PERCHE’ LA GUERRA?

di CARLO ALBERTO FALZETTI

Warum krieg?

 Provocazione che nel 1931 Einstein indirizzò a Freud in una troppo nota lettera.

Oggi questa domanda non è più curiosità culturale. Le guerre non hanno mai abbandonato il mondo dopo il secondo conflitto ma, al momento, la probabilità di passare da conflitti locali a conflitto planetario comincia ad essere di preoccupante probabilità.

Perché l’homo sapiens nonostante i progressi evolutivi non ha mai smesso di farsi guerra?

Risposta complessa alla quale si può dare solo una sintesi approssimativa.

Si immagini, dunque, di procedere per cerchi concentrici:  dal sociale via via scendere al particolare sino ad arrivare alle specifiche pulsioni psichiche del comportamento umano.

Il punto di partenza non può che essere Von Clausewitz: la guerra è la politica dello Stato fatta con altri mezzi! Ovvero, le società umane sono in eterno conflitto di interessi materiali (economici e di potere). La politica è il modo attraverso il quale la comunità statale tenta di risolvere i conflitti che sono presenti al proprio interno o che esistono tra le varie comunità. E il modo può assumere due forme: non cruento  oppure cruento e sanguinoso .

 Utilizziamo il termine “guerra” quando i conflitti, interni o esterni, assumono la forma del cruento e del sanguinoso. Si utilizza questa risoluzione  per tre principali motivi. Per il semplice gioco del caso quando un insieme di coincidenze creano condizioni tali da non poter più utilizzare una soluzione del  conflitto non cruenta. In secondo luogo,  per un preciso calcolo della ragione che dimostra in modo efficace essere più conveniente il mezzo cruento. Terzo elemento, perché esiste una costante condizione permissiva: l’esistenza di una “pulsione” nell’uomo che lo abita da sempre agitandolo nel trasformare la vita in un turbinoso conflitto di interessi.

Dunque, le guerre non sono atti naturali e necessari ma solo atti di politica deliberati da calcolo razionale, , favoriti a volte da congiunzioni casuali e fondati costantemente sul presupposto di pulsioni aggressive specificatamente umane.

A questo punto il discorso si restringe dal sociale alla pulsione aggressiva individuale.

Fondamentale la presenza del postulato di Hobbes circa lo stato di natura umano come guerra di tutti contro tutti (postulato presente anche in Spinoza ed Hegel).

Ma perché il destino riserva all’uomo questa deriva pessimistica e su quali basi essa si fonda?

 Il tratto diviene essenzialmente antropologico e psichico.

Da un punto di vista antropologico ed etologico le comunità di scimpanzé in particolare e di altri animali in generale combattono per la dominanza sul gruppo, ma lo scontro organizzato al fine dell’annientamento totale è assente: la guerra è atto che caratterizza l’homo sapiens.

Ed ancora, perché esiste questo tratto caratteristico che l’evoluzione della “neocorteccia cerebrale” ha rafforzato nel tempo?

Una prima risposta è quella di Freud: la pulsione di morte ha il sopravvento sulla pulsione di vita. Ma attraverso gli sviluppi della psicoanalisi possiamo meglio chiarire rispetto al Maestro.

 In particolare possiamo avvalerci del pensiero di  Franco Fornari (Psicoanalisi della guerra, 1964). Questa tendenza all’aggressione umana sarebbe il frutto di una cattiva elaborazione di un lutto!

Un lutto?   Certo, il proprio lutto!

Tutto scaturisce  dalla nostra grandissima difficoltà ad accettare la propria morte come fatto semplicemente naturale. Concepiamo la morte dell’altro estraneo a noi. Sappiamo che la morte  è presente ma mai “per noi” o per chi ci è vicino e amiamo. Tutta la vita è in me! La morte è solo dell’altro!

 Non potendo elaborare il nostro lutto coviamo un angoscia per una questione non risolta. Questa mancanza di accettare la morte per sé finisce nel traboccare nel terrore che sia l’altro a minacciare un qualcosa che dovrebbe essere “naturalmente accettato”. Nasce da ciò il binomio amico-nemico: l’altro è visto come unica minaccia di morte dal momento che  non si  accetta che il nostro io sia “ naturalmente” un esser- per- la morte. Insomma l’aggressività innata è l’effetto di una paranoica non elaborazione del lutto, il proprio.

Il grande invito alla saggezza  incastonato nell’adagio “ricordati che devi morire” è qualcosa che vale solo per l’altro!

Questa predisposizione a vedere nell’altro la minaccia di morte (la morte non nasce in me ma solo dall’altro che me la procura) è alla base di comportamenti paranoici molto comuni: il diverso di razza, di colore della pelle, si sesso, di nazionalità, di religione……

E’ su questi individuali comportamenti paranoici che il decisore politico diviene la quintessenza della perfidia facendo leva per organizzare la risoluzione del conflitto di interessi con mezzi cruenti (guerra). Indicare il nemico è il punto più audace per preparare la guerra!

La morte proviene dal nemico, dal diverso, dall’ebreo che contamina, dalle plutocrazie reazionarie, dall’imperialismo capitalista, dall’infedele, dal nazista, dall’immigrato invasore….Solo così si rende possibile l’impossibile costringendo, non con la forza bruta ma con la forza della subdola persuasione, nel condurre nel turbine migliaia di giovani e migliaia di madri nella disperazione.

E’ ciò che sta avvenendo in questi giorni, basta leggere i giornali o vedere la TV per comprendere che la furia si è fatta mondo.

Per quanto ora detto, la guerra può essere frenata, rimandata, sopita (la minaccia nucleare è stato e potrebbe essere ancora un deterrente, forse) ma perché la guerra non sia più un tratto caratteristico dell’homo sapiens necessita, perché il male si sciolga, appellarsi all’utopia: lavorare sui conflitti di interesse esistenti da sempre nei gruppi umani.

Ma per procedere nell’utopia e affinché questa non sia ulteriormente gravata dalla disperazione necessita sapere se la putredine sia la sola ricchezza dell’animo umano.

 Ha senso, cioè, citare , oltre gli autori qui richiamati, tutto quel folto gruppo di visionari, di mistici, di sapienti, di “poveri di spirito”, di mansueti che non pensano che il sapiens sia solo homo homini lupus?

Al lettore la risposta.

Io vorrei rispondere, ma rimando ad altro momento.

Tuttavia non posso che fare una sommessa riflessione. La pulsione alla morte dell’altro non ha colore politico, ne si giustifica per mezzo di ideologie. Le vittime sono sempre tali al di là del nostro modo di vedere il mondo. Constatazione ovvia? Certo, ma è sempre bene averla sempre in mente in modo da evitarne l’oblio raccapricciante.

 CARLO ALBERTO FALZETTI

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