“PESCI, PESCATORI, PESCIVENDOLI E CONSUMATORI” DI GIORGIO CORATI – Ricambio generazionale: questione “aperta” nell’attività della pesca
di GIORGIO CORATI ♦
Il cosiddetto ricambio generazionale può essere genericamente considerato un processo di accompagnamento alla conduzione di un’impresa in prima persona o nell’insegnamento di un mestiere. In genere l’effettivo coinvolgimento in tale nuovo ruolo vede un erede che rileva, per così dire, le leve di comando dell’attività di famiglia. Le difficoltà del passaggio di generazione in generazione sono molteplici e non da ultimo possono sorgere dalla generica non adeguata capacità di gestione da parte del nuovo entrante. Analogamente, imparare un mestiere non è cosa di poco conto. Certamente sono importanti la propensione al tipo di lavoro e la volontà di svolgerlo. La considerazione riguardo alla motivazione può non essere da sottovalutare, soprattutto se criticamente la si osserva come fattore di spinta connessa a una ragionevole aspettativa di realizzare un risultato apprezzabile per se e possibilmente apprezzato dagli altri. Gli altri, che genericamente definiamo consumatori, per certi aspetti sono arbitri tra aspettative proprie e prestazioni altrui. In questa visione, quanto ruota attorno alle prestazioni e ai loro effetti, o meglio al lavoro in senso lato, ha sempre più necessità di essere comunicato all’esterno, raccontato al mercato nell’aspettativa che una buona reputazione possa mantenere viva le relazioni interpersonali che determinano per certi aspetti il mercato stesso e che la storia dell’attività, anche quella famigliare, possa essere fattivamente tramandata.
Così come avviene in varie attività economiche e soprattutto in molti mestieri in genere legati ad attività artigiane, allo stesso modo e forse in maniera ancor più preoccupante, il ricambio generazionale è peculiare tra i temi e le questioni connessi al settore dell’attività primaria della pesca. Se da un lato è impensabile un mondo senza pescatori, dall’altro la mancanza di nuove generazioni di pescatori è una preoccupazione che non può essere sottovalutata. Certo, non si può far finta che questo lavoro, come altri, forse più di altri, è particolarmente faticoso, permeato di difficoltà di vario genere e di conflittualità in seno al mercato globale. Pur tuttavia, è auspicabile che vi siano giovani che si appassionino all’attività dei padri o alla prosecuzione dell’attività famigliare e che, possano riconoscere e apprezzare il ruolo importante che il mestiere comporta e del quale certamente non si può disconoscerne il valore sociale.
Il tema è una questione “aperta”, spesso oggetto di recriminazioni da parte di anziani pescatori nei confronti sia dei propri figli sia delle nuove generazioni che sono o che potrebbero essere i potenziali pescatori del domani. Gli anziani pescatori in genere pongono un accento critico sul disinteresse apparentemente mostrato dalle giovani generazioni. In genere, quando si parla di giovani si tende a considerare il loro scarso interesse per il mestiere. Da ciò non può semplicemente rilevarsi e addebitare loro una colpa.
Se […] “negli ultimi anni, eventi e contingenze” […] “da un lato hanno creato difficoltà all’attività di pesca primaria, dall’altro hanno “favorito”, per così dire, riflessioni sul futuro del lavoro e, certamente, in molti casi hanno anche sostenuto delle scelte di vita. Diversi giovani si sono avvicinati al mestiere di pescatore, intraprendendo anche iniziative imprenditoriali” (www.spazioliberoblog.com).1
Tuttavia la mancanza di una numerosità adeguata di pescatori che possano garantire nel tempo un minimo indispensabile di prodotto della pesca è un dato certo.
In merito, nel luglio del 2023 l’Approvazione del Piano del mare per il triennio 2023-2025 da parte del Governo (www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2023/10/23/23A05758/sg)2 riporta dell’importanza del reclutamento di lavoratori stranieri nel settore della pesca, ammonendo che:
[…] “nella pesca il fabbisogno di lavoratori stranieri rappresenta una reale emergenza, da affrontare con gli appropriati strumenti politici ed amministrativi, data la delicatezza del tema. Il mondo della pesca stima una domanda per circa 1.000 lavoratori annualmente. Attualmente la forza lavoro totale
presso le imbarcazioni italiane è stimata intorno a 25.000 unità. L’inserimento degli stranieri ha bisogno di utilizzare gli spazi aperti, ad esempio quanto previsto nel decreto-legge 10 marzo 2023, n. 20, sull’ingresso e soggiorno al di fuori delle quote. Ma naturalmente servono lavoratori in possesso di titoli e requisiti; dunque, va incrementato lo sforzo sulla formazione e sulla acquisizione dei titoli. Il quadro è complesso, c’è un impegno presso le amministrazioni competenti ad accelerare il percorso con la consapevolezza che la formazione degli equipaggi da pesca, attraverso una regolare reclutamento della forza lavoro, è una reale emergenza. La mancanza di ricambio generazionale, dovuta anche alle dinamiche demografiche italiane aggrava il quadro” (p.114).
Se facciamo un viaggio a ritroso al tempo, indagando nella Industria della Pescagione lungo la costa nord del Lazio, è curioso notare che il problema non è “nuovo”. La ricerca e la necessaria assunzione di personale “estero” nell’attività della pesca, soprattutto a Civitavecchia, si rileva da documentazioni storiche riportate.
Per il Governo pontificio è forte la consapevolezza dell’importanza dell’attività in termini di gestione pubblica del settore dal punto di vista economico-sociale e dunque come un’occasione da sfruttare per creare ricchezza in termini di reddito anche da ridistribuire, senza perdere di vista l’obiettivo dell’altrettanta necessità dell’incremento demografico all’interno del territorio amministrato. “Favorire stabilmente il mestiere e l’attività professionale del pescatore a livello locale diventa una priorità nel corso dei secoli” (UILA Pesca, 2019, p.10).3
Durante il suo soggiorno a Civitavecchia dal 1710 al 1716, padre Labat annota nel suo diario di viaggio una caratteristica della pesca locale che a noi qui interessa. Il frate domenicano transalpino sottolinea (UILA Pesca, 2019)
“che i pescatori operanti nella marina civitavecchiese sono forestieri, provenienti addirittura da paesi “stranieri”: la Repubblica di Genova e il Regno di Napoli. La presenza di pescatori “forestieri” è il limite ma anche preziosa risorsa della flottiglia peschereccia civitavecchiese che negli anni si sviluppa parlando i più diffusi dialetti italiani” (p.67).
È del 1829 una nota del Marchese Calabrini (UILA, 2019) in cui scrive che i “Paroni” (padroni) [delle imbarcazioni da pesca a Civitavecchia] chiedono di “emanare una legge disciplinare in addizione a quelle già esistenti che tenga a freno la marineria, conservi l’ordine e la subordinazione” (p.74).
A quei tempi la mancanza di ordine e l’insubordinazione tra i membri di equipaggio era dovuta anche al fatto che le maestranze di origine esterna al territorio erano spesso composte da lavoratori allontanati o ripudiati da altre marinerie già meglio definite di quella civitavecchiese – “per lo più persone restate prive d’impiego nei loro paesi per cattiva condotta, i quali seminando la discordia e corrompendo le buone disposizioni dei Nazionali” come riportato da Ciancarini (UILA Pesca, 2019, p.74).
Nella premessa di una loro nota, “i capitani delle paranze si lamentano del comportamento dei loro marinai” (UILA Pesca, 2019):
[…] “il soverchio concorso dei pescatori esteri, che per loro sistema, menando una vita frugalissima son ben contenti di quel meschino introito, che in confronto non può essere sufficiente ad alimentare i Marinari Nazionali colle loro numerose famiglie.
Per supplire alla mancanza dei Marinari d’uopo sarebbe richiamarli dall’estero coll’allettamento di qualche vantaggio che rendesse lucroso il loro mestiere e assicurasse loro una sussistenza senza la quale le loro fatiche resterebbero infruttuose.
Riunita così una massa sufficiente di Marinari col numero dei Nazionali esistenti, e di esteri chiamati dai ripromessi vantaggi. Si rende indispensabile assoggettarli ad un’esatta ed austera disciplina, avvalorando la forza dei regolamenti già esistenti, con altri provvedimenti di massimo rigore eseguibili senza restrizione, imperciocché il fatto ha dimostrato che i Marinari Nazionali conoscendo la ristrettezza del loro numero e la necessità di doversi servire della loro opera, vessano, inquietano e continuamente indispettiscono i Proprietari, dal che ne nasce lo scoraggiamento” […] (p.74).
GIORGIO CORATI
