IL PRIMO MARINAIO D’ITALIA.

di CARLO ALBERTO FALZETTI ♦

Così Nino Bixio appellava in Parlamento Padre Albero Guglielmotti.

“Tutto in lui rivelava energia e vigore. Nell’alta e dritta persona, nel volto austero, nel portamento marziale, per cui era invalso l’uso di chiamarlo il comandante. Dal piglio marziale, con passo nervoso e cadenzato, come se obbedisse ad una marcia di tamburo ai molti saluti, il più delle volte rispondeva portando la mano destra alla tesa del cappello”(Taurisano). Poteva sembrare un ammiraglio. Era un domenicano che mai aveva militato in armi ma che possedeva un cuore da vero marinaio richiamando alla memoria le glorie e le gesta dei marinai d’ Italia. IL 31 ottobre 1893 La Marina Italiana prese il lutto con la bandiera a mezz’asta per onorare questo illustre figlio di Civitavecchia. Due furono i sommergibili che ebbero il suo nome.

Tre profili possono brevemente rammentare l’uomo.

AMOR PATRIO ED AMOR SENSUALE DELLA PAROLA. Quale l’opera compiuta da Padre Alberto Guglielmotti oltre la valenza di acuto storico? Non c’è alcun dubbio: rimetter in fiore le voci e le frasi del linguaggio marino e militare usato nelle Repubbliche marinare e per tutta la penisola liberandola dal servaggio e dalla miseria di andar accattonando per il mondo idiomi o stranieri o servili o inutili. Per una terra risorta a nazione esisteva un bisogno  di attingere al suo millenario genio ricco di storia egregia. Questa l’opera lessicografica del Vocabolario Marino e Militare!

Perché il nostro linguaggio tecnico  di terra e di mare deriva dal pelasgo, comune ai greci ed ai latini , sarà bene sollevare  la mente alle classiche fonti originarie dei nostri maggiori, anzi che sottometterle alla servile dipendenza dei moderni idiomi stranieri….più ciascuno troverà, che non crede, anche delle voci dimenticate o neglette della ricchissima e bellissima lingua nostra (Proemio al Vocabolario).

A questo amor di Patria fa contrasto l’amor sensuale della parola quale si rinviene nella lirica di D’Annunzio, ovvero il designar le cose con lessici così contigui  alle stesse che sembri quasi d’aver in bocca l’immagine solubile della cosa.

E’ questo il contrasto che viene magistralmente illustrato in un celebre classico  di Mario Praz ( La carne, la morte e il diavolo del 1930).

La poesia dannunziana L’Onda( raccolta poetica Alcyone del 1903) sgorga da una concordanza di “parole bene sonanti” che il Vate  fa proprie dal Vocabolario del nostro domenicano utilizzato “a guisa di marmo michelangiolesco , rimuovendone il soverchio e cavandone una cosa d’arte”.

Ecco, dunque, una valida esemplificazione fra le tante fatte da Mario Praz.

Illustra Padre Alberto alla voce “l’onda”:

Le onde marine , principalmente prodotte dal vento, nelle specifiche varietà…mi costringono a più largo discorso che deve affrancarci da ogni straniera servitù……

 Segue l’elenco delle varie varietà di onde.

Onda negativa, broccata, crespa, maricino, maretta, fiotto, pecorelle, cavalloni, flutto, montoni, maroso……

I verbi utilizzati per descrivere l’onda sono molteplici.

Il  vento intacca, il vento rinforza, il vento ricalza, ridonda, scavezza….

Ed ecco alcune descrizioni.

Nell’onda crespa succede la brezza…allora vedi da vicino il soffio intaccare l’acqua e formarsi sottili squamette triangolari.. una superficie coperta di scaglie come le corazze degli antichi guerrieri…

Quando l’onda è a pecorelle , l’acqua precipita nel solco, spuma , biancheggia ed il mare ti sembra un campo dove corrono sbrancati gli agnelli. Il vento furioso la scavezza e l’arruffa.

Ed ora lasciamo il campo alla lirica sensuale della parola di D’annunzio nei confronti del quale una qualche “spennacchiatura di corone di lauro “ sembra di certo aver dato il nostro Padre Alberto!

Nella cala tranquilla scintilla intesto di scaglia come l’antica lorica del catafratto, il Mare. Sembra trascolorare. S’argenta? S’oscura?…..

Altra onda nasce, si perde  come agnello che pasce pel verde…. Ma il vento rinviene, rincalza, ridonda…….  Il dorso ampio splende come cristallo;  la cima leggera s’arruffa come criniera nivea di cavallo. Il vento la scavezza. L’onda si spezza, precipita nel cavo del solco sonora; spumeggia, biancheggia……

LA CROCE E LA MEZZALUNA.  La battaglia di Lepanto: “Quest’inno al valore d’Italia fu accolto all’indomani dell’unità nazionale con immenso favore  (se ne fecero 15 ristampe), concorse alla popolarità dell’autore e a dissipare di tante sinistre prevenzioni sul pontificato romano “(Taurisano).

Che cosa dimostrò lo storico? La Lega contro il Turco fu atto spagnolo ma l’anima del tutto risiede nel domenicano Antonio Ghislieri (Pio V). Come italiana è la nazionalità dei principali comandanti delle varie squadre, degli equipaggi, come italiana è la nazionalità dei porti da cui salpano e s’incontrano le navi. Come italiano è l’effettivo duce dell’Armata: Marcantonio Colonna capitano della squadra pontificia salpato da Civitavecchia.  

La battaglia alla fine del pomeriggio è terminata. Scendeva giù per le sagole lo stendardo della luna e saliva in alto quello della Croce gridando i soldati da ogni parte: vittoria, vittoria…non era più a veder naviglio alcuno dei Turchi, che non fosse stato o prima o dopo sommerso o preso!(Marcantonio Colonna alla battaglia di Lepanto).

 Ma come descriver al meglio l’impeto dello scontro, il furore della pugna, il fragore dello schianto se non ricorrendo ad una pagina di Padre Alberto che, descrivendo la forza tremenda d’una libecciata a Civitavecchia, si pone quale metafora perfetta di ciò che avvenne in quel giorno del 7 ottobre del 1571.

Comincia il ronfio lontano del mare, si oscura il cielo, cresce il fiotto, spara ad un tratto la rabbia del vento…..Le onde scavalcano le scogliere, spumeggiano in cima e si riversano nell’interno come la piena per le cascate dei fiumi.

Tutti gridano, tutti rispondono: passa il cavo, mano al paranco, ala il gherlino, abbitta la gomena, ferma la bozza,piglia la volta, stendi la grippia, fonda al pennello, para lo stramazzo, fuora gli stiglioni, maina le verghe. In quella guizza vivissima la folgore, rispondono profondi i tuoni e scroscia dirotta l’acqua a vento: flagello stridente sui muri e sul mare.(La squadra permanente della marina romana)

LA FINESTRA SULLA MARINA. Infine, quale terzo elemento l’amore per il suolo natio.

 Fino al 1873 Padre Alberto si recava da Roma a Civitavecchia per passare le vacanze nel convento di Santa Maria. Occupava la camera n.25 prospiciente il mare. Ed ecco una pagina che esalta l’amore per la città della sua famiglia, per la città della sua adolescenza, per la città che gli ha infuso l’ardore per il mare e la sua storia.

Sopra di me la vela del campanile sotto di me il porto ed il vento marino che respiro con tutta la mia energia in queste giornate di riposo che mi concedo nella mia terra natale. Conservo il tuo sapore acre, salmastro, legnoso a volte ferroso. Conservo con me la pace interiore quando affacciato in piena notte dalla finestrella di Santa Maria passeggia bruna bruna la navicella del pescatore notturno con la luna che si rispecchia sugli argenti del mare,  quando sento il vento che ronfia sotto al verone, quando brilla a misura la luce del faro e scintillano sulle acque quattordici lumiere(Epistolario).

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Testo per l’intervento presso la Fondazione Cariciv dell’11 aprile ore 17 su Cialdi e Guglielmotti

CARLO ALBERTO FALZETTI

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