RUBRICA BENI COMUNI, 73. IL CARACOLLO CIOÈ LA SCALETTA A CHIOCCIOLA NEL PORTO DI CIVITA VECCHIA. OPINIONI

a cura di FRANCESCO CORRENTI ♦

In questa puntata, i Lettori trovano la conclusione dell’argomento trattato la volta scorsa, la cosiddetta, celebre «Scaletta» di collegamento pedonale tra il porto e la Città, più anticamente chiamata «Caracollo», cioè «Scala a chiocciola» o «a lumaca», di cui le figure che hanno sostituito le mie solite descrizioni e considerazioni hanno tracciato una sintetica “storia    illustrata”, racconto per immagini, dalle origini all’inaugurazione, avvenuta il 12 giugno 2002, presenti tutte le autorità civili, militari e religiose del caso, della nuova versione “moderna”. Che poi sarebbe la Scaletta attuale, realizzata in base al mio progetto finale, scelto dopo lungo studio e innumerevoli proposte progettuali di ogni tipo e con il parere favorevole di tutti gli enti preposti, rappresentati da autorevoli persone nella piena facoltà di intendere e di volere, dopo che dalla distruzione del 14 maggio 1943, per un lunghissimo periodo di  ben 59 (cinquantanove) anni, nessuno si era preso la briga, assunto l’onere e fatto carico di ovviare alla assenza assoluta di collegamenti né pedonali né d’altro genere sul fronte del porto per oltre 400 metri. Anche Porta Livorno, rimasta distrutta e impraticabile per altrettanto tempo, fu risolta grazie al piano redatto nel 1990, con le idee che avevamo già espresso, senza risultati operativi, nelle tesi di laurea del 1965-66, venticinque anni prima).

Non vorrei apparire presuntuoso o io stesso un mitomane, ma credo che non sarei molto lontano dal vero se dicessi che la situazione sarebbe ancora oggi immutata se non vi fossero stati i fondi per il “Grande Giubileo dell’Anno 2000”, se non si fosse ritenuto il Porto di Civitavecchia (ancora ignaro di crociere e d’altro che non riguardasse la Sardegna) una “Porta Santa” d’ingresso di folle in pellegrinaggio e se non si fosse attivato quel risveglio urbanistico da parte del Comune, con una intensa e inedita attività ben coordinata di collaborazione a livello “politico” e “tecnico” e con la capacità e l’autorevolezza di proporre soluzioni ragionevoli, “mettendoci la faccia” in base a precise scelte culturali e ideali. Il dibattito sul Blog è, per forza di cose, limitato soprattutto agli amici del Blog, quindi in qualche modo non “estraneo”. Proprio per non limitare la rubrica ad una sequenza di argomentazioni positive, tali da sembrare «una cosa venuta da cielo in terra a miracol mostrare», e non volendo nascondere nulla sotto il tappeto, come dico in copertina, dedico questa parte conclusiva ad un panorama di pareri non “di parte”, riproducendo le OPINIONI sulla Scaletta apparse tempo fa nei post di Facebook (ma riapparse ancora di recente), a seguito dell’appello, un simpatico “grido di dolore”, pubblicato in un suo post da un amico d’antan (l’ho salutato doverosamente la volta passata). Pubblico anche le mie risposte (evidenziate in corsivo) in cui ho provato a spiegare le scelte obbligate fatte nel progettarla e realizzarla.   

 Pietro Rinaldi ha aggiunto 2 nuove foto. Ieri 10 marzo 2016 alle 6:56.

Buongiorno 11-03-2016 – POST PER I CIVITAVECCHIESI (de na vorta), segue quello di ieri. Ho scattato la foto della scala esistente in ferro-legno (ieri) per evidenziare il confronto.
COSAVOGLIAMOFARE ??????????? SI POTRA’ RICOSTRUIRE LA SCALINATA ANTICA DISTRUTTA DAI BOMBARDAMENTI DEL 43??? CHE DAL PORTO CONDUCE A PIAZZA EMANUELE II. E i Civitavecchiesi di Oggi, quale preferirebbero??? Un grazie a chi ha risposto ieri.

Vedi qui FIGURA 73/8 – foto 1 e 2

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 Fabio Posocco: I Civitavecchiesi di oggi, preferirebbero l’abbattimento delle barriere architettoniche ed una scala accessibile alle persone diversamente abili o con difficoltà motorie. Nella parte inferiore della scalinata c’è un quadro elettrico lasciato aperto e…Altro…

 Luigi Mattera: Caro Pietro, pur se brutta almeno c’è. Ricordiamoci di quando non c’era.

 Pietro Rinaldi: E’ vero Luigi, almeno c’è una scala che prima non c’era, ma con metà dei soldi impegnati per farla si sarebbe costruita quella che vedi nell’immagine sulla sinistra.

 Luigi Mattera: Hai ragione Pietro, vediamo di riunirci più persone, associazioni, per ripristinare un ricordo della storia della nostra Città.

 Tiziana Belli: Ricordate che accanto prima c’era l’arsenale del Bernini….ora c’è quella costruzione che forse lo vuol rievocare tt in specchio. Non esiste invece un accesso ai disabili carrozzati se nn fai varchi. Impegniamo degli eventuali fondi per fare un lunghissimo scivolo che permetta a tt di accedere al porto.

 Lucia Bartolini: sull’accesso ai disabili carrozzati si dovrebbe davvero aprire un discorso più profondo a tutto campo nella città, che è totalmente inadeguata, non bastano gli scivoli sui marciapiedi (quando pure ci sono). Sfido ad esempio a trovare un negozio per Civitavecchia con accesso fruibile per i disabili, senza scalini più o meno alti.

 Tiziana Belli: Sarebbe interessante fare una sperimentazione. Tt quelli che rivestono degli incarichi pubblici dovrebbero passare una giornata al mese su una carrozzina… i cittadini normali una ogni 3 mesi tanto per rinfrescarsi la mente delle difficoltà che incontra un carrozzato e chi lo accompagna.

 Rosanna Lau: la vecchia assolutamente.

 Pietro Rinaldi  giovedì 10 marzo alle ore 8:28: Buongiorno, in particolare ai Civita-vecchiesi, ringrazio Ferreccio per la foto di Civitavecchia Com’era, prima dei bombardamenti del 1943. Tutti sanno che, qualche anno fa, al posto di questa meravigliosa scala che saliva dal porto (angolo della calata principe Tommaso) con piazza Vittorio Emanuele II, è stata realizzata una scala in ferro legno che cancella la storia ed i ricordi antichi della nostra Città, è peraltro anche un pochino disagevole e si sta via via deteriorando. MA QUANTO CI VORRA’ MAI PER RICOSTRUIRLA “TAL QUALE A COME ERA”? E PERCHE’ NON PROSPETTARE UNA INIZIATIVA NEL MERITO? Io sento di PROPORRE A TITOLO GRATUITO il mio contributo professionale (progetto, direzione lavori e coordinamento della sicurezza), sono certo di trovare collaborazioni “volontarie” o quasi, da parte di una, due o tre Imprese cittadine e coinvolgere altri tecnici (sempre gratis) per raggiungere questo obiettivo. Stimolando ovviamente anche l’Autorità Portuale a partecipare (che è l’Ente demandato) CHE VOGLIAMO FARE??????????? Chi è favorevole??? Chi condivide? Chi vuole partecipare?

https://www.facebook.com/photo.php?fbid=976444265725701&set=a.162032687166867.26679.100000804092326&type=3

 Francesco Etna Favorevole! (10 marzo alle ore 8:52)

 Alessandro Venturini: Iniziativa. ammirevole. da. condividere. in pieno. … (10 marzo alle ore 9:15)

 Emiliano Luciano: Favorevole (10 marzo alle ore 9:16)

 Giancarlo de Gennaro: Io sarei addirittura per buttare giù tutto e rifare prima, seconda e terza strada, ma forse non si può fare. Quindi va bene la scala. Condivido. (10 marzo alle ore 9:42)

 Lucia Bartolini: Anche estremamente sporca quella attuale, ad ulteriore mortifica-zione. Favorevolissima alla tua proposta, a disposizione per come pensi di avviarla (10 marzo alle ore 9:46)

 Sara Panico: se serve un’archeologa conta su di me!!!! (10 marzo alle ore 11:34)

 Marco Foschi: Daje Pietrooo!!! per poco che vale hai il mio appoggio!!! (10 marzo alle ore 11:38)

  • Pintavalle Emilio: l’attuale scala è in legno lamellare perché a suo tempo trovammo molte difficoltà con la Soprintendenza competente, proprio per motivi storico-ambientali. Quanto a ricostruire, sta tutto nella testa di noi romantici!! (10 marzo alle ore 11:55)

 Mauro Monaldi: Favorevole (10 marzo alle ore 12:00)

 Pietro Rinaldi: A Emilio…… Sarebbe ora di contestare duramente alcune scelte della Sovrintendenza, e questa è una volta buona e assai ben argomentabile. Basterebbe essere tutti d’accordo ……. A cominciare dall’Authority e poi si vedrà. (10 marzo alle ore 12:18)

 Franco Barbani: Favorevole… (10 marzo alle ore 12:36)

 Tony Follieri: Grande Pietro favorevolissimo. (10 marzo alle ore 13:42)

 Enzo Di Maio: Favorevole senz’altro (10 marzo alle ore 15:57)

 Roberto Melchiorri: a disposizione. (10 marzo alle ore 18:33)

 Alberto Ferreccio Lodevole iniziativa. Condivido sicuramente (10 marzo alle 18:51)

 Tarcisio De Paolis: Disponibile invitando tutti ritornando alla vera Civitavecchia. (10 marzo alle ore 20:12)

 Maurizio Iacomelli: Favorevole e pronto a collaborare (10 marzo alle ore 21:21)

 Massimo Borghetti: Ottimo bravo (10 marzo alle ore 22:22)

 Francesco Correnti: la Scaletta era un brutto ripiego del ’900 a ridosso del Muraglione seicentesco, che ne veniva brutalmente alterato, dopo la demolizione (antistorica ma dettata da motivi igienici e di sicurezza) del Caracollo (torretta con scala a chiocciola) di Carlo Fontana. Attenzione a considerare storiche cose che non lo sono. Grazie.

 Luigi Mattera: Favorevole, se posso contribuire in qualche modo, sempre secondo le mie conoscenze.

 Pietro Rinaldi: Ciao Francesco. _ Caro Architetto di chiara fama, conoscitore e studioso della storia di Civitavecchia._ Sono contento del Tuo commento._ In verità non ho usato nel mio post il vocabolo “scala storica”._ Riconoscerai però che per i giovani d’oggi e per quelli che non l’hanno mai vista “storica è” e comunque antica e affascinante rispetto a quell’esemplare che vedi nel post che ho inserito stamattina presto sul mio diario._ Quello che affermi mi fa capire che la “sovrintendenza” non dovrebbe introdurre veti._ Sarebbe ovviamente qualificante il tuo contributo tecnico-professionale (ovviamente volontario) alla stesura del disegno che la potrebbe riproporre in sito.

 Francesco Correnti: Caro Pietro, trovo che un mezzo di dialogo quale è certamente Facebook, con tutti i suoi limiti, sia importante quando non vi sia altro modo di confronto come avviene attualmente dalle tue parti. Però io sono dell’idea che non si possano affrontare questioni importanti così alla buona. Allora è necessario ricreare dei luoghi e modi di confronto dove mancano. Da una foto (post?) di Gigi Veleno è scaturito un incontro nella biblioteca comunale che potrà portare al recupero del famoso campanile di San Giulio e Sant’Egidio (ne darò notizie presto). Dalla tua foto di oggi potrebbe venire un incontro interessante su temi che andrebbero effettivamente approfonditi. E chi può impedirci di farlo? Io ci sto e la questione del volontariato, ça va sans dire: ho fatto per quarant’anni l’urbanista condotto! Troviamo un luogo e avrò piacere di partecipare. Porterò anche una ventina e più di soluzioni studiate da me e da altri (alcuni molto bravi) prima di adottare – proprio perché anonima, lineare, semplice e comodissima – quella realizzata. Infatti, quella realizzata, con porta levatoia (perché si doveva chiudere la sera) e materiali non invasivi (anzi smontabili), come sai è un mio progetto. Spesso, in casi del genere, va accettato il male minore, purché si realizzi qualcosa e non si continui con bracci di ferro inutili e improduttivi. Devo aggiungere che era anche previsto un ascensore anti-barriere, poi non voluto dall’Autorità. Del resto, quello del Ghetto, purtroppo, docet! Aspetto tue nuove. Ciao.

  • Marco Leone: Idea ottima, non so se realizzabile in questa città, bravi a fare tante parole e pochi fatti. L’importante a mio avviso aver buttato il seme. Speriamo che il frutto che ne nascerà non sia velenoso.

 Francesco Etna: Secondo me hanno buone ragioni sia Pietro Rinaldi che l’architetto Correnti. In effetti non è detto che ciò che è antico sia per forza di cose bello. Visto che c’è tanta volontarietà sia nella progettazione che nell’esecuzione, profittiamone. Io (ma è un desiderio personale) darei la precedenza alla ricostruzione della torretta del Lazzaretto ed alla torre della Rocca. Mi chiedo se in Germania ci fosse stata l’estremamente burocratizzata Soprintendenza italiana avrebbero mai ricostruito Dresda com’era. Un remoto buon esempio devo dire che è stata la ricostruzione della Fortezza dove, in accordo con le idee dell’Architetto, non fu invece ricostruito l’edificio interno al cortile sia perché successivo sia perché ingombrante.

 Francesco Correnti: Parliamone

 Pietro Rinaldi: Buongiorno (12 marzo) Se l’idea andrà avanti e, come leggete, l’impegno ce lo sto mettendo, è certo che qualche incontro con le persone interessate sarà importante._ All’Arch. Correnti devo dire che non sapevo fosse stato lui a progettare l’attuale scala (o forse me lo ero dimenticato)._ Prima di fare una riunione (quando sarà, dopo aver cercato di capire quale è il necessario percorso amministrativo) faremo tutti un bel sopralluogo e costateremo lo stato di fatto attuale, che non sto ora a descrivere._ Credo, caro Francesco, che una eventuale ricostruzione “il più possibile TAL QUALE” stante la semplicità costruttiva che appare evidente nelle fotografie d’epoca, non presenti difficoltà insuperabili o analisi di un gran numero di soluzioni possibili.

A Francesco Etna, che pure ringrazio per il commento, mi piace ricordare di una iniziativa “resa pubblica” fine anni 90, volta a sensibilizzare la città sulla questione Rocca e annessa possibilità di ricostruire la torre dell’orologio (ci dovrei avere da qualche parte la documenta-zione allora prodotta ….. che cercherò).

 Francesco Correnti: Non sarò breve. Scusatemi. La questione delle ricostruzioni e, purtroppo, delle demolizioni, è una questione che ha pesato in modo veramente drammatico sull’aspetto e sul significato della città di oggi e che effettivamente dovrebbe far riflettere sia i Civitavecchiesi “de ’na vorta” sia quelli “de domani”.

Pietro Rinaldi auspica una ricostruzione che lui stesso definisce “il più possibile TAL QUALE, stante la semplicità costruttiva che appare evidente nelle fotografie d’epoca, (che) non presenta difficoltà insuperabili o analisi di un gran numero di soluzioni possibili.”

In primo luogo, io credo molto sull’utilità di conoscere le varie idee già espresse su un argomento, non le soluzioni che saranno possibili, ma quelle che avrebbero potuto esserlo. È una questione di metodo, non di presunzione né di esibizionismo. Per questo ho inserito nel secondo volume di Chome lo papa uole… (pagg. 174-175) le varie proposte fatte dal 1995 al 2002 alla Soprintendenza e all’Autorità Portuale, tra cui vi erano idee progettuali di architetti di grandissima sensibilità, esperienza e prestigio come Renato Amaturo. Per questo, ho ritenuto molto utile nei convegni “Punti di fuga” dell’Ufficio Interregionale della Tuscia presentare tesi di laurea più o meno recenti e recentissime (soprattutto di giovani e brillanti civitavecchiesi) su argomenti cruciali per la città (eppure ignorati dall’opinione pubblica, proprio come quelle tesi) o dare una mano per organizzare workshop con studenti di varie facoltà italiane ed estere, come intelligentemente è stato fatto – ad esempio – a Roma per un tratto del Tevere dal Circolo Canottieri Tirrenia Todaro (con le Facoltà di architettura di Roma, Camerino, Parigi Est Marne-la-Vallée e Belgrado) e proposto anche altrove (mio figlio Anto­nio è un buon architetto ma anche un ottimo canottiere).

La questione, ovviamente, vale tanto per la Scaletta quanto, a maggior ragione, per la Rocca e per la sua Torre e per qualunque altro monumento. Da architetto comunale (40 anni), da ispettore onorario del Ministero per i Beni e le Attività Culturali (dal 1992) e da docente di master (Urbanistica nella Amministrazione Pubblica, 2008-2011) alla facoltà di Architettura della Sapienza, in tempi diversi, ha sentito spesso diverse persone porre la questione di ricostruire qualcosa dov’era e com’era. Ho anche conosciuto altre persone che, invece, le cose che erano, già da anni e anni, dov’erano e com’erano, avrebbero voluto demolirle e sostituirle con manufatti nuovi. Il mondo è vario (non sempre conseguentemente bello).

Tornando alla Scaletta dell’anteguerra, io ne ho ricostruito il disegno di massima, di cui non ci sono rilievi, e ne do un esempio con la copertina di una relazione – una delle tante – del 1998. Ma non trovo gentile, per non dire altro, supporre che professionisti della pubblica amministrazione (certo, non “liberi professionisti” nell’esercizio della professione, ma molto più liberi da condizionamenti di vario tipo) in combutta (?) con i vertici di istituzioni statali e locali (soprintendenti, presidenti, sindaci, docenti universitari, esperti membri di commissioni apposite e quant’altro), per dabbenaggine intrinseca, sprovvedutezza intellettuale, crudeltà mentale, accordi sottobanco, trame segrete, loschi interessi, inconfessabili motivi, abbiano rinunciato a seguire la più semplice, facile, ovvia, irreprensibile delle soluzioni, cioè quella di rifare tale e quale quello che c’era prima – bello o brutto, ma cosa fatta – per andarsi a impegolare in cinque, sei, sette anni di studi, ipotesi, soluzioni, progetti, discutendone e vagliandone ogni aspetto storico, urbanistico, ambientale, estetico, funzionale, economico e, principalmente, di logica praticità concreta, cioè di rapidità e semplicità di montaggio. Scegliendo alla fine, tra ben venticinque progetti approfonditi, ciascuno con le sue caratteristiche strutturali e in diverse varianti, quella “più brutta, che cancella la storia ed i ricordi antichi della nostra Città ed è per giunta un pochino disagevole”.             

Voglio anche ricordare che le direttive delle Soprintendenze – salvo gli eventuali casi anomali – non sono bizzarre scelte da contestare, ma rispondono a regole precise, dettate dal Codice dei beni culturali e del paesaggio (cambiato nel tempo) e da criteri specialistici derivanti da anni di studi e da fondamentali battaglie di civiltà, a tutela dei nostri Beni.

Come ho detto, la Scaletta anteguerra fu realizzata in sostituzione del collegamento originario, il Caracollo, che a sua volta sostituiva la porta con rampa che saliva alla piazza San Francesco, demolita per costruire l’Arsenale. Tanto varrebbe, allora ricostruire quella, eliminando per davvero le barriere architettoniche. La Scaletta fu fatta insieme a quella sciagurata “resezione” del prospetto dell’Arsenale per far passare i binari, che snaturò del tutto (da uno scenografico prospetto concavo ad una leziosa prominenza assiale) la più importante opera civile di Gian Lorenzo Bernini (con l’accorta supervisione di Alessandro VII Chigi) e dei suoi collaboratori. Gente come Giulio Cerruti, Felice Della Greca, Carlo Fontana e, poi, Mattia De Rossi, e ancora Carlo Marchionni e via dicendo. Personaggi che, nell’operare nel porto e nella città di Civitavecchia, come i vari Pontelli (due), Pietrasanta e Dolci, Rossellino, Francesco di Giorgio Martini e Francesco De Marchi, Bramante e Leonardo, Sangallo, Laparelli e Pier Paolo Floriani, che li avevano preceduti, ci hanno insegnato che il criterio da seguire non era quello del “com’era e dov’era”, ma di lasciare testimonianze (certo, quelle, altissime, inarrivabili) del loro tempo e della loro architettura.

E allora, la ricostruzione della Scaletta “com’era e dov’era” negli anni Trenta del secolo scorso non sarebbe neppure soltanto un falso, ma un’arbitraria, ipotetica e fasulla interpreta­zione di quel poco che si vede da qualche foto, una imitazione puramente apparente del secondo millennio di una brutta cosa degli anni del fascismo (ma è solo una questione di epoca, le ideologie non c’entrano nulla), del tutto priva della riaffermata semplicità costruttiva (una gran quantità di muratura che partiva da terra e ingombrava per circa due metri di larghezza lo stretto spazio tra le mura e l’edificio della Capitaneria e Stazione marittima), in un contesto totalmente cambiato e con la conoscenza precisa di quello che c’è oggi lì sotto (ho diretto io personalmente lo scavo) ossia le fondazioni ben conservate dell’Arsenale Chigiano e non solo. Diverso è stato il caso di Porta Livorno e della gradonata di Clemente XIII, demolita nel ’44 e di cui si aveva la documentazione completa. La Porta aspetta ancora d’essere completata con il coronamento superiore, di cui sono state anche recuperate varie parti, ma pochi se ne lamentano, pur trattandosi senza alcun dubbio d’una insensata sgrammaticatura che priva tutto l’insieme architettonico di quelle raffinate ripetizioni formali di richiamo unitario: la Fontana vanvitelliana, la Porta Marina e appunto Porta Livorno, erano tutte coronate e completate da quegli attributi che richiamano proprio le corone araldiche nobiliari (cimate di perle, si dice in termini esatti), un segnale visivo per indirizzare i viaggia­tori ed un segno di preziosità cesellato nella pietra.

Per la Scaletta, comunque, c’era un altro problema: i materiali. Si dirà: la facciamo com’era. Sì, giusto, ma com’era? La base sotto, di cosa la si fa?  Di scaglia? Di mattoni, se possibile prodotti al “Bricchetto”? o ci si contenta d’un riempimento di calcinacci? Macerie non ce ne sono più… La riempiamo di spazzatura (il tappeto, aggiungo oggi)? Forse è più pratico fare una struttura portante in cemento armato e sotto alla scala si ricava un locale, un magazzinetto, che è sempre utile? Resta un altro problema, i gradini, intendo le pedate, di cosa si faranno? di peperino, di travertino, di granito, di marmo (pietra di Trani, Biancone di Asiago?), di pietra basaltina, di onice (!) o prefabbricati in cemento (la ditta Nenna era impareggiabile, per questo, il mio Ufficio Urbanistico nel casale Antonelli lo dimostra)? Prima com’erano? Chi se ne ricorda?

E la scaletta, il suo andamento, l’altezza dei gradini, i pianerottoli, si faranno com’erano, irregolari, o si faranno a norma? Voglio dire, secondo le ben precise norme attuali, altrimenti gli “uffici” non ce la passano? Allora era piuttosto pericolosa, con gradini “a fazzoletto”, storta e con altre caratteristiche non esattamente conformi alle disposizioni in materia, alle quali oggi dob­biamo attenerci (“senza se e senza ma”, come continua a dire qualcuno!).

Caro Pietro, ho sempre apprezzato negli anni il tuo lavoro e il tuo impegno su tanti temi sociali e ambientali, seguendo la tua attività finché ho svolto la mia al Comune di Civitavecchia e avendo quindi occasione di avere tue notizie frequenti o incontrarti proprio per i rispettivi ruoli. Quindi, scusami, ma non posso proprio condividere la tua idea sulla Scaletta. A presto.

FRANCESCO CORRENTI

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