sfuggente, diviso tra Italia e Jugoslavia; ha sempre nascosto il suo lavoro all’ombra del maresciallo Tito. Stavolta Alma ripercorre una mappa dimenticata della sua vita: la bella casa del viale dei platani dove ha trascorso l’infanzia grazie ai nonni materni – custodi della tradizione mitteleuropea, dei caffè colti e mondani tanto distanti dal disordine chiassoso di casa sua – e la casa sul Carso, in cui si sono trasferiti all’improvviso e dove è arrivato Vili, figlio di due intellettuali di Belgrado amici di suo padre. Vili che da un giorno all’altro è entrato nella sua vita cancellando definitivamente l’Austria-Ungheria. Adesso è proprio dalle mani di Vili, che è stato “un fratello, un amico, un antagonista”, che Alma deve ricevere l’eredità del padre. Ma Vili è l’ultima persona che vorrebbe rivedere. I tre giorni culminanti con la Pasqua ortodossa diventano così lo spartiacque tra ciò che è stato e non potrà più tornare, e quello che sarà. È un romanzo dove identità, memoria e Storia – personale, familiare, dei Paesi – si attraggono e si respingono continuamente, rendendo Trieste il punto di vista da cui scrutare i nostri tentativi di capire chi siamo e dov’è la nostra casa.

Federica Manzon è nata a Pordenone nel 1981 ed è laureata in filosofia. Vive tra Milano e Trieste ed è direttrice editoriale della casa editrice Guanda. Ha esordito nel 2008 con Come si dice addio (Mondadori), a cui sono seguite altre pubblicazioni, premi e antologie di cui è stata curatrice.

LOCUS DESPERATUS

di Michele Mari – Ed. Einaudi

BERRE IMG 5In filologia, il locus desperatus indica un passo testuale corrotto e insanabile, per il quale il filologo è costretto a gettare la spugna contrassegnandolo con la cosiddetta «croce della disperazione». E a dare l’avvio a questa storia è proprio una piccola croce, disegnata nottetempo con un gessetto su una porta. Un mattino, uscendo dal suo appartamento – arredato con grande gusto e altrettanta paranoia – il protagonista nota quel segno appena sopra lo spioncino dell’ingresso di casa. L’uomo cancella la croce, ma il giorno seguente, e poi quello ancora successivo, il segno ricompare implacabile. Il mistero s’infittisce quando al residente viene imposto uno scambio: qualcuno prenderà il suo posto, e lui dovrà giocoforza trasferirsi. Ma cambiando abitazione sarà costretto a cambiare anche identità. Tutte le cose dentro l’appartamento, infatti, dovranno a loro volta scegliere: o fuggiranno insieme a lui, oppure passeranno a un nuovo proprietario macchiandosi di alto tradimento. Perché ogni oggetto amato ha un’anima, e dunque una sua volontà. La casa è il luogo in cui l’inconscio di chi ci abita, dopo una lunga frequentazione, è divenuto tutt’uno con i libri, le stampe, gli oggetti e i ricordi d’infanzia. Il protagonista affronta lo struggimento e le ossessioni per i feticci accumulati nel corso di un’esistenza, ingaggiando un duello con la propria memoria affettiva. Il romanzo consegna una stramba discesa agli inferi e insieme una spietata tassonomia dei ricordi. Tormenta e diverte il senso ultimo che diamo agli oggetti: «Senza le mie cose io non sarei stato più io, e senza di me loro non sarebbero state più loro»

Michele Mari è docente di Letteratura italiana all’Università statale di Milano. 68 anni: scrittore, poeta e filologo, collabora con alcuni quotidiani. I temi più ricorrenti nei suoi romanzi sono quelli dell’infanzia e della memoria. Ha ricevuto diversi premi letterari, sia per i romanzi, sia per la poesia. Nel 2014 è stato finalista al Premio Campiello con “Roderick Duddle”.

DILAGA OVUNQUE

di Vanni Santoni – Ed. Laterza

BERRE IMG 6I graffiti sono la forma primordiale di quella che oggi conosciamo come “street art”, la forma creativa che spacca letteralmente la società: c’è chi è a favore o contro; chi elogia gli autori come veri artisti o li condanna come vili teppisti; chi resta estasiato di fronte ai pregevoli decori o s’indigna per gli insulsi imbrattamenti. A quanto bisogna risalire nel tempo per raccontare la nascita dei graffiti? Fino alle grotte di Lascaux, alle incisioni sulle pareti di Pompei, o ai disegnetti virali lasciati dai soldati americani durante la guerra? Di certo è a partire dai primi anni ’70 del secolo scorso, tra i ragazzini dei quartieri poveri che iniziano a taggare le strade di Philadelphia e New York, che il fenomeno prende piede, esplode e dilaga in tutto il mondo. Da allora è un proliferare di nomi, un evolversi di stili e filoni in cui è quasi impossibile mettere ordine. Nonostante la repressione sempre più dura e l’ossessione per il decoro, oggi i graffiti sono ovunque, hanno vinto. La street art si vende nelle case d’asta, si usa in pubblicità, diventa addirittura strumento della speculazione immobiliare. Cosa è rimasto dello spirito clandestino delle origini? Per scoprirlo, questo romanzo ci porta tra gallerie d’arte e depositi dei treni, con il cappuccio della felpa tirato su e un paio di bombolette nello zaino, a sentire l’odore della vernice e l’adrenalina che sale improvvisa, muovendosi nel buio per mordere la carne della città e rivendicare il diritto di esistere in uno spazio urbano dominato dalle logiche del profitto.

Vanni Santoni, ha 46 anni ed è laureato in Scienze politiche. Ha cominciato a scrivere nel 2004 sulla rivista di cultura underground “Mostro”. Con il libro sperimentale “Personaggi precari” si è imposto all’attenzione della critica e del pubblico. È stato paragonato a Guido Ceronetti e Aldo Busi per lo stile, mentre Tiziano Scarpa lo ha accostato a Georges Perec.

LA CASA DEL MAGO

di Emanuele Trevi – Ed. Ponte alle Grazie

BERRE IMG 7La madre dell’autore, allora bambino, riferendosi al padre glielo ripete spesso: «Lo sai com’è fatto». Per non perderlo occorre comprendere e accettare la legge della sua distrazione, della sua distanza. Il padre, Mario Trevi, celebre e riservatissimo psicoanalista junghiano, per Emanuele è il mago, un guaritore di anime. Alla sua morte lascia un appartamento-studio che nessuno vuole acquistare, un antro ancora abitato da Psiche, dai vapori invisibili delle vite storte che per decenni ha lenito, raddrizzato. Così il figlio decide di farne casa propria, di trasferirsi nella sua atmosfera inquieta e feconda, e così facendo prova a sciogliere (o ad approfondire?) l’enigma del padre. Muovendosi fra autobiografia, riflessione sul senso dei rapporti e dell’esistenza e storia culturale del Novecento – accanto a personaggi contemporanei, tra cui spicca la prostituta peruviana Paradisa, figurano Carl Gustav Jung, Natalia Ginzburg, Giorgio Manganelli, Ernst Bernhard –, Emanuele Trevi ci offre il suo romanzo più personale, più commovente, più ironico e, a tratti, umoristico. Una discesa negli inferi e nella psicosi, una scala che avvicina i vivi e i morti, i savi e i pazzi. Perché ogni vita nasconde una luce, se la si sa stanare; e i gesti e le parole più semplici rimandano alla trama più sottile dell’essere, se li si sa ascoltare, se si sa lasciarli accadere.

Emanuele Trevi è nato a Roma nel 1964. A trent’anni ha pubblicato il primo saggio sulla letteratura “Istruzioni per l’uso del lupo”. Ha curato e tradotto classici francesi e italiani, tra cui testi di Leopardi, Salgari e altri autori del Novecento. È editor, collabora con RAI Radio 3 e scrive per importanti quotidiani. Nel 2003 ha scritto il romanzo “I cani del nulla. Una storia vera”. Con “Due vite” ha vinto il Premio Strega 2021.

ERNESTO BERRETTI

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