RUBRICA BENI COMUNI, 72.** LA BARCACCIA DEI BERNINI. Come papa Alessandro vuole spartire l’Arsenale di Civita Vecchia
a cura di FRANCESCO CORRENTI ♦
(2 – continua dalla puntata precedente)
Mi sembra giunto il momento di fornire ai Lettori le promesse spiegazioni delle figure. La prima si apre con la pianta della Città del Vaticano tratta da una guida del TCI – Touring Club Italiano, Italia Centrale. Guida Breve, Volume II, Touring Club Italiano (1939), Milano 19523, pp. 446-447 (pianta Palazzi pontifici e basilica di S. Pietro in Vaticano, scala di 1:3800) – ed ha un duplice scopo: mostrare la posizione della Biblioteca nel contesto dei palazzi pontifici del Vaticano e la forma dei due bracci del colonnato berniniano di piazza San Pietro, per ricordarne la derivazione dalla planimetria “ideale” del porto traianeo e pontificio di Centumcellae, di cui si vede in basso a sinistra un esempio da un disegno anch’esso della BAV (Barb. Lat. 9901, 34) degli anni di Urbano VIII Barberini (verso il 1630). In basso a destra, fa da pendant una foto aerea di tre secoli dopo, verso il 1930, in cui è ancora intatta la Spina di Borgo, demolita a partire dal 1936 e sostituita – dopo un’interruzione dal ’40 a ’45 per la guerra – da Via della Conciliazione per il Giubileo del 1950. Tra le due immagini, un ritratto del Bernini esposto a Londra alla galleria Colnaghi nel luglio 1993 (da “L’Espresso” n° 25 del 15.07.1993), che possiamo ritenere contemporaneo alla pianta barberiniana e quindi mostrarcelo intorno alla trentina. Non farò un torto ai Lettori ripetendo qui la questione del “terzo braccio/antemurale”, pure previsto in progetto ma poi non realizzato.
Tra la pianta del TCI e le tre immagini in basso, ho posto due vedute per rendere evidente la mia illustrazione del “servizio di reportage” che l’inviato speciale Carlo Fontana («il giovin del Bernino») ha l’incarico di svolgere. I miei termini non sono fuori luogo né fuori tempo, perché, in effetti, si tratta di una anticipazione – come tante altre forme di racconto o rappresentazione (scritta, disegnata, dipinta o scolpita) di fatti, vicende, avvenimenti storici hanno precorso i tempi e i modi del giornalismo moderno – di un metodo in cui soltanto il “mezzo” (medium) è diverso, lì l’occhio e la mano del disegnatore, oggi la fotocamera, la cinepresa, la telecamera e l’immagine ripresa, fissa o in movimento, analogica o digitale.
Le due vedute del cantiere dell’Arsenale (che fanno riferimento alle piante Chigi P.VII, 12, ff. 21 e 22, databili al 1662) sono rispettivamente – trascrivo le mie osservazioni dalle schede compilate nel 1989 – lo schizzo di Carlo Fontana e la “messa in bella” di Giulio Cerruti. Ripreso dall’alto del campanile di San Francesco, lo schizzo del Fontana rappresenta con fedeltà e vivezza lo stato dei lavori e la situazione circostante. Il disegno, al rientro dal sopralluogo, servirà di base al collega Cerruti per la veduta acquarellata, ricomposta “con le regole” della prospettiva, destinata ad illustrare la situazione al papa ed anche a costituire una verifica progettuale. In questo senso, le modifiche alle case esistenti rispetto allo stato di fatto (come l’unificazione della copertura a tetto delle case sul lato a mare della Torre del Barone e l’eliminazione del tratto residuo della vecchia cinta), si possono probabilmente interpretare come proposta di un riordino ambientale, teso a dare unità compositiva alla quinta urbana. Interessante in entrambi i disegni, proprio sulla facciata di queste case, il portone della prima di esse, munito di una breve rampa per l’accesso di carretti.
Infatti, è il magazzino dell’allume e i Lettori ricorderanno che ne ho già scritto su SpazioLiberoBlog nell’articolo Parlava franco italiano, del 16 agosto 2020. Raccontando la storia della “Spia francese”, cioè del “mio” agente segreto di Richelieu che ho battezzato «Jean-Baptiste ***», dicendolo «sedicente Giobatta Parodi del quondam Nicolò», ho descritto quella parte della Civita Vecchia vicina alla stazione di posta – ovvero lì dove oggi c’è la via Città di Fiume e inizia il breve tratto di marciaronda che poi gira sul Lungoporto Gramsci –, nei giorni intorno al 31 marzo 1635: «La stazione di posta è proprio lì fuori, a destra di fianco alla torre, dopo un tratto di cortina antica rimasto quasi intatto. Più oltre, ultima costruzione verso il porto, un edificio con un portone dotato di una rampa, in cui vede entrare alcuni carri trainati da bufali, carichi di grandi casse. Lega il cavallo ad uno degli anelli sul muro della locanda, entra nella porta a due grandi battenti sormontata dall’insegna dipinta e si presenta all’oste, spiega che la sua sarà una sosta d’una sola notte, pattuisce e paga in anticipo i tre giuli del prezzo, tutto compreso, letto, stalla e la cena della sera.»
La seconda figura (72/2), inserita tra le pagine della prima puntata, riporta la mia ricostruzione della città alla metà del Seicento, immaginata come ripresa dalla sommità della torre della lanterna, il Faro eretto da Paolo V Borghese e terminato nel 1616, data apposta nell’iscrizione sulla lapide, che conosciamo attraverso Gaetano Torraca (Delle antiche Terme Taurine, Roma 1761, p. 55 n. 1, rist. anast. CDU, Civitavecchia 1991). Per dare alla veduta la massima fedeltà alla dislocazione degli elementi urbani e naturali, mi sono basato sulla fotografia panoramica della situazione contemporanea che avevo commissionato ad Uberto Mazzoldi a novembre del 1983, ottenuta con il montaggio di sette foto – con orizzonte di circa 126° – scattate dall’alto dei silos sul molo del Bicchiere, allora ancora esistenti e poi demoliti nel 2012 (una bella soddisfazione, mi sia consentito dirlo, per noi che ne avevamo previsto l’abbattimento nelle nostre tesi di laurea 45 anni prima, insieme a molte altre sistemazioni portuali “maturate” con molta lentezza).
Qui devo aprire una parentesi per chiarire in quale contesto si sono inserite quelle elaborazioni su Civitavecchia sotto la duplice ottica della ricerca storica e della pianificazione. Mi avventuro in modo improvvisato in un campo complesso e prego il Lettore di comprendere la mia difficoltà di esporre le tante suggestioni e i tanti ricordi in poche parole chiare e precise.
Alla fine degli anni Sessanta, ero un giovane laureato in architettura con una notevole esperienza di lavoro negli studi di alcuni dei miei docenti della Facoltà, tra i maggiori esponenti della più avanzata cultura architettonica e urbanistica, che mi avevano chiamato a collaborare, avendo apprezzato le mie capacità di disegnatore maturo e di progettista in formazione. Inoltre, ero in contatto “famigliare” con il mondo delle Soprintendenze, cioè con architetti, archeologi e storici dell’arte, tutte persone ricche di esperienza diretta sul campo, quotidianamente alle prese con ritrovamenti di forte effetto “televisivo” (mezzo, peraltro, ancora in una fase iniziale per molti aspetti), che erano allo stesso tempo i direttori e gli organizzatori dei grandi Musei, ma contemporaneamente in trincea in luoghi dove i “tombaroli” e il traffico illecito di beni archeologici avevano forti tentacoli.
Mio suocero Mario Moretti era figlio d’arte (e quanto!) ma aveva soprattutto un intelligente rapporto con l’archeologia operante (la Fondazione Lerici, quelli con il periscopio) e la piena consapevolezza della necessità di creare una rete di musei locali, piccoli antiquari, mostre didattiche nei siti degli scavi in un territorio come l’Etruria delle lucumonie e la Tuscia dei borghi e castelli medievali. Ha avuto anche la capacità di raggiungere effettivamente quegli obiettivi.
Poi c’era il mondo accademico, con i luminari delle varie discipline da cui trarre insegnamento: Massimo Pallottino per l’etruscologia, i grandi Maestri architetti-urbanisti per i piani e le opere pubbliche, che possiamo frequentare e conoscere all’IN/Arch, all’INU e a Italia Nostra. Tra i colleghi architetti, i ministeriali e i regionali, un gradino sopra di noi, ma sempre con molte costrizioni burocratiche. Nei Comuni, pochi gli architetti che ci volevano andare. Gli uffici erano costituiti da alcuni ingegneri (“capi”) e tanti geometri, in genere molto preparati ma avviliti dalla routine delle procedure e dal dover applicare leggi antiquate.
La mia “scelta di vita” in campo professionale, attraverso un percorso che di scelte ne ha richieste diverse, mi porta a privilegiare l’approfondimento metodologico della storia urbana e delle esplorazioni archeologiche con finalità di indagine sui centri urbani e i territori (non solo necropoli e santuari, insomma). Gli approcci alle tematiche richiedono tempo e pazienza, perché ci sono diverse fonti di informazioni e di notizie specialistiche. Intanto, alcuni “famosi” autori di best-seller, come è Cesare D’Onofrio. Poi i “venerabili” dell’INU e della Facoltà (Plinio Marconi, Guglielmo De Angelis d’Ossat, con la rivista Palladio), quelli del Centro Studi di Storia dell’Architettura. La quotidiana presenza sul posto di lavoro, lontano da quello di residenza della famiglia, con i tempi degli spostamenti pendolari, complicano ma non impediscono una attività di ricerca parallela a quella di servizio che spesso, invece, si integrano. Così, nascono buoni rapporti con i “cultori della materia”, giovani studiosi che, attraverso i docenti possono pubblicare le loro buone tesi sui periodici degli istituti accademici, ampliando gli interscambi. Si sviluppano anche molteplici legami con gli “studiosi locali” dei tantissimi centri del territorio (fino alla Toscana e all’Umbria), dai dilettanti e appassionati senza titoli agli autodidatti di talento, ai battitori del territorio con metal detector e a quelli scientificamente preparati, magari studenti in quelle discipline, che consentono una pluralità di confronti, sempre molto utili. A Civitavecchia, l’Associazione Archeologica Centumcellae, in cui sono accolto fin dai primi tempi del mio arrivo in città, mi consente la conoscenza della vasta produzione precedente ed una attiva partecipazione ai nuovi studi, con la vivacità e la freschezza dell’amicizia instaurata con tutti i soci, in buona parte coetanei simpatici e cordiali.
In questo scenario, con un discreto bagaglio di competenza e con molte incognite da risolvere, ho cercato di affrontare il tema delle mie ricerche in modo sistematico, attraverso alcuni passaggi:
1) lettura integrale delle storie municipali e collazione sinottica delle vicende lì narrate;
2) schedatura cronologica delle immagini di ogni tipo reperite;
3) ricerca all’origine delle fonti inedite, trascurate da altri contemporanei, ma citate dal Calisse: il Campione di padre Fati, il manoscritto di Arcangelo Molletti, le memorie di Jean-Baptiste Labat;
4) la “rilettura critica” delle fonti edite: Guglielmotti, letteratura tematica e schedatura dei dati;
5) la “rilettura critica” delle fonti iconografiche (catasti storici, cartografie varie e progetti d’epoca, disegni BAV, affreschi, fotografie e cartoline);
6) rilievo diretto di monumenti e zone urbane ed anastilosi grafica, schedatura iconografica, trascrizione in scala della cartografia storica ed “Atlante delle Cento Tavole”.
Da questo lavoro attento e meticoloso, scaturisce anche la scoperta di alcuni errori di misurazioni del Guglielmotti (!), il mancato riconoscimento da parte di Cesare D’Onofrio della fontana di Sisto V e molte interpretazioni originali e autentiche di disegni precedentemente ignorate. I contatti nel frattempo avviati rendono possibili reciproci scambi di puntualizzazioni con altri studiosi, in particolare con l’architetto Rossella Foschi, che viene incaricata di un’ampia ricognizione del territorio comunale, e con le architette Giovanna Curcio e Paola Zampa, autrici di numerosi e brillanti ricerche sulla Civitavecchia pontificia.
Giunto a un notevole livello di conoscenza “planimetrica” della città tra XVI e XIX secolo, il mio obiettivo diviene la sua ricostruzione grafica in prospettiva, cioè la realizzazione di una serie di vedute del suo aspetto reale, addirittura “a colori”, nei suoi luoghi caratteristici e nel corso del tempo. Cosa non tentata da nessuno, in tempi recenti, perché il disegno richiede una serie di dati sulla forma delle cose non deducibile da descrizioni letterarie e poi perché Civitavecchia non è Roma e i vedutisti del passato – a parte alcune eccezioni, limitate generalmente a visioni d’insieme molto imprecise – l’hanno trascurata. Quindi, dopo lo schedario cronologico e bibliografico dei fatti e le 70 planimetrie dei pontificati con tutte le nuove opere via via realizzate e gli altri risultati elencati al Convegno di Perugia del 1989, l’esigenza oltre che di “sapere”, anche di “vedere”, mi porta a disegnare tutto quello che è possibile ricavare dalle fonti iconografiche, partendo dagli affreschi del Vaticano e di altri luoghi romani e da diversi altri dipinti in palazzi della Tuscia. Anche queste ricostruzioni riservano sorprese, perché mi portano a individuare edifici (compresa una chiesa) di cui non si avevano notizie puntuali dagli altri documenti. Con la necessità di molti riscontri.
Arrivo così, dopo innumerevoli schizzi e dettagli, alla mia prima ricostruzione prospettica, ossia la “veduta” del 1660 circa, quella di cui parlavamo quando ho “aperta la parentesi” sul “contesto” di quel disegno. La veduta è esattamente il contrario di quelle disegnate da Fontana e da Cerruti, che sono orientate da terra verso il mare mentre la mia è presa dal mare verso terra. In assoluto, lo ripeto, è il primo tentativo moderno di ridisegnare la “terra” di Civitavecchia come era in quegli anni della costruzione dell’Arsenale, che io do nella sua conformazione finale.
Poi, in seguito ho disegnato tante altre vedute in dettaglio, di ogni zona, appunti rapidi e di getto, ma dato che il mio datore di lavoro e di stipendio, cioè il Comune di Civitavecchia e quindi i cittadini civitavecchiesi, da me volevano l’assolvimento di pratiche “contemporanee” e piani urbanistici da attuare nel secolo XX e non quelli già attuati dal XV al XIX, per le vedute generali da disegnare con esattezza scientifica e autenticità storica, cose che richiedono moltissimo tempo, nel 1992 ho chiesto l’aiuto di Arnaldo Massarelli e l’ho convinto a lavorare insieme a noi, attraverso la lunga serie di elaborazioni concluse con l’album del 2012, affiancando anche il mio ufficio interregionale (UCITuscia) nell’esemplare esperienza del programma PRUSST, finanziata dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti grazie all’ottimo risultato ottenuto con il nostro progetto, risultato tra i migliori nella gara a livello nazionale ed il più vasto per numero di Comuni, Province e Regioni aderenti. A partire dal 2000, infatti, ha partecipato con Vittoria Calzolari, Mario Ghio e Corrado Placidi (oltre a Renato Amaturo per alcuni studi) al gruppo dei tutor dei giovani professionisti a progetto, per la verifica della fattibilità e coerenza urbanistica dei programmi sul territorio di Civitavecchia e della Tuscia, che ha visto anche il completamento degli studi sulla storia urbana sviluppati negli anni con la redazione d’una Carta delle stratificazioni storiche informatizzata e georeferenziata. Una bella occasione non perduta di utilizzare risorse pubbliche, che ci ha anche ottenuto il riconoscimento della Regione Lazio con l’inserimento nel Catalogo delle Buone Pratiche Culturali.
Nella stessa figura, a seguire, il Lettore trova una fotografia del plastico in cartone che ho realizzato in due giorni di lavoro nel fine settimana, l’11 e 12 settembre 1983, partendo dalla ormai acquisita piena. conoscenza dei luoghi. Sotto alla foto, il rendering dell’Arsenale dalla bella tesi di laurea d’una delle borsiste del PRUSST, l’architetto Ester Fanali (settembre 2002), più in basso la trascrizione dell’architetto Paola Moretti della pianta ottocentesca dell’Arsenale e lo schizzo “embrionale” dell’idea, di mano del Bernini, di cui ho accennato in precedenza. Conclude la figura 72/2 la mia caricatura dei due massimi protagonisti del progetto, Sua Santità Alessandro VI e l’architetto Bernini, immaginati in uno dei loro frequentissimi “incontri di lavoro” nell’appartamento vaticano, in cui sicuramente il papa si esprimeva anche con la penna e la matita per far comprendere all’altro «come voleva spartire l’Arsenale di Civita Vecchia».
Ho lasciato per ultima la descrizione dei due disegni intermedi, in cui si vede quella che ho chiamato “la barcaccia dei Bernini” (che dà il titolo alla puntata), da non confondere con la Barcaccia di (Pietro) Bernini, quella di piazza di Spagna sotto Trinità dei Monti. Tra i disegni del codice Chigi P. VII, 12, relativi alle fasi di costruzione dell’Arsenale, una veduta prospettica di Giulio Cerruti (foglio 29) mostra in un angolo una barca carica di rematori dall’espressione affaticata e scontenta. A poppa, su ironici drappi sbordanti, siede un personaggio dal cappello piumato, con baffi e pizzetto, in posa principesca. Accanto a lui, un bambino (o un nano), anch’egli riccamente abbigliato.
Ripeto qui una mia supposizione, certamente ipotetica ma non azzardata, di cui ho parlato nel convegno di Perugia il 16 marzo 1989 (atti pubblicati su XY nel 1991) e poi nel Capitolo quarto del secondo volume di Chome lo papa uole… nel 2005. A mio parere – la “scenetta” non avrebbe altrimenti una spiegazione logica, essendo improbabile che rappresenti un fatto veritiero, con un eventuale “vero nano” di compagnia di qualche alto personaggio in visita al porto –, si tratta d’una ironica “caricatura” di Giulio, un tipo d’interpretazione amena della realtà, rivelatrice del pensiero del disegnatore, che lo stesso Bernini ama praticare, a volte con impietosa cattiveria, come molti altri artisti del tempo. Allora, la grande barca addobbata rappresenta satiricamente l’équipe berniniana impegnata nei lavori dell’Arsenale, con i collaboratori (i nostri “Bernini(ani)”) affannati al remo – metafora di tutte le spossanti incombenze di cui son caricati gli aiutanti sottoposti, sempre presenti in cantiere – e, tranquillamente adagiato al comando, “portato in giro” (nel doppio senso) in una delle rarissime visite al cantiere, Gian Lorenzo Bernini, il capo che dirige i lavori da Roma a diretto contatto con il vertice della Chiesa, assistito dal giovane Carlo Fontana (che fa continuamente la spola tra Roma e Civita Vecchia), rappresentato appunto come un buffo “pischello”, seduto alla destra del Capo. Quasi la trasposizione delle stesse parole del papa che scrive nel Diario (BAV, Chigi O IV 58), il 17 maggio 1660: «a 22 ho(re) son da noi d. Ma(rio), d. Ag(ostin)o e poi P(rior) B(ichi) e parliam su’ disegni dell’Arsen(al)e, e che mandi pel giovin del Bernino, che i pil(astr)i siano scarniti (f. 159, 1 col.).»
Con questo, penso concluse le divagazioni sull’Arsenale. Ringrazio di cuore, per le loro espressioni molto generose, le amiche e gli amici Lettori che hanno commentato la puntata precedente. Il sistema di accesso o qualche mio errore, da qualche tempo, m’impedisce di farlo con una risposta diretta sul Blog più pertinente per ciascun commento e mi dispiace.
Qui di seguito, fornisco a chi abbia la curiosità di leggerle nella stesura originale le annotazioni riguardanti Civitavecchia del diario di Alessandro VII.
1658
[Roma]
- 14 Nove(m)bre, Giovedì, il giorno è da noi Piero Nerli, M. de Rossi, la sera in cam(er)a d. Ma(rio), d. Ag(ostin)o, il P(rior) Bichi, i Card(inal)i a 24 ¾ con le lettere di Venetia, poi il Bernino alle 2 ho(re) co’ disegni (f. 107, 1 col.).
- 18 Nove(m)bre, Lunedì, il Co. di Nuvolara che torna da Civitav(ecchi)a, Luigi Bern(in)o col livello della f(abric)a di S. Maria in Trastev(er)e, … la sera d. Ma(rio) e d. Ag(ostin)o in cam(er)a (f. 107, 1 col.).
1659
[Castel Gandolfo]
- 23 ottobre, Giovedì, N.B. medaglia per l’anno avvenire = 1. La Sapientia perfettionata = 2. I Portici di S. Pietro = 3. La Fabrica di M(on)te Cav(all)o = 4. La Rotonda accomod(at)a = 5. L’Arsenale di Civ(it)a V(ecchi)a = 6. Gli Archivii adunati = 7. Cattedra di S. Pietro = 8. La Pace delle Corone (f. 136v, 2 col.).
[Roma]
- 2 Nove(m)bre, D(ome)nica, hiers(er)a cominciammo a ved(e)re le l(ettte)re del t(om)o del 1440. Stanotte piove, e stamatt(in)a ancora. Siamo a d(ir) m(essa) alle 15 ho(re), poi ci ritiriamo col Cav. Bernino e co’ suoi disegni (f. 13, 1 col.).
- [26 novembre, Mercoledì, posa della prima pietra e inizio dei lavori dell’Arsenale.]
- 30 Nove(m)bre, D(ome)nica, alle 16 ½ udiamo messa e ci tratteniamo pe’ camarini senza andar a S. Pietro alla Cappella, vi vien il Cav. Bernini col Prior Bichi sul disegno dell’Arsenale e modello pel Portico (f. 139v, 2 col.).
1660
- 17 Genn(ar)o, Sabb(at)o, a 22 ho(re) passiamo alle solite camere col Cav. Bernino al quale diamo la inscritt(ion)e per l’Arsen(al)e, è da noi d. Ma(rio) e il P(rior) Bichi, P.sa di Farnese è escita per la p(rim)a volta (f. 144v, 1 col.).
- 30 Gennaro, Venerdì, a 22 ho(re) è da noi il Cav. Bernino per la Prelatura del figlio, e diciam che lo vogliam vedere; poi d. Ma(rio) e il P(rior) Bichi, tornati da Civitav(ecchi)a, fino a 1 ho(ra) (f. 145v, 2 col.).
- 17 Maggio, Lunedì, doppo pranzo son da noi il P. Van der Vechen, poi il Cav. Bernino, poi i Card(inal)i con le l(ette)re, e il C. nep(ot)e p(rim)a pe’ Gover(nator)i d’Anc(on)a, di Orvieto, del Fisc(al)e di Campid(ogli)o; Pier Nerli; ― a 22 ho(re) son da noi d. Ma(rio), d. Ag(ostin)o e poi il P(rior) B(ich)i e parliam su’ disegni dell’Arsen(al)e, e che mandi pel giovin del Bernino, che i pil(astr)i siano scarniti (f. 159, 1 col.).
- 25 Maggio, Martedì, a 24 ho(re) è sù il P(rior) B(ich)i circa l’Arsenale di Civita V(ecchi)a che ha parl(at)o al Cav. Bernino coll’Ammiraglio Sergardi (?)(f. 159v, 2 col.).
- 6 Giugno, D(ome)nica, a 17 ho(re) è da noi M. Comend(ator)e di S. Spirito parliam di Mald(acchi)no, dele cose di S. Gio. Later(an)o, gli diamo il disegno della Sapi(enz)a che ci era rimasto, poi il Cav. Bernino (f. 161, 1 col.).
- 13 Giugno, D(ome)nica, a 17 ho(re) e da noi M. Virg(ili)o Spada, e poi il Cav. Bernino,a 18 ½ poi i Card(inal)i con le l(ette)re fino a 21, la sera con d. Ma(rio) e il P(rior) B(ich)i passeggiam pel giardino. Sped(it)e le cause della Sig(natur)a di Grazia quanto alla p(rim)a informat(ion)e (f. 161v, 1 col.).
1661
- 28 Febbraro, Lunedì di Carnevale, alle 14 ¼ ci partiamo in sedia e andiamo al Gesù, ritorniamo a 16 ¾ con sole, i n(ost)ri rimangono a pranzo dal Card. col M.se Mattei, la sera doppo il Cav. Bernino vien il P(rior) B(ich)i (f. 188, 1 col.).
- 10 Marzo, Giovedì, a 22 ho(re) è da noi d. Ma(rio) e il Cav. Bernino, vediam il modello di Castello, scendiam in giardino fino a 23 che fa aria di tramontana, poi ci poniamo a letto, c’è d. Ag(ostin)o (f. 188v, 2 col.).
- 18 Decembre, Domenica, a 22 ho(re) siam per la Gall(ar)ia, fa sole caldo, è da noi il Cav. Bernino, gli diamo le parole pel frontespizio dell’Arsenal di Civita V(ecchi)a, … (f. 217v, 1 col.).
- 21 Dece(m)bre, Mercoredì, a 18 ¼ il Cav. Bernino mostra l’iscritt(ion)e per l’Arsenale, doppo pranzo siamo con M. Magalotti, col Pollini, con M. Fagnano, che sub(it)o và a la Cong(regation)e Concist(oria)le (f. 217v, 2 col.).
- 26 Dece(m)bre, Lunedì, siamo a 21 ho(re) col Card(inal)e, poi col P. Lutio, poi col Cav. Bernino col frontespizio dell’Arsenale, D. Ma(rio), e il P(rior) B(ich)i, i Card(inal)i fan congreg(ation)e per la Lega (f. 218, 2 col.).
1662
- 14 Gennaro, Sabbato, hieri D. Ma(rio) con M. Buonaccorsi fù a Fiumicino, hiers(er)a si licentiò da noi il P(rior) B(ich)i per andare a Civ(it)a V(ecchi)a col Bernino (f. 220, 1 col.).
- 17 Gennaro, Martedì, audientia a M. Vesc(ov)o di Catanzaro, il Rocchetto a quel di Nusco e a q(ue)l di S. Angelo, a M. Ipoliti, al P(adre) G(e)n(er)al di Monte Vergine, a Ferdinando Marsilii, al mand(at)o dal Vesc(ov)o di Bressenone, all’Inglese f(att)o cattol(ic)o, al P. Teatino Tommasi sicil(ian)o, al Cav. Bernino torn(at)o da Civ(it)a V(ecchi)a (f. 220, 2 col.).
- (Id.), doppo pranzo si scalda il sole, siamo col Favoriti circa i no(st)ri m(ano)s(critti), poi col Ferrini, di nuovo col Cav. Berino su’ disegni dell’Arsen(al)e, e circa la piaza del Popolo, se ha che dire qualcosa, poi con d. Ma(rio) fin a 24 (f. 220v, 1 col.).
1663
- 27 Ottobre, Venerdì, haviam passeggiato dalle 16 fino alle 17 per le camere, e per la Gall(ar)ia con M. Febei, a 19 col Maiord(om)o e con Luigi Bernino haviam disegnato per l’Ariccia (f. 289, 1 col.).
1664
- 15 Giugno, D(ome)nica, di poi col Cav. Bernino fino alle 20 su’ disegni del Palazzo del Louvre del Re di Francia come lo finirebbe, l’avvertiam che fa il cortile pi largo che longo (f. 315, 1 col.).
(2 – fine)
FRANCESCO CORRENTI

Grazie Francesco. Molto interessante, come sempre. Alessandro VII, quando ancora non era papa, sarà uno dei protagonisti del mio prossimo romanzo. Bruno Pronunzio
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Come sempre, Francesco, i tuoi contributi aprono ai profani come me prospettive nuove e affascinanti. E poi non manca mai la tua piacevolissima ironia.
Ettore
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