CAMPO O NON CAMPO – Questo é il dilemma dell’agricoltura
di LUCIANO DAMIANI ♦
Sarebbe da dire che é il dilemma dell’agricoltore ma ridurre la questione alla sopravvivenza, ovvero la sopravvivenza di colui che coltiva la terra, sarebbe un grave errore, l’agricoltore si salva solo se il sistema agroalimentare rimane in piedi essendo funzionale e funzionante. In questo senso l’azione politica che si limitasse ai sussidi sarebbe miope ed insana. Quindi é tutto il settore che va pensato, se volete, ripensato.
Come colui che tiene il capo fra le mani assorto in difficili pensieri, così dovremmo porci nell’affrontare questi temi. Temi al plurale perché tante e legate sono le questioni in ballo che chi volesse in qualche modo semplificare farebbe un grosso errore. Qualcuno ha detto che la domanda delle domande é: “vogliamo cibarci dei prodotti della terra o di quelli dell’industria?”. É questa la domanda cruciale? Sebbene nuovi cibi più o meno sintetici o comunque a noi estranei si affaccino sul mercato, questa questione é qualcosa che non riguarda ancora il futuro prossimo, per alcuni sia spaventevole. Piuttosto la domanda vera da porsi é quella relativa al ruolo dell’agricoltore e dell’allevatore nella filiera alimentare nella prospettiva futura. In ogni caso occorre darsi degli obiettivi nella considerazione di ogni fattore concorrente. La politica, nell’immaginare la strategia, non può e non deve limitarsi ad interventi settoriali slegati, senza fili conduttori che li uniscano ad una logica strategica. La politica dei sussidi non risponde a questo criterio, non lo fa se non é parte di un progetto globale, di una visione d’insieme, é un concetto elementare, il mero sussidio, o esenzione fiscale che sia, non fa altro che spostare le risorse da una parte all’altra, spostando lo scontento, é un tipo di operazione che non genera valori aggiunti, non genera progresso, sono tentativi di metterci delle pezze, e non é detto che siano sufficienti a fermare l’ondata delle manifestazioni. La politica delle ‘pezze’ é frutto del populismo, di destra o sinistra che sia. La rivolta dei trattori ha messo a nudo l’incapacità progettuale e gestionale della politica, tanto che le prime risposte sono limitate al rimandare certe misure epocali, tanto epocali quante necessarie, e ad alleggerire il peso fiscale.
Ma cosa non é riuscita a fare la politica? E le richieste degli agricoltori sono davvero tutte giuste nella prospettiva futura?
Nel dibattito in corso c’è un tema che pare prevalere sugli altri ma che in realtà prevale solo perché investe la politica del Green Deal europeo, Green Deal nell’occhio del ciclone della polemica politica innescata dalle destre europee e forte di un ben facile populismo. Le restrizioni ambientali sono il pretesto per attaccare le politiche europee poiché in realtà il riposo dei campi ed una riduzione dei fitofarmaci, ancorché da valutare correttamente, sono provvedimenti che, se da un lato mirano a perseguire la sostenibilità ambientale, dall’altro innalzano la qualità dei prodotti, riqualificando agricoltura ed allevamento e quindi la produzione alimentare di qualità in genere. Gli agricoltori europei lamentano la impossibilità di produrre in quantità e reggere il mercato, in parte hanno ragione, ma debbono pur pensare che la concorrenza si fa puntando sulle armi in proprio possesso e combattendo sul proprio campo, ecco dunque che l’arma migliore dovrebbe essere la qualità della produzione invece della quantità, se si vuole concorrere in quantità si ha già perso in partenza. Chiusure e dazi, nella visione globale, possono andar bene per qualcuno ma di sicuro sarebbero presto fonte di problemi non da poco, specie per quei settori che vivono di esportazione, si pensi al parmigiano, al vino ed anche a molti prodotti dell’industria che potrebbero trovare le porte dei mercati esteri chiuse ai loro prodotti a seguito di una politica di chiusura ai mercati internazionali. Nello specifico l’agroalimentare dipende ampiamente dalle esportazioni, export ed import si equivalgono per valori di decine di miliardi di euro. Politiche di chiusura richiedono la crescita del mercato interno capace di assorbire il surplus di produzione di quei prodotti che hanno trovato all’estero i loro mercati ideali, parla di prodotti ad alto valore aggiunto Certo, vaglielo a spiegare agli agricoltori sostenuti e plagiati da certa politica populista e opportunista. Certo vaglielo a dire agli agricoltori che le loro proteste hanno obbiettivi sbagliati senza proporre una serie ed efficace politica che riesca a tenere in piedi un settore pur mantenendo gli obiettivi strategici generali.
Prendiamo atto che la politica comunitaria e nazionale non riesce a perseguire la propria strategia globale e non riesce a fare nulla di meglio che innestare la marcia indietro con la consapevolezza che così non si risolve un fico secco. Non ci resta che attendere malinconicamente un futuro lontano, un qualche miracolo, l’avvento di una classe politica e dirigente capace e competente che riesca a tutelare ambiente e salute, senza mortificare l’economia del paese, anzi promuovendola grazie alla valorizzazione della qualità nel significato più largo del termine e con quella tenere in piedi tutto il settore senza chiudere le porte al mondo.
LUCIANO DAMIANI
