14 MAGGIO.

di CARLO ALBERTO FALZETTI

Ripropongo un vecchio articolo riadattato per ricordare questa data.

Angelo nero che il cielo ti ha generato

consumasti il mio corpo

unendo te a me in un delirio ardente.

Da dove giungesti?

 

Su di noi scintillava il maggio. Vie che risuonavano di voci, odore delle gemme in fiore,  frittelle dal sapore intenso.

Traboccava la primavera e con essa il soffio del mare che attirava i sensi.

Ardevo anch’io ma di un incanto diverso.

Volevo come una carezza soffice che il mare levigasse i miei  piedi. Volevo  con occhi di fanciulla.

 

Ma tu dove eri? Dove ti nascondevi?

Il fato, laborioso operaio,spietatamente preparava il suo ordito.

Nella tua carcassa di ferro avevano deposto già il mio destino.

Un macabro patto nuziale doveva unire le nostre vite:  Io ti dovevo appartenere!

 

Ti avevano trasportato nelle coste africane.

La mattina del 14 maggio ti infilarono nel ventre di un grosso velivolo che cominciò a rollare, a decollare.

Tu sorvolavi il mare già da qualche ora.

Io non ti avvertivo. Non potevo sapere , ignoravo il futuro. Immersa come ero nel mio presente colmo.

 

Ero nella mia stanza da letto, avevo pranzato con i miei. Mi preparavo ad uscire. Alle tre, al Pirgo, spinta dal richiamo di un innocente amore.

Tu eri giunto sul cielo della mia città.

 Sotto le ali  del tuo traghettatore il porto.

Una sonnolenta fila di soldati si snodava lungo la via  per arrivare ad una nave in attesa.

Il rombo appena avvertito.

 La città intorpidita in quel caldo pomeriggio.

 Fra non molto quello spazio abitato sarebbe cessata di esistere, all’improvviso.

 

Potevo indugiare. Potevo non uscire dalla stanza da letto. Potevo sfuggire a quel fatale appuntamento con te.

Ma tu! Tu avevi un complice, che terribilmente ti prestava aiuto.

Il sibilo,  lacerante, di una maledetta macchinetta del caffè!

Mi precipitai verso la cucina, lontana dalla mia stanza.

 

Tu, ora, viaggiavi libero nell’aria. Le alette ti guidavano, la gravità ti moveva verso di me.

Ora sì che avvertivo la tua presenza. Sentivo il tuo potente sibilo,  assordante, possente.

Pochi gli attimi e

 sarei  stata trasformata in una vampa di fuoco ardente legandomi a te, per sempre.

   

Dove sei amoruccio mio? Ricordi? Dovevamo andare al Pirgo assieme.

Dove ti sei nascosto amato lasciando me gemente?

Come il cervo fuggisti,  dopo avermi ferita;

Uscii invocandoti e te n’ eri andato.

Adònde te escondiste?  (Juan de la Cruz).

.  .  .

Le fanciulle in fiore dell’Ucraina, della Palestina, di Israele. Le “femmine” che disonorano in Iran il buon costume. Le infinite donne africane che non hanno mai conosciuto una tregua. Ognuna di loro dovrebbe amare, non essere straziata. La bestia umana non ha momenti di tregua.

Un 14 maggio non come gli altri.

CARLO ALBERTO FALZETTI

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