RUBRICA “BENI COMUNI”, 71. TRENTA E LODE (**)
a cura di FRANCESCO CORRENTI ♦
(2 – continua dalla puntata precedente)
I miei pensieri sulla nomina ricevuta, tra l’altro con persone amiche che stimo profondamente, sono stati di sincera gratitudine per l’ennesima prova di considerazione dimostratami dal nuovo presidente della Associazione. Altrettanta gratitudine ho, naturalmente, per i componenti della assemblea della stessa, che mi hanno voluto esprimere il loro apprezzamento con l’onorevole nomina. Sono stato socio per molti anni dell’Associazione. In precedenti puntate ho parlato di alcune mie attività nell’Associazione. Peraltro, non me ne sono mai cancellato… Da un qualche momento, non ho più ricevuto notizie dirette, come un tempo, però. Ho raccolto nella tavola illustrata le mie riflessioni e i miei ricordi. Positivi e negativi, fas et nefas…
Francamente, non voglio esprimermi con nuove considerazioni e, quindi, trascrivo cose già pubblicate, sia in questo Blog (4 marzo 2019, 12 maggio 2022 ecc.), sia nella “Premessa del curatore” a Civitavecchia veduta di Arnaldo Massarelli (2012). Cercando di esporre ai Lettori una lunga vicenda in cui ho avuto una parte molto coinvolgente e sicuramente indelebile nella mia memoria. Dobbiamo tornare indietro nel tempo. E ripercorrere anni della vita cittadina che mi hanno visto vincitore del concorso pubblico per il posto di Urbanista del Comune, ideato dal segretario generale avv. Rino Gracili in relazione all’esigenza di attuare il Piano Regolatore Generale appena approvato. Anno 1968 e inizio del servizio a febbraio 1969. Con l’inizio di una mia attività legata al mio ruolo per portare in primo piano problemi culturali e situazioni urbanistiche fino a quel momento trascurati, in città. Trovando ascolto nel sindaco e in molti altri amministratori.
Ho ricordato più volte la fondamentale collaborazione avuta dall’Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo (presidente Maurizio Busnengo, direttore Cesare La Rosa) nell’organizzare l’iniziativa Civitavecchia da salvare, con la tavola rotonda (e le due relazioni, la mia di impostazione urbanistica generale e quella di Odoardo Toti sui singoli beni), la mostra e la pubblicazione, che sono state determinanti per la ripresa dell’interesse sul patrimonio storico. Ne facevano parte preminente le tavole di Paola Moretti, Dopo Traiano, tratte dalla sua tesi Un intervento per la salvaguardia e la riqualificazione ambientale del porto monumentale di Civitavecchia (relatore il prof. arch. Guglielmo De Angelis d’Ossat; Facoltà di Architettura dell’Università di Roma, A.A. 1965-66). Questa tesi ha rappresentato il primo studio di carattere urbanistico e architettonico, sul porto e la città, basato su una ricerca storica, bibliografica e d’archivio approfondita e rimane ancora oggi fondamentale per i rilievi dei monumenti superstiti, per le ricostruzioni grafiche di quelli scomparsi (a seguito degli eventi bellici e dei misfatti successivi) e per le indicazioni progettuali volte al recupero del porto storico.
Sono le indicazioni progettuali che, integrate da me con l’esperienza d’un ventennio di approfondimenti, hanno costituito i punti fondamentali – e le motivazioni degli apprezzamenti della prestigiosa giuria del Premio Gubbio 1990 – del Piano del Porto e del Centro Storico che è stato adottato come progetto direttore della riqualificazione avviata per il Giubileo del 2000 con le scelte rivoluzionarie attuate o poste come obiettivi da allora: creazione della nuova viabilità (gomma, ferro, altro) di raccordo alle direttrici trasversale e longitudinale; separazione dei traffici e creazione di nuovi porti specializzati; ripristino della icnografia del porto romano e pontificio, riapertura della bocca di levante e accessibilità funzionale autonoma della diga foranea; restauro dei monumenti superstiti – come il Molo e il Fortino del Lazzaretto – e ricostruzione dei valori spaziali e volumetrici, riapertura pedonale della Porta Livorno, demolizione di tutte le superfetazioni e dei manufatti incongrui iniziando dai silos sul Molo del Bicchiere da riportare alla forma curvilinea, valorizzazione della Fortezza, della Rocca, della Darsena e di altri ambiti significativi come poli di attività polivalenti a carattere culturale (locale e turistico), organizzazione di istituzioni per il ruolo di “centro dinamico” del territorio della Tuscia (Consorzio interregionale dei cento Comuni) per i collegamenti logistici alla rete delle emergenze storico-artistiche, eno-gastronomiche, termali, religiose, letterarie ecc. (necropoli e vari siti archeologici dell’Etruria meridionale; borghi, castelli e monumenti del Patrimonio; paesaggi delle forre, dei monti, dei laghi e delle coste marine; centri balneari; attrazioni e specialità varie).
Con una particolare attenzione, data l’imminenza del Giubileo del 2025, ai diversi Cammini di pellegrinaggio o di scoperta: Cammino di Hasekura e dei Martiri Giapponesi e tappe della Pia Gita del 1825, Cammino templare e “maltese” di San Giulio e Sant’Egidio, Via Clodia, Viale dei Cento Pilastri dell’Aurelia Nova, i tanti percorsi via terra (con il passaggio sul mirabile Ponte del Castello dell’Abadia a Vulci, le “fettucce” dei rettilinei di Forum Aureli e del Ponte del Diavolo, le doganali e altre vicinali delle tenute camerali) e quelli via mare (lungo il litorale punteggiato dalle torri di avvistamento) dove abbiamo previsto l’attrezzatura di approdi sul litorale nelle località di maggiore interesse balneare o culturale, ripristinando gli scali dell’Etruria anche per un auspicabile collegamento turistico marittimo. Che poi è la rotta che faccio percorrere a “Gianvattò” al seguito del suo Maestro Labat, che la percorse effettivamente dal 25 al 30 novembre 1715 sulla Feluca dal gentiluomo napoletano don Gaetano Capece, munifico anfitrione.
Il mio lavoro ha anche ricevuto qualche lode esagerata (di cui sono stato comunque grato perché non vi ho visto intenti inutilmente adulatori ma il generoso riconoscimento dell’impegno d’un ospite), come quella espressa in un articolo a cura della Associazione Archeologica “Centumcellae”, L’ottimo consiglio …contestato, pubblicato in “O&C” (la bella rivista di Costantino Forno), n° 33, settembre-ottobre 1991, pp. 12-13, che dichiarava: “Il Calisse, il Bastianelli, il Correnti, cioè i più qualificati storici cittadini […]”. Ho già “commentato” su Chome lo papa uole… del 2005, naturalmente con un «No comment». L’Associazione – scrivevo nella “Premessa” del 2012 – ha svolto a Civitavecchia, fin dalla sua fondazione nel 1911, un’opera di promozione e diffusione culturale encomiabile e fondamentale, grazie a grandi figure come Salvatore Bastianelli, Fernando Barbaranelli, Ilario Cordelli e gli altri delle origini, cui si aggiunsero nel tempo personalità di rilievo, da Fabrizio Ferrari a Basilio Pergi, a Fabrizio Pirani, che animavano il gruppo quando giunsi a Civitavecchia e fui invitato ad aderire. Tra i giovani di allora, Odoardo Toti, già affermatosi per le sue ricerche archeologiche ma destinato a grande successo come autore di una grande opera storiografica, e i giovanissimi come Giovanni Insolera, compagno in alcuni lavori, Enrico Seri, Antonio Maffei e tantissimi altri, ma soprattutto Giovanni Maria Amicizia di cui si dovette piangere la scomparsa improvvisa.
Per non perdere il senso della realtà – proseguo nell’autocitazione – e volendo vedere con la dovuta autoironia la mia partecipazione alle vicende della mia generazione, mi è parso di trovare qualche affinità – si parva licet… – tra la situazione di Civitavecchia nel periodo dell’inizio della mia attività al Comune con quella descritta da Luciano Bianciardi nel Lavoro culturale del 1957, anche se la nostra era la generazione successiva a quella del libro [Luciano Bianciardi, Il lavoro culturale, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano 1957, 19743, 1991 (fuori collana)]. Certo, vi sono alcune affinità e molte differenze, perché Civitavecchia, nelle sue manifestazioni culturali, era probabilmente più indietro dell’innominata Grosseto del libro, anche di quella dei primi anni del dopoguerra, che per noi erano ormai lontani, benché ancora vi fossero grandi isolati vuoti (l’area di Santa Maria, con un angolo ancora conservato – vera e propria reliquia – della Cappella di Santa Fermina, altre a Via Stendhal, e quella molto ampia del Grand Hotel delle Terme sul Viale), ultimi residui da riempire e saturare delle cubature della interminabile ricostruzione. Al governo cittadino vi è all’epoca una giunta di centro-sinistra che nel ’70 viene sostituita da un bicolore DC-PSI, con l’appoggio esterno del PCI e del PSIUP, in una situazione generale e mondiale di forti fermenti sociali, di tensioni, di guerre.
Nel periodo tra il ’70 e il ’76, durante il quale fu assessore all’Urbanistica e due volte sindaco Mario Venanzi, con assessore prima Roberto Tamagnini e poi Giorgio Vercesi, mi è stato possibile impostare la struttura della Ripartizione Urbanistica e avviare una serie di ricerche, analisi e verifiche sul Piano Regolatore Generale, entrato in vigore nel 1968, avviandone l’adeguamento alla legislazione sopravvenuta e curando l’elaborazione di studi sull’assetto del territorio, piani attuativi pubblici per insediamenti residenziali e produttivi, iniziative di recupero del patrimonio storico e provvedimenti in campo culturale e sociale. Quest’attività e il contemporaneo risveglio d’interesse pel passato della Città e la partecipazione alla vita politica han consentito al Comune di rispondere tempestivamente alle esigenze d’un crescente sviluppo urbanistico, economico, sociale e culturale e porre le premesse delle successive tappe, con risultati raggiunti solo in molti anni. Tra i protagonisti di quegli anni d’appassionato lavoro, il mio ricordo commosso va a tre amici carissimi, Archilde Izzi (il sindaco che m’ha assunto in servizio), Alfio Insolera e il già ricordato Giovanni Maria Amicizia, scomparsi senza aver visto i frutti del loro impegno. Ma neppure d’essere sconfortati da quanto avvenuto dopo.


Oltre a ciò, seguendo l’altro fronte dei miei interessi ideali, quello rivolto al patrimonio storico e ambientale – che mi aveva già portato a promuovere, insieme ad alcuni amici, il Comitato “Civitavecchia da salvare” – mi ero anche impegnato a collaborare, nella mia specializzazione di architetto urbanista, con Angela Zucconi, Florita Botts, Marcella Rinaldi, Ruggero Orlando, Tullia Zevi e molti altri nella Sezione “Lago di Bracciano” di Italia Nostra. Impegnata nella difesa di quel comprensorio dai sempre più frequenti e pesanti interventi di squalificata edilizia speculativa, la vita della sezione conobbe una intensa e feconda stagione di studio della ricchezza delle risorse culturali e naturali, di diffusione della conoscenza e di sensibilizzazione dell’opinione pubblica attraverso una attenzione continua – animata dall’infaticabile passione di Angela – all’operato dei Comuni e l’approfondimento del dibattito sul periodico La Tribuna del Lago.
Contemporaneamente, ho integrato queste attività con altre connesse. Intanto, l’opportunità di prestare la nostra opera nello studio e nel restauro di alcuni monumenti e nell’allestimento museografico di diverse strutture in varie parti della Tuscia, ci valsero il ringraziamento ufficiale dell’Amministrazione statale preposta e ci offrirono buone occasioni di mettere alla prova le nostre capacità. Insieme a ciò, la buona volontà di dedicare il poco tempo libero alla ricerca e allo studio della storia del territorio, alla paziente catalogazione delle fonti archivistiche e iconografiche, al rilievo dei resti monumentali o alla ricostruzione dei tessuti urbani e delle architetture scomparse, ci ha portato ad una conoscenza della regione etrusca che si aggiungeva a quella iniziata in campo universitario e preludeva alla futura possibilità di estendere e approfondire l’esperienza nella pianificazione d’area vasta e nella collaborazione interregionale. Dal 1982 ho iniziato a confrontare le mie ipotesi sulla formazione del nucleo medioevale di Civitavecchia con gli studi sulla tipologia di Gianfranco Caniggia. In seguito, ho avuto la fortuna di collaborare con Umberto Di Martino, assessore alla Provincia di Roma, docente della Facoltà di Architettura e membro attivo dell’INU. Devo a lui, quale Presidente della Sezione Lazio dell’INU, una lettera molto gradita del 28 marzo 1984, prot. n° 7431: «Carissimo Correnti, ho il piacere di comunicarti che il nuovo Consiglio Direttivo della Sezione laziale mi ha unanimemente incaricato di manifestarti il suo apprezzamento per l’impegno da te profuso a favore dell’INU. Spero, insieme ai colleghi del C.D., che anche per l’avvenire non vorrai far mancare il tuo apporto critico alla politica complessiva della Sezione, nonché il tuo autorevole e concreto appoggio alle iniziative in corso di programmazione, delle quali presto ti daremo notizia».
Questo era il quadro delle idee, delle motivazioni e delle speranze di chi, all’interno degli uffici, alla prima esperienza di lavoro, tentava di mettere in pratica il proprio bagaglio di conoscenze teoriche e le proprie convinzioni, esternando in vari modi proposte innovative in campi fino a quel momento trascurati. Di questi fatti del “secolo scorso” pochi, ormai, hanno memoria e le giovani generazioni li ignorano del tutto. Erano il tentativo di far assumere alla Città e al Comune che la rappresenta il ruolo attivo di promozione culturale e di conduzione organica e sistematica di studi e iniziative che vide tra le altre, nel 1995, l’istituzione del Comitato scientifico per i beni culturali e ambientali, di cui invitammo a far parte Carlo De Paolis, Rossella Foschi, Giovanni Insolera, Giovanni Massarelli, Odoardo Toti. Con una specie di consulta allargata in cui dovevano fornire il loro apporto propositivo i rappresentanti delle numerose associazioni culturali che, nel frattempo, s’erano formate sia per diversità d’impostazione ideologica, sia per desiderio d’indipendenza dei vari gruppi.
Penso che un momento di grande unità di intenti, anche tra le diverse componenti culturali e politiche, si sia avuto nel 1990, con la grande mostra Civitavecchia nel Settecento nei portici di Corso Marconi, la “scoperta” del frate architetto Labat e la “ricostruzione” a grandezza naturale della facciata della chiesa di Santa Maria sulla piazzetta omonima, che suscitò profonde emozioni in tanti anziani cittadini ancora memori della venerata chiesa matrice prima della sua distruzione.
Si era manifestato in quegli anni il problema delle frequenti richieste di sostituzione edilizia per fabbricati del periodo compreso tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, le cui caratteristiche architettoniche e il valore storico-artistico o documentario ne rendevano opportuna la conservazione, evitando d’estendere ulteriormente la cancellazione del volto e del tessuto del nucleo cittadino originario. La necessità storica, culturale e “sentimentale” – oltre che urbanistico-ambientale – di disciplinare tali richieste portò alla stesura della proposta del Regolamento per la tutela del patrimonio architettonico del 1991. Sono mesi di forte e ampia partecipazione al dibattito culturale, ravvivato dal ritorno alla luce di basolati e mura della città antica nel cuore della «Città senza cuore» (è il titolo di una mia mostra), da parte di cittadini e della stampa: “Sopralluogo agli scavi contesi”, “Una necropoli romana sotto i negozi”, “Sopralluogo alla necropoli”, “Dopo lo scempio la rabbia”, “Il Torrione cade a pezzi, arrivano i nuovi saraceni!”, “Una regola per salvare la storia”, “Un regolamento per tutelare il centro storico”, sono i titoli che incalzano la lentezza e la titubanza degli organi ufficiali e di certi partiti politici.
Poi, sconvolgente, assurda, vergognosa, la parentesi dell’illegalità e del tentativo eversivo contro il Comune da parte di alcuni malfattori insediati proprio nelle stanze della Giustizia, in combutta con squallide figure del sottobosco e con l’aiuto interessato di furbastri professionali. Un quinquennio terribile, con danni sociali peggiori di quelli del dopoguerra, ma poi se ne uscì. Parve… Qualche cenno ne ho dato qui sul Blog nella serie “Un Classico del Giallo” (XX della IX): La strage degli Innocenti. L’edificio della Nona. Realtà storica d’una leggenda metropolitana (22 marzo 2017), La convinzione che lei esista (7 novembre 2017), Quel sereno semestre del commissario Cosenza (24 dicembre 2018). Più a lungo ne parlo in Correnti? No, grazie (diff. riserv. 1999) e nella “Premessa” del 2012 (p. 43, n. 75). Resta il fatto doloroso che quell’insieme di ciniche e infami azioni persecutorie, conclusesi nel nulla (ma con molti oneri per la collettività) si sono per giunta rivelate poi mosse solo da fini abietti di sordidi interessi personali, togliendo ai patimenti e danni subiti almeno l’illusione della nobile causa.
Tornando alle vicende dei “Beni comuni”, dopo alcuni episodi di mancata applicazione, si è giunti all’adozione – allora molto sentita e condivisa da parte di tutte le forze politiche – della “celebre” Variante 30, quest’ultima in puntuale adempimento delle prescrizioni dell’art. 29 della legge regionale 22 dicembre 1999, n° 38, Norme sul governo del territorio. Il resto è noto e non è necessario riparlarne. Certo, la grave mancanza di regole supportate dalle precisazioni di legge ha rappresentato una grave carenza che ha comportato i numerosi problemi verificatisi ormai da troppi anni. Come prescrive la legge regionale – ed è questo l’obiettivo comune cui tende il programma del PRUSST del Patrimonium Beati Petri, ribadito dagli enti promotori nel convegno “Punti di fuga” del 28 maggio 2019 in Palazzo Patrizi Clementi – sarà necessario ripristinare le disposizioni per tutelare l’integrità fisica e l’identità culturale del territorio comunale attraverso le precise azioni indicate dall’articolo 29, verificando gli adempimenti in tutti i territori della Tuscia secondo il Manifesto del 2007:
1) la ricognizione della vicenda storica fino all’attuale configurazione del territorio comunale e dello stato di conservazione del suolo e del sottosuolo, nonché dell’equilibrio dei sistemi ambientali;
2) l’articolazione del territorio non urbanizzato in ambiti, in relazione alle loro caratteristiche paesaggistiche, ambientali e produttive agricole;
3) la perimetrazione del territorio urbanizzato e, nell’ambito di esso:
- a) degli insediamenti urbani storici aggregati o centri storici;
- b) delle addizioni urbane storicizzate, cioè le parti del territorio totalmente o parzialmente edificate diverse dagli insediamenti urbani storici, individuando le singole unità edilizie, i complessi edilizi, gli spazi scoperti, le strutture insediative non urbane, delle quali conservare le caratteristiche morfologiche, strutturali, tipologiche e formali;
4) la definizione, per ognuna delle componenti territoriali individuate ai sensi dei precedenti numeri, delle disposizioni relative alle trasformazioni fisiche ammissibili ed alle utilizzazioni compatibili.
Quanto alle mie riflessioni, perplessità e dubbi – sicuramente motivati, sicuramente sacrosanti, non per il fatto personale ma per tutto il resto, in particolare per il danno culturale recato alla Collettività – che ho voluto portare all’attenzione dei Lettori, con l’impegno detto prima, concludo confermando le mie espressioni di stima, di affetto e di sincero ringraziamento per gli Amici della Centumcellae, che prevalgono giustamente ed onorevolmente su ogni altro sentimento. E così sia…
FRANCESCO CORRENTI (2 – fine)
