Una ricerca internazionale a difesa delle donne
di ENRICO IENGO ♦
Ho avuto il piacere di partecipare, martedì 20 Febbraio, alla presentazione della ricerca internazionale “Paradisi crudeli: donne e violenza domestica” curata dalla sociologa Eugenia Porro, tenutasi presso la sala convegni della Fondazione Cassa di Risparmio di Civitavecchia. L’evento è stato promosso dalla FIDAPA con la collaborazione fattiva di Spazio Libero Blog.
Il convegno è stato particolarmente interessante, avendo come tema un argomento di estrema, drammatica attualità.
La ricerca di Porro è divenuta un libro, edito nel 2014, ma efficacemente attualizzata dall’autrice nel corso del dibattito.
Già il titolo introduce significativamente la ricerca: “Paradisi Crudeli” è un ossimoro semantico che allude al fatto che la grande maggioranza delle violenze sulle donne avviene nel nucleo familiare, luogo simbolicamente associato a sentimenti di amore, sostegno, assistenza e che invece spesso nasconde violenza e sopraffazione, un Paradiso crudele appunto.
Nel capitolo dei dati statistici viene citata una indagine impressionante condotta dall’ISTAT nel 2006 su 25000 donne dai 16 ai 70 anni: 1 donna su 3 dichiarava di aver subìto violenza fisica o sessuale almeno una volta nella vita, nel 70% dei casi da parte del marito o del partner. Si tratta di donne spesso istruite, all’apparenza emancipate, persone comuni come comuni sono gli aggressori.
L’indagine ISTAT mise per la prima volta in evidenza le dimensioni e le caratteristiche della violenza di genere, segnalando come il silenzio delle vittime e una sorta di rimozione collettiva non avessero elevato il fenomeno a vero e proprio allarme sociale.
La dr.ssa Porro nel corso del dibattito ha precisato che anche recenti indagini statistiche hanno confermato questa tendenza, anzi sembra essersi innalzata durante la convivenza prolungata e obbligata nei mesi di lock down dovuto alla epidemia di COVID 19.
La presentazione della ricerca ha offerto poi riflessioni profonde, condotte con metodo sociologico sulle dinamiche della violenza domestica. Vengono analizzate le radici culturali e sociali non solo del fenomeno in sé, ma anche della capacità di perpetuarsi nel tempo, divenendo un terrore ripetitivo, costante, ossessivo. Ma viene anche descritta lucidamente la lunga storia dei diritti negati e di quelli conquistati.
Interessanti sono anche i dati ISTAT del 2006 riguardanti la prevalenza del fenomeno della violenza domestica nelle varie regioni d’Italia, dati che evidenziano una prevalenza numericamente maggiore al Nord e minore al Sud. La forbice si fa però sempre meno ampia e l’autrice del libro spiega questi dati con una maggiore reticenza a denunciare da parte delle donne del Sud, che si va comunque attenuando: la visibilità della violenza diventa maggiore non tanto dove essa è effettivamente consumata, quanto piuttosto dove maggiore è la propensione delle vittime a farla oggetto di denuncia. Porro prova a elencare una serie di cause che portano al silenzio delle donne: la paura, la difficoltà nel percepire il problema come legato alla dignità e alla libertà dell’individuo, la sofferenza collegata al senso di fallimento personale, l’isolamento tipico della spirale di violenza.
Comunque le interviste condotte nel tempo confermano che vanno aumentando i numeri di donne che denunciano, cosa che può simulare un aumento delle violenze rispetto al passato.
Altro dato che fa riflettere: la maggior parte delle vittime di violenza da parte di un non partner tende ad occultare la violenza subìta; in questo caso, specifica Porro, soltanto il 4% delle donne hanno denunciato gli abusi.
Questo è un altro elemento di riflessione che stimola le Istituzioni a incrementare una rete di protezione-informazione e cultura che faccia sentire meno sola la donna che decide di ribellarsi ad un vissuto di violenza.
Un aspetto originale del lavoro di Eugenia Porro consiste nella ricerca comparativa empirica condotta in Italia e in Polonia, paese dell’Est con una storia ancora abbastanza recente diversa dalla nostra, ma anche Paese con forte tradizione cattolica e notevole influenza di questa sul tessuto socio-politico. Le Istituzioni laiche ne vengono condizionate a tal punto da determinare il ruolo delle donne, che, sottolinea Porro, sono passate da essere ostaggio del regime a ostaggio della Chiesa.
Cultura e norma si influenzano a vicenda in una spirale negativa che rende difficile l’attuazione di una legislazione efficace contro la violenza domestica. Di conseguenza, continua il ragionamento della sociologa, si registra un quadro allarmante, ove al rifiuto di denunciare gli abusi per paura o sfiducia si aggiunge una reticenza sociale e culturale accentuata, tale da ostacolare l’emersione del fenomeno anche quando le informazioni attraverso indagini demoscopiche e rilevazioni statistiche sono coperte dall’anonimato.
Talora la violenza è considerata come una colpa: ”te sei cercata” o ancora “meglio stare con un uomo così che stare da sola”.
In Polonia come in Italia non è possibile tratteggiare profili univoci dell’uomo aggressore e della donna vittima: si conferma la trasversalità di classe e di status, ma anche la difficoltà a scoprire tratti personologici specifici universali: si tratta di persone comuni che all’esterno del nucleo familiare hanno normali relazioni sociali e lavorative, mentre in casa esplodono le dinamiche tossiche che portano a conseguenze drammatiche.
Ci sono senz’altro secondo l’autrice del libro, Paesi che stanno meglio di noi, per esempio i paesi Scandinavi, e la differenza la fanno le opportunità che vengono date alle donne per uscire dalle dinamiche delle violenze subìte, “con ciò intendendo tutta quella sfera del diritto che può garantire ad una donna di gestire la propria vita nella società in maniera equa rispetto agli uomini”.
Occorre allora interrogarsi sulle cause di questa vera e propria piaga sociale, ma anche capire quali sono le strutture che ne garantiscono la continuità; per esempio, tornando alla Polonia si è visto come la Chiesa ha esercitato e continua ad esercitare il suo potere, mantenendo uno status quo che penalizza la donna e contribuisce a rendere meno acuta la sensibilità alla violenza.
Sul piano normativo sostiene Porro i principali problemi segnalati dagli intervistati riguardano: la lentezza dell’iter legale, la dimostrazione del reato, l’impunità degli aggressori.
In conclusione questo lavoro di Eugenia Porro ha cercato, con successo, di darci alcune chiavi per interpretare un fenomeno atavico, che riguarda tutti i Paesi in modo trasversale con le loro forme sociali, confermando che la solitudine in cui sono lasciate le donne vittime di violenza fa apparire all’esterno il fenomeno come inesistente o ridimensionato.
In realtà ogni sforzo, sostiene giustamente Eugenia Porro, deve essere sempre più mirato alla prevenzione: “educazione a una cultura non violenta nella famiglia, una maggiore sensibilità da parte dello Stato nella direzione di politiche ispirate alla condizione femminile, il finanziamento dei centri anti violenza, maggiore tutela legale”.
Sicuramente una ricerca che aiuta a capire e toglie alibi a chi si ostina a rimuovere la centralità della questione femminile.
ENRICO IENGO

Ho letto il libro di Eugenia Porro, un battistrada per la ricerca sui “Paradisi crudeli”.
Ho apprezzato la ricerca, frutto della sociologia critica ed il rilievo che assume oggi l’indagine a livello internazionale, considerati gli stravolgimenti che la guerra comporta sia nei vissuti che nella storiografia dei Paesi dell’ Europa centro- orientale. Proprio tale approccio comparativo tra Italia e Polonia e la metodologia di ricerca a pieno diritto ” europea” sarebbero utili motivi di incontro culturale nelle scuole, in particolare nei Licei ad indirizzo socio-economico presenti nella Città.
Aggiungo che anche nella Polonia ” cattolica, sovranista e nazionalista”, nonostante la stretta autoritaria ( che abbiamo anche in Italia), esiste il Centro europeo di Solidarnosc’, pensato come luogo di dialogo interdisciplinare e laboratorio di cultura civica.
Grazie Enrico e naturalmente grazie ad Eugenia.
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Ottima sintesi di Enrico. Non bisogna dimenticare, come è emerso nel corso dell’analisi di Eugenia, che ci sono vari tipi di violenza oltre quella fisica, ossia la violenza economica (il divario retributivo di genere) e quella psicologica presente esplicitamente in molte culture e implicitamente anche in paesi formalmente molto avanzati. Questa seconda spiega in parte la reticenza alla denuncia.
Ettore
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