Il nome della cosa.

di PAOLA ANGELONI

Frammenti da “Ner tempo”, versi nella variante civitavecchiese di Andrea Barbaranelli:

Sò entrato nel labirinto senza er filo”.

 Vorremmo essere Greci ma non possiamo.

Come il “mondo vero finì per diventare favola”, Nietzsche.

Tempo e morte se equivargono.

Cianno la stessa sostanza.

Da li spazzi siderali

arriva la luce de le stelle

morte da mijardi d’anni.

Come Emanuele Severino dice, ciò che è accidentale, precario, richiede una unificazione e chiederci se un fatto linguistico si sia formato “ner tempo”, tenendo tuttavia presente che ogni lingua è un sistema, dove ogni elemento linguistico è “quello che è”, soltanto in rapporto al sistema.

Questo rapporto tra parte e tutto è determinato e condizionato dall’intero, il che vuol dire che l’”Intero” non è riducibile alla somma delle parti e questo “intero” si presenta all’interno di un ambito “comune”. E’ interessarsi alla prospettiva diacronica, cioè del modo in cui tale sistema si è storicamente formato, nell’unico ambito della “legislazione naturale”, come ordinamento unico, senza alternative ed eterno.

Lo stesso marxismo ci ha parlato a fondo della liberazione del divenire umano da ogni apparato immutabile. Solo l’ultimo Wittgenstein, cambiando prospettiva, assume un atteggiamento “descrittivo” nei confronti del linguaggio ordinario (nel nostro caso del dialetto), portando alla luce la densità di significato che è presente nel nostro modo di parlare: la dimensione autentica del divenire (nel tempo) va cercata nel pensiero e nell’esistenza umana, così tale dimensione è il linguaggio effettivamente parlato dal “popolo” (“δῆμος” – demos).

…preferivo annà

a camminà da solo. Me piaceva

la parte esterna de l’antemurale

davanti ar mare aperto…

e li spruzzi de l’onnate

te pijaveno in pieno…

…un monno ch’era come

quer mare in movimento…

 

Il senso greco del divenire.

Oggi assistiamo al tramonto della cultura occidentale, ma l’ intera civiltà occidentale cresce all’interno dello “spazio” aperto per la prima volta dalla filosofia greca, con la convinzione che il “Tutto” vada ricercato nel divenire stesso del mondo (bambino, ragazzo, adulto, senescente): il passaggio dall’essere al niente e dal niente all’essere.

Le “cose” oscillano nel divenire (e lo sguardo dei Greci era attento alle “cose”, non al soggetto uomo che le vedeva): Quale può essere il rimedio? ( ci chiediamo noi?)

La religione, la scienza? Quale il pharmakon ?

E’ il senso che il pensiero greco attribuisce all’”essere cosa “ delle cose del mondo: l’Ente immutabile, eterno, è eterno perché è “un certo ente”: un certo ente che ha vissuto l’infanzia quasi felice, gli orrori della guerra, il cauto entusiasmo e l’azzardo dell’età adulta, la senescenza e il guardarsi allo specchio. Ma anche la sensibilità per la tolleranza, l’amore e l’ amore per quer che adera ciò che sta prima a partire dai presocratici.

Adera er Mobby Dicke mio domestico

ma più antico de ogni artra balena

co le conchije fossili incastrate

ne le coste de la rena fatta pietra

dar tempo.

 

Frammenti

Anassimandro disse che nell’infinito sta tutta la causa della generazione e della corruzione del tutto: da questo appunto dice che si sono staccati i cieli e complessivamente i mondi che sono infiniti. Sostenne che la loro corruzione e, molto prima, la generazione ha luogo, perché tutti soggetti ad un moto rotatorio dall’eternità.

“…laggiù in fonno

ar mare…che se sa che c è solo perché

cià un respiro che copre ogni rumore.“

 

“Nun c’era, fora der mare,

gnente che poteva piacè…

Ce stava tutto er monno,tutt’intero.”

 “ …o a un affogato

steso su la battiggia tutto gonfio

e la faccia magnata da li pesci…”

Anassimene di Mileto: come la nostra anima – che è aria – ci stringe assieme, così pure il soffio e l’aria abbracciano il mondo intero.

“…la cresta, come un còrpo

vivo e sguizzante, come un pesce enorme

che freme a lungo pe aripijà fiato.”

 

“…un monno freddo,

er freddo che c’entrava drento l’ossa

co la testa rapata

pe via de li pidocchi.”

La speculazione presocratica era divulgata oralmente. I modi del pensiero e dell’espressione orali esercitarono influenza sul linguaggio filosofico.

Eraclito di Efeso: Il signore, cui appartiene quell’oracolo che sta a Delfi, non dice né nasconde,

ma accenna. La vita è un fanciullo che gioca, che sposta i pezzi sulla scacchiera: reggimento di un fanciullo.

“Sto seduto pe terra e sto a giocà

co li mii animaletti de lo zoo…”

“…in de la sérva co l’ animali che stanno a magnà

l’erba der prato mentre li giaguari

e li leoni je fanno la posta.”

Borges: Heráclito

“E’ inutile che dorma. Il fiume corre

nel sonno, nel deserto, in scantinati.”

“Il fiume mi rapisce, io sono il fiume.”

Mi soffermo su di una riflessione di Deleuze sull’animalità: non è solo antispecismo, ma va oltre. Il filosofo francese parla di divenire-animale e propone una tassonomia nel suo bestiario: animali edipici, animali di Stato e animali demoniaci.

Gli animali sono definiti non dalla specie, ma da relazioni che agiscono o da cui sono agiti. Deleuze ha una certezza: l’umano deve farsi catturare da una relazione animale con un animale, che è il divenire – animale stesso.

Ad essere reale è “il divenire stesso” ed una relazione. Un animale si definisce per i concatenamenti con cui entra: l’animale che dunque sono. E’ l’ animale che è capace di creare divenire, racconto.

Gli animali condividono con “noi” una faglia “comune” di affetti e di comunanza, costituita dal soffrire, dal gioire, dall’”im/potenza” e dalla mortalità condivisi.

Animali capaci di estrarre, tagliare e ricucire “tutto ciò che c’è “ di non-umano nell’uomo e fuori dall’uomo.

Empedocle di Agrigento: Proemio “Di qui tutte le cose che furono e saranno, e le cose che sono:

gli uomini e le fiere ed i pesci ed i virgulti. “

“..e gli alberi sono germinati, gli uomini e le donne,

e le fiere e gli uccelli, ed i pesci che vivono nell’acqua..”.

Simonide di Ceo: “..e guizzavano pesci al dolce canto,

dritti all’acqua scura.

Verrà la brezza a tatuare il mare.”.

“…e un passeretto zompettava in un quadratino de sole…

…martrattato

come un purcino in un allevamento.”

 

“…come fussi n’ucello che spiccava er volo…

…un cobra.

Un serpente de quelli velenosi…”

 

“Lo avemo seppellito…ar nostro passeretto Cijeggino…

tutto alegro e contento de

magnà…”

 

“l’acqua der vuzzo, ch’era ormai tutto na massa

de carne, de tentacoli, ventose

che te s’arrivojano a le gamme.”

Ma il dialetto può essere una sfida, come camminare sul ciglio di un burrone, come poetare su “quer che adera successo”, come recuperare il momento aurorale e la perdita delle radici: il dialetto può essere uno scandalo, nell’era della tecnica e degli specialismi.

“Fu uno scannolo..” , tutto il tema di ammissione in dialetto, con tutte le espressioni più storpiate, con tutte quelle doppie, colazione con due zeta, per non dire degli altri errori.

Come nella lingua greca  anche nel dialetto può rimanere il dolore del naufragio, “un certo ente”, di fronte ad un bivio, può scegliere di entrare ed uscire dal cerchio dell’apparire con l’affermazione dell’eternità del tutto: tutto continua ad esistere come un sole al tramonto.

“Quando gli astri dell’essere escono dal cerchio dell’apparire, il destino della verità li ha raggiunti e impedisce loro di diventare niente.

Appunto per questo essi – tutti – possono ritornare.” (Severino – Gli uomini non diventano polvere.).

corre-interlinea

Andrea è stato per me il “tradurre”, il mio professore quando quattordicenne lo incontrai per la ripetizione di greco. Ero stata rimandata con un misero cinque all’ esame di ammissione al Liceo, nella scuola del Preside Masaracchia, quell’esame in cui “lui stesso” operò il suo primo “scannolo” traducendo in dialetto.

Successivamente, con la lontananza, il tradurre è diventato “ermeneutica”, ma questa viene dopo, nella nostra età del tramonto.

PAOLA ANGELONI

https://spazioliberoblog.com/

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  • L’immagine di copertina è tratta da una scena del film: Il nome della rosa. La fonte è un fotogramma di Johnny Freak  disponibile su Wikipedia.