Il ricordo più bello
di MATTEO VECCHI ♦
Questo “articolo” nasce da una frase (o era una riflessione?) che ho sentito per caso l’altro giorno. Suonava più o meno così: “mi piacerebbe che l’eternità possa essere il rivivere costante del ricordo più felice”.
Ora senza starsi a soffermare su quella parola tanto affascinante quale “eternità”, mi piacerebbe riflettere sul contenuto della frase e su quale potrebbe essere, per me, il ricordo più felice. E bene inizio col dire che è abbastanza lontano nel tempo e nello spazio.
Da piccolo ho avuto la fortuna di crescere, nei fine settimane e quando le ferie dei miei genitori lo permettevano, in una piccola, piccolissima realtà a cavallo fra Umbria e Marche chiamata “Muccia”. Il piccolo borgo si trova a pochissimi chilometri dalla ben più famosa città di Camerino e l’ultima volta che ho controllato il numero di abitati non superava la cifra tonda di 900. Ricordo infatti che quando nonna decise di ritrasferirsi definitivamente venne il sindaco in persona a casa per fare i documenti per festeggiare questo piccolo traguardo.
Se fossi bravo con le parole riuscirei a rendervi partecipi dei miei ricordi, del profumo dell’aria nelle ore più calde d’estate, del rumore delle foglie quando in autunno pesanti cadevano dai rami o ancora del gusto di quella squisita focaccia bianca al rosmarino da mangiare seduti in sella alle biciclette mentre si guardava l’acqua del fiume che scorreva di fianco alla strada che portava al bosco. Questi e infiniti altri ricordi mi abbracciano mentre scrivo ma la cosa più bella è che non ero mai solo.
Al mio fianco sempre il mio migliore amico, mio fratello Francesco; uno dei migliori centrocampisti-adattato-attaccante mai esistiti.
Con Francesco e gli altri bambini giocavamo intere giornate dalla partita a calcetto alle passeggiate in bici passando per i tuffi al lago e i pomeriggi con il Nintendo (che si tirava fuori quando ormai la stanchezza non permetteva più di muovere neanche un muscolo).
Capitava spesso che Francesco si fermasse a pranzo, manco a dirlo, il menu prevedeva pasta – all’uovo – con sugo e carne. Il tutto ovviamente tenendo in sottofondo discorsi vari e il telegiornale sportivo. Perché comunque quello che faceva Del Piero andava poi scrupolosamente imitato. Francesco ci riusciva pure io mi limitavo alla linguaccia.
Questo è il mio ricordo più bello.
Questa liturgia si ripeteva anche di domenica ma la domenica i toni erano assai più cupi in quanto di lì a poco saremmo ripartiti e quelle bellissime giornate avrebbero dovuto aspettare qualche altro giorno. La cosa che a pensarci mi lascia stupito è di come al lunedì mattina tra i banchi di scuola non avevo nessuna contezza di quei pranzi ma avvertito, come credo capiti a tutti, la famosa “depressione” del lunedì. Quella che Leopardi diceva che iniziava già di sabato.
Proprio l’altro giorno, come per fortuna accade spesso, Francesco manda un messaggio sul gruppo che abbiamo in comune con un altro Francesco (che meriterebbe un contributo a parte).
Non era proprio un messaggio ma un video. Un video che aspettava di girare da tanto e che, manco a dirlo, mi ha fatto piangere tutte le lacrime che avevo. Non so se per gioia o per tristezza. Il video mostrava casa sua che veniva “accarezzata” dal braccio di un macchinario pesante che procedeva a trasformarla in macerie. Francesco e la sua famiglia aspettavano quel momento da tanto, da quando le scosse sismiche del 2016 hanno stravolto l’esistenza di Muccia e tanti altri piccoli e grandi comuni delle Marche.
Dal 2016 sono cambiate tante cose, mia nonna non c’è più, le case di Muccia faticano ad essere ricostruite, tanti abitanti si sono dovuti spostare.
Non so se è l’inizio della ripresa, l’ho sperato tante volte, non capisco nemmeno troppo bene se è giusto concepire la vita come una linea retta composta da segmenti che quindi possano aiutarci nel distinguere inizi e fini ma spero che Francesco possa riavere tutto quello che un destino beffardo gli ha tolto.
Scherzosamente gli dico che mi piacerebbe che i nostri figli, be lungi dall’essere “in cantiere”, possano vivere quelle emozioni che abbiamo vissuto anche noi iniziando a mostrare, abbastanza precocemente, segni gravi della sindrome del genitore che vive attraverso i figli.
La verità è che darei tutto per ritornare a quelle giornate anche solo per un’ora per raccontare a quel gruppo di marmocchi che la vita diventerà più dura ma che i compagni di viaggio, sporchi di terra e sugo, che un po’ per fortuna un po’ per scelta sono di fianco a noi sono la vera essenza di tanti ricordi di prima e di poi.
MATTEO VECCHI

Ma tu ” sei bravo con le parole”, davvero!
Grazie di questo tuo bel contributo , delicato ed evocativo.
Maria Zeno
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Grazie a te Maria, spero di avervi mostrato un pezzetto di quella che era la mia realtà!
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Scaccia lla nostalgia Matteo, distruggilo, disintegrata. Lasciala ai vecchi, tu costruisci momenti di vita che un giorno ti andrà di ricordare. Un abbraccio. Annaalisa.
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Cara Annalisa, mentre scrivevo il finale mi sono detto “oddio non è che passa troppo troppo il messaggio di vivere nel passato?”. Effettivamente mi confermi questo dubbio ed altrettanto effettivamente è un po’ così… ma faccio mie le tue parole per progredire da qui in avanti
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