Gaza: era già tutto in una serie tv
di ROBERTO FIORENTINI ♦
Oltre 28.000 morti. Decine di migliaia di feriti. In poco più di 4 mesi. Secondo Save the Children dall’escalation di violenza del 7 ottobre in Israele e nei Territori Palestinesi Occupati, sono stati uccisi più di 10.000 degli 1,1 milioni di bambini di Gaza, ovvero l’1% della popolazione infantile totale. L’ UNICEF riporta che 370 scuole a Gaza sono state danneggiate o distrutte, 94 ospedali e strutture sanitarie a Gaza sono state attaccate e più di 1.000 bambini palestinesi hanno perso una o entrambe le gambe.
Come è noto la mattina del 7 ottobre 2023 Hamas ha lanciato un attacco contro Israele, prendendo di mira contemporaneamente la città di Sderot, una ventina di villaggi del Sud del Paese, due installazioni militari e un festival di musica che si svolgeva nell’area. Il bilancio della giornata è di 1.400 morti: 823 civili, 321 soldati, decine di corpi ancora da identificare: le vittime, comprese donne, minori e anziani, sono state oggetto di torture e abusi. In molti casi i corpi sono stati bruciati e per questo risultano difficili da identificare: 240 persone sono state portate a Gaza con la forza. Più di 3.000 sono state ferite.
Si è trattato di un’azione che possiamo con certezza definire terroristica. Ma, mi pare lecito chiedere, se fare 1400 morti è terrorismo, uccidere 28.000 persone, di cui 10.000 bambini che cosa è?
L’odio che genera il disprezzo per la vita e i sentimenti altrui è sempre di fatto alleato di ogni altra forma d’odio, a cominciare da quelle speculari e opposte. E così l’intossicazione dell’odio non si ferma, persino dilaga, e da ogni parte in lotta si tollerano sempre meno le obiezioni di ragione e di coscienza allo scontro. Quest’odio terribile e diffusissimo tra i due popoli che si dividono quel disgraziato lembo di terra non è una novità. Va avanti da decine di anni.
Per capire quanto sia radicato, almeno per me, è stato sufficiente vedere una serie tv trasmessa da Netflix. Le serie, da qualche anno, raccontano benissimo la realtà, forse persino meglio del cinema. La serie di cui parlo è Fauda.
Fauda (“caos” in arabo) è una serie televisiva israeliana iniziata nel 2015, di cui sono state realizzate 4 stagioni, l’ultima nel 2022. È un dramma poliziesco che segue le operazioni di un’unità d’élite dello Shin Bet, la squadra speciale delle forze di sicurezza israeliane responsabile soprattutto delle attività antiterrorismo in Israele, Cisgiordania e Striscia di Gaza. Il creatore e autore principale della serie, nonché protagonista, Lior Raz, è anche un ex membro delle forze speciali, non è stato profetico nel descrivere gli eventi. Ha semplicemente descritto la realtà di un paese che, nonostante sia perennemente militarizzato, non è riuscito a prevedere un attacco che covava nell’ombra da anni. La visione della serie racconta dell’odio assoluto e totale che divide “ebrei ed arabi” (come si definiscono tra loro) ma anche di come siano straordinariamente simili: hanno tratti somatici pressoché identici, mangiano lo stesso cibo, si salutano nello stesso modo, hanno abitudini ed usi sovrapponibili. La caratteristica di Fauda, e uno dei motivi per cui ha avuto grande successo a livello globale, è quella di riuscire ad esplorare realisticamente il conflitto israelo-palestinese, descrivendone le sfumature ed evidenziando le implicazioni umane e morali dei personaggi coinvolti nelle operazioni militari. Pur essendo una produzione israeliana la serie non divide in modo manicheo buoni e cattivi. Mostra azioni sotto copertura spietate, omicidi mirati e torture da parte israeliana. Racconta come Hamas, altrettanto spietata, non rappresenti tutta la società palestinese ma al suo interno siano presenti anche organizzazioni persino più estremiste e di come l’Autorità Palestinese sia corrotta e collusa con Israele.
Racconta, insomma, di quanto grande sia la diffidenza, l’inimicizia e in sostanza l’odio tra questi due popoli. E di quanto tutto questo sia, in fondo, normale, consueto, persino inevitabile. E spiega perché sembra davvero difficile pensare ad una pace possibile, specie in questo momento.
Ma senza la coraggiosa e paziente costruzione della pace, una pace giusta per tutte le parti coinvolte, per quanto difficile, si ripeterà ancora il disastro che ci hanno mostrato e ci mostrano tutti questi anni di guerra capaci di produrre soltanto nuove guerre, infinite vittime e rischi sempre più grandi.
ROBERTO FIORENTINI

La realta’ virtuale tenta l’operazione di trasformare la realta’reale. Il gioco riesce per chi abita la realta’ lontana mentre la realta’ vissuta e’ un immane strazio. Una operazione anestetica che e’ il segno del nostro tempo: il reale virualizzato. Dove ci condurra’ tutto questo e’ motivo di analisi interessante e, forse, un poco tragica.
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il gioco tra la realtà e la narrazione della stessa è forse la vera novità di questi tempi… Roberto
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Si deve saper distinguere il vero dal falso, come già dicevano Parmenide e Platone, o meglio il vero dal verosimile..
Sono i costi che dobbiamo pagare per la velocità della digitalizzazione, ma c’è il dato positivo che i Social media, in generale, non sono solo intrattenimento, ma dati di realtà, di vissuti…
Se vedo i dati che mi da ora la BBC, in diretta, sulla zona di Rafah, comprendo che non sono nel virtuale, mi da la mappa della popolazione Palestinese che in questa zona si è quintuplicata, che il conflitto si estende sulla zona costiera, che il fratello egizio costruisce recinzioni, allora deduco che Netaniahu sta operando una pulizia etnica e un poco di “Odio” lo sento anch’io, in attesa della lenta ricostruzione della Pace.
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