10 febbraio – Giorno del Ricordo
di GIORGIO GARGIULLO ♦
Il 10 febbraio, come da 20 anni a questa parte, si è celebrato il Giorno del Ricordo. Istituito nel 2004 con legge approvata dal Parlamento dalla quasi unanimità dei suoi membri e promulgata dal Presidente della repubblica Ciampi.
La ricorrenza si pone il fine di commemorare i tanti italiani barbaramente uccisi e gettati nelle foibe carsiche.
Salvo quest’anno, da anni, in rappresentanza dell’Anpi, con una delegazione e il labaro dell’associazione, la nostra presenza alla manifestazione indetta dal comune, è stata sempre puntuale e commossa.
Quindi nessuna reticenza, nessun negazionismo su quei drammatici fatti ma la convinzione piena che quanto accaduto in Yugoslavia dal 1943 alla 1945 fu un eccidio la cui responsabilità ricade pesantemente sull’esercito Jugoslavo agli ordini del maresciallo Tito.
Anche il successivo esodo forzato di circa 250.000 italiani dell’Istria e Dalmazia costretti ad abbandonare le terre in cui vivevano da generazioni fu conseguenza di una politica nazionalista e discriminatrice del governo Jugoslavo.
Quindi, lo ripeto, nessuna reticenza e nessun negazionismo ma una condanna ferma per quanto accaduto ai confini nord orientali dell’Italia.
E’ vero, nel passato sulla questione si è mantenuto un imbarazzante silenzio. Un silenzio che nel dopoguerra accumunava sia la Democrazia Cristiana, allora al governo, interessata a mantenere i buoni rapporti con Tito perché alla guida di un paese non allineato e in rotta con l’URSS, che parti importanti della sinistra che sui fatti mantennero una colpevole reticenza.
Ritengo che ormai non ci siano più zone d’ombra su quanto accaduto e soprattutto che nessuno lo neghi o lo nasconda o si senta in qualche modo in imbarazzo nel parlarne.
Già negli anni ‘80 delegazioni dei partiti democratici resero omaggio alle vittime delle foibe. Ricordo Piero Fassino allora segretario del PCI, ricordo i presidenti della Repubblica Ciampi, Napolitano e Mattarella che si recarono in quei luoghi incontrandosi con rappresentanti delle istituzioni slovene esprimendo forti messaggi di pace e l’auspicio affinché quei drammi non si ripetano.
Ciò che invece oggi desta forti preoccupazioni è l’uso strumentale che di quei drammi fa la destra.
Lo si è visto in molte cerimonie svoltesi in particolare quest’anno, dove in troppi interventi si sono oscurate, ignorate o addirittura rimosse le situazioni che quegli avvenimenti determinarono, che ne furono la principale causa, ovvero il “contesto” in cui si svolsero. Si tratta di letture di quegli avvenimenti monche, omertose e quindi, queste sì, negazioniste, che in molti casi riguardano anche rappresentanti delle istituzioni.
“Dimenticare” le efferate violenze messe in atto dal fascismo già dagli anni venti in Istria e parte della Dalmazia, le terre appunto rese all’Italia dopo la prima guerra mondiale , “dimenticare” il vergognoso attacco alla Jugoslavia da parte dell’Italia fascista e della Germania nazista e la successiva occupazione militare di gran parte del paese con sanguinose e criminali repressioni, rappresenta un grave caso di “amnesia politica” e un tentativo di ignorare la complessità della storia e falsare ogni seria analisi ed interpretazione di quegli avvenimenti.
E ciò non significa in alcun modo giustificare gli eccidi delle foibe.
Per un esame storico degno di tale nome occorre ricordare che dalla fine della prima guerra mondiale la Venezia Giulia, l’Istria e parte della Dalmazia, divennero Italiane. Già da quegli anni, dal 1919, la politica dei governi italiani fu orientata alla italianizzazione delle popolazioni slave che da secoli convivevano pacificamente con la comunità di lingua italiana.
Con l’avvento del fascismo si ebbe una drammatica recrudescenza di tale politica che con la forza mirava alla emarginazione dalla vita sociale e culturale degli abitanti slavi. Un esempio di quella politica fu l’obbligo di italianizzare i nomi, di imporre la lingua italiana in tutti gli uffici pubblici. Vennero cambiati i nomi delle città, anche nei cimiteri si dovettero sostituire i nomi sulle lapidi e le funzioni religiose dovettero essere celebrate in italiano. Nelle scuole fu imposto l’uso della lingua italiana. In buona sostanza si cercò di sradicare da quelle popolazioni la cultura, il loro modo di vivere, in definitiva la loro identità, facendo uso di metodi repressivi drastici e cruenti.
In tale direzione va ricordata una famigerata frase di Mussolini che in una circolare recitava: “Di fronte ad una razza inferiore come quella slava non serve la politica dello zuccherino ma quella del bastone”. E il bastone venne purtroppo usato abbondantemente.
Il 6 aprile 1941 con l’attacco degli eserciti italiano, tedesco, rumeno e bulgaro alla Jugoslavia e con la successiva occupazione del paese, l’Italia si annesse una parte importante della Slovenia e della Dalmazia ed occupò militarmente circa metà del paese. Il resto venne diviso tra le altre nazioni salvo la Croazia in cui venne insediato il governo fantoccio di Ante Pavelic un fascista criminale capo della milizia Ustascia. In quel periodo si organizzò la resistenza Jugoslava al comando di Josip Broz (Tito) composta soprattutto da comunisti. Inizialmente le formazioni partigiane Titine combatterono in Montenegro e successivamente la loro presenza si espanse in tutto il resto della Jugoslavia e divenne egemone tra i gruppi combattenti per la liberazione. Per contrastare la resistenza Jugoslava venne imposto dall’Italia un regime di durissima repressione. Vennero fucilati circa 5000 civili nella sola provincia di Lubiana mentre altri 7.000 morirono di stenti nei campi di concentramento di Gones e di Rab, decine di paesi vennero bruciati.
Venne poi l’8 settembre e con il disfacimento dell’esercito italiano i tedeschi si sostituirono agli occupanti italiani continuando una feroce opera contro le forze di liberazione partigiane e contro le popolazioni.
Contro gli occupanti tedeschi spesso coadiuvati da contingenti della repubblica di Salò prese forza la resistenza Jugoslava. Le formazioni partigiane Jugoslave riuscirono a controllare gran parte del paese mentre i nazisti occuparono i centri abitati. Nelle formazioni partigiane forte fu la presenza di militari italiani che dopo l’8 settembre rifiutarono di consegnarsi ai tedeschi. Nei 50 mesi di guerra, cioè dal 1941 al 1945 da ambo le parti gli scontri furono caratterizzati, da parte nazifascista da tantissimi episodi di estrema violenza e in molti casi da vere azioni di inaudita ferocia. Da parte delle formazioni partigiane si rispose con altrettanta violenza e ferocia. Ed in quel clima iniziò l’uso delle foibe per occultare l’assassinio di tanti Italiani. Si trattava spesso di persone che erano state organicamente legate al fascismo e quindi colpevoli di aver causato azioni contro le comunità slave ma anche di tanti comuni cittadini, insegnanti, impiegati dello stato, forze dell’ordine che avevano solo la colpa di essere italiani.
L’uccisione di Norma Cossetto rappresenta una delle pagine più tragiche di quei momenti. Nelle foibe finirono anche antifascisti e appartenenti alle formazioni partigiane non allineati politicamente con i Titini i quali, in molti casi, furono animati da forti rancori e spirito di vendetta ma anche da esasperate da forme di nazionalismo.
Per concludere ritengo che sia dovere di tutti ricordare quegli avvenimenti e non solo una parte di essi. Occorre sempre avere rispetto per tutti coloro che hanno sofferto quei periodi. Per tutti i morti di quelle tragiche vicende. Ma cancellare parti importanti della storia, usare lo sbianchetto per quelle pagine che non sono funzionali elle esigenze politiche attuali significa negare la verità.
La guerra è sempre una cosa terribile. E’ comunque bene ribadire che in Jugoslavia la guerra venne portata da Mussolini e Hitler per motivi di sfruttamento delle risorse economiche. Stavano preparando l’attacco all’URSS e quindi per tale fine quelle risorse erano necessarie. Si calcola che tra gli Jugoslavi vi furono molte centinaia di migliaia di morti.
E’ giusto anche ricordare che l’esercito di Tito, anche se con drammi e azioni ingiustificabili, combatteva non per motivi di conquista, ma per liberare la propria patria dalla occupazione nazifascista.
Un’ultima considerazione: cercare di equiparare i drammi della foibe con la shoah, il programma nazista per sterminare la razza ebraica, costituisce un abuso storico che evidenzia la volontà di comparazioni inaccettabili determinate soltanto da un assurdo quanto intollerabile spirito di rivincita.
GIORGIO GARGIULLO
