“PESCI, PESCATORI, PESCIVENDOLI E CONSUMATORI” DI GIORGIO CORATI – Civitavecchia, ipotesi per caso di studio pilota di “simbiosi alieutica”. Parte I

di GIORGIO CORATI ♦

Questo articolo, che segue il precedente dal titolo L’intelligenza quale forza produttiva; valore aggiunto,1 è il primo di tre articoli tramite i quali è divulgato un estratto di quanto sostenuto in un mio studio condotto nel contesto dell’economia circolare,2 il cui titolo è Logistica, interazioni tra produttori primari dell’attività del settore della pesca, attività di Organismi di Ricerca (OdR), imprese manifatturiere di biomateriali e di bioprodotti. Si tratta di un lavoro che muove dall’osservazione di temi contingenti e dallo studio di varie questioni legate all’attività alieutica in generale che affliggono la Produzione primaria della pesca a livello locale. Lo studio intende essere un contributo alla soluzione di quelle problematiche, proponendo un modello replicabile che coinvolge in particolare la stessa attività a livello locale ma anche l’economia e la società ad essa legate.

L’insieme degli articoli tratta in sintesi di un’ipotesi per un caso di studio pilota nel contesto dell’economia blu3 che riguarda e affronta la questione del cosiddetto “scarto ittico”4 associato all’uso e al consumo di prodotti della pesca, proponendone una modalità di recupero e valorizzazione, sostenendone le potenzialità che possono essere offerte dal territorio costiero di Civitavecchia e dal suo entroterra. In particolare, si sostiene concettualmente e si propone un modello strategico di sviluppo sostenibile definito “simbiosi alieutica” che riguarda di fatto la Produzione primaria della pesca e in particolare quella alieutica condotta nell’ambito del Compartimento marittimo di Civitavecchia.

I concetti che definiscono la “simbiosi alieutica” saranno ripresi e spiegati più approfonditamente.

I – Civitavecchia, dal passato al futuro: sviluppo retroportuale e dell’entroterra.

In un’area in cui opera un sistema produttivo localizzato in prossimità di un porto, e dunque un’area tendenzialmente vocata all’esportazione, nel caso in cui i costi di navigazione o i costi marittimi in generale siano maggiormente convenienti o concorrenziali rispetto a quelli del trasporto terrestre ma anche ferroviario, il sistema produttivo può beneficiare dell’esportazione via mare e ciò può essere assimilabile ad un vantaggio competitivo e sostenere anche le attività portuali, creando un ulteriore valore aggiunto.

Nel caso dell’area retroportuale di Civitavecchia, ad esempio, un sistema di attività economiche legate all’economia blu orientate all’esportazione potrebbe essere la risposta ad alcuni attuali quesiti contingenti che affliggono parte delle attività economiche locali. Si tratterebbe di un “sistema” che, per il retroterra e l’entroterra, sarebbe probabilmente in grado di rappresentare un fattore di spinta, un ulteriore motore di sviluppo per colmare, come riporta Barbieri (1955)5 in Memorie di geografia economica, una “lacuna” già avvertita nella metà degli anni Cinquanta del Novecento, che è ancora in larga parte attuale, ossia la mancanza di un movimento commerciale di prodotti locali da esportare via mare dal porto e di uno sviluppo dell’economia dell’entroterra di Civitavecchia; sviluppo che, a maggior ragione, oggigiorno può essere sostenuto da infrastrutture portuali innovative, se si considerano, ad esempio, i notevoli traguardi tecnologici nell’attuale scenario di decarbonizzazione del settore marittimo,6 che, tra l’altro, esce come favorito dal confronto con il trasporto su strada, il quale è già “pressato” dal trasporto su rotaia per il quale l’Unione europea ha importanti progettualità.

In merito al “problema della crisi del porto” di Civitavecchia della metà degli anni Cinquanta del Novecento, Barbieri7 riporta che, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, sebbene il porto sia tornato in breve tempo a un volume di traffici tendente alla media del decennio prebellico, tuttavia, a causa di eventi alterni, perdurati fino agli inizi della seconda metà degli anni Cinquanta del Novecento, i volumi dei traffici portuali hanno subìto evidenti variazioni e contrazioni, decretando di fatto una “crisi” delle attività, che ha richiamato “l’attenzione di tecnici e di economisti sulle cause che sembrano” [a quel tempo] “porre un limite allo sviluppo dei traffici commerciali” (p.141). Tra le varie cause che, a quel tempo, secondo Barbieri, determinano tale “lacuna”, vi sono, l’assenza nel retroterra sia di industrie esportatrici sia di un’agricoltura con produzione esuberante che di fatto, in termini di costi marittimi, rende poco conveniente lo scalo a Civitavecchia. Barbieri sostiene che “le navi che scaricano” […] “le loro merci” [nel porto] “devono spesso ripartire senza alcun carico” (p.142). Inoltre, riporta che “tra i numerosi provvedimenti auspicati”, [vi sono] “concessioni per facilitare il sorgere di unaria industriale vicino al porto” […] [e] “listituzione di un porto franco” (p.144). Rispetto, poi, al progetto [di quel tempo] che prevede l’ampliamento del porto, l’autore sottolinea che, a suo giudizio, […] “la cosa più importante è preparare le condizioni per un movimento commerciale di esportazione” […] “con lo sviluppo delleconomia dellentroterra” (p.143).

Osservando oggi la realtà locale, su cui Barbieri poneva l’accento, risulta evidente la scarsa presenza di attività economiche esportatrici localizzate nel retroterra, mentre nell’entroterra, anche se in merito occorrerebbe condurre un approfondimento di indagine, la loro esistenza, a colpo d’occhio, appare limitata in termini di numerosità. Al giorno d’oggi, inoltre, i volumi di traffico di un porto, pur essendo importanti in termini dimensionali, indubbiamente possono essere maggiormente determinanti se considerati e concepiti anche in termini di crescita di investimenti, di sviluppo delle esportazioni e di conseguente maggiore occupazione locale prodotta. Ciò, a maggior ragione può ritenersi valido, soprattutto nella visione di nuovi modelli di attività manifatturiere o economiche in senso lato, associati al concetto della sostenibilità economica, sociale e ambientale ovvero di modelli orientati all’ecoinnovazione di sistema, attraverso l’ecoinnovazione di processo e di prodotto, al fine di promuovere e proporre concretamente, ad esempio, nuove materie di origine biologica, nuovi materiali e prodotti eco- o bioinnovati (biomateriali e bioprodotti) e prodotti biobasati (bioprodotti ad alto contenuto biotecnologico) e realizzare un ulteriore valore aggiunto dalle risorse usate.

Nel contesto delle attività economiche dell’economia blu e nell’ambito di un possibile nuovo ampio modello di business/sviluppo retroportuale e dell’entroterra, un modello di “simbiosi alieutica”, nel caso dell’area retroportuale di Civitavecchia, potrebbe rappresentare un nuovo fattore di spinta, un ulteriore motore di sviluppo all’economia del territorio. Si tratterebbe, come spiegato meglio in seguito, di un sistema di attività economiche, a partire da quelle di Produzione primaria del pescato, orientate da strategie di produzione e di consumo, connesse e associate al paradigma dell’economia circolare (ma anche della bioeconomia), capaci di interpretare anche l’evoluzione futura delle domande, considerando fondamentale per il successo anche l’eventuale l’intenzione e la volontà di operare come una “struttura di interdipendenze”: una struttura determinata dalla condivisione, cooperazione e collaborazione tra imprese, istituzioni pubbliche e finanziarie, consumatori e opinione pubblica, rispetto ai concetti su cui si basano attività economiche di simbiosi industriale. A maggior ragione, in tal senso, la “divisione del lavoro” assume rilevanza, se intesa ed attuata come specializzazione delle singole entità nell’ottica dell’interdipendenza ossia delle imprese che nello stesso contesto operano in una singola fase o in poche fasi del processo produttivo e sono “interrelate” ad altre imprese – come, ad esempio, quelle di produzione energetica, utilizzatrici di materie prime seconde, nonché a quelle che prestano servizi, oltre a Organismi di Ricerca (OdR). Il concetto “divisione del lavoro” definisce, in breve, una modalità estesa di organizzazione, tramite la quale singole imprese e istituzioni pubbliche mirano congiuntamente a un interesse comune e dunque generale, quale ad esempio la valorizzazione degli scarti di risorse utilizzate o impiegate, ma mosse, tuttavia, da un proprio interesse economico o sociale. In questo senso, la proattività, nel rapporto/relazione tra offerte/approvvigionamenti e domande di mercato o di nicchie di mercato, associata al concetto di prosocialità permeante le attività economiche condotte lungo la traiettoria dello Sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite,8 può essere considerata una caratteristica di un nuovo modello possibile sviluppo che va oltre il concetto definito “business as usual” (BAU), cioè di “affari come al solito”, anzi può diventare un nuovo “normale” BAU.

GIORGIO CORATI

Bibliografia
[1] Vedi, https://spazioliberoblog.com/2024/04/04/pesci-pescatori-pescivendoli-e-consumatori-di-giorgio-corati-lintelligenza-quale-forza-produttiva-valore-aggiunto/.
2 Per un approfondimento sull’economia circolare vedi, http://www.economiacircolare.com. Sito web consultato l’11 febbraio 2023: https://economiacircolare.com/cose-economia-circolare/.
3 Per un approfondimento vedi,
LazioInnova. Regione Lazio. http://www.lazioinnova.it. Sito web consultato il 06 giugno 2023: https://www.lazioinnova.it/reti-cluster-innovazione/economia-del-mare/.
Consiglio regionale del Lazio. Legge regionale n.2 del 24 febbraio 2022. Disposizioni per la promozione della formazione, dell’occupazione e dello sviluppo nei settori della Blue Economy. BUR n.18 – Supplemento n.1 del 24/02/2022. Sito web consultato il 13 giugno 2023:
https://www.consiglio.regione.lazio.it/?vw=leggiregionalidettaglio&id=9432&sv=vigente.
4 Per “scarto ittico” si intende l’insieme dello “scarto ittico biologico” del pesce e dei “flussi biologici della risorsa ittica”.
5 Barbieri, G.. (1955). Memorie di geografia economica. Vol. XII, Anno VII, Luglio-Dicembre. CNR, Centro Studi per la geografia economica presso l’Istituto di geografia della Università di Napoli: Napoli.
6 Si pensi ai piani di transizione ecologica nella progettazione di nuove flotte di navi sostenibili.
7 Barbieri, G.. (1955, Cap.1 e par 12, pp.141-144). Memorie di geografia economica. Vol. XII, Anno VII, Luglio-Dicembre. Centro Studi per la geografia economica presso l’Istituto di geografia della Università di Napoli: Napoli.
8 Per un approfondimento vedi, http://www.unric.org.it. (ONU, 2015). Sito web consultato il 16 novembre 2022: https://unric.org/it/agenda-2030/.
 

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