Autonomia devoluzione secessione

di ANNA LUISA CONTU ♦

Il ventiquattro gennaio, con una insolita manifestazione nell’aula del Senato da parte del PD veniva sottolineata l’approvazione del disegno di legge Calderoli sull’autonomia differenziata. E mentre i padani sventolavano la bandiera del leone di San Marco, i senatori del Partito Democratico esponevano cartelli con la bandiera italiana e cantavano l’inno nazionale.

I Fratelli d’Italia, fratelli di taglio come li chiamo io, non si vergognavano di aver concesso alla Lega quello che Berlusconi ha sempre promesso ma mai attuato.  I Fratelli di Taglio sono contenti dello scambio autonomia-premierato, l’elezione diretta del capo del governo che la Lega concede a Giorgia Meloni, dopo avere svuotato il potere centrale con la creazione di un autonomismo potentissimo e ricchissimo nelle regioni del nord che assomiglia molto ad una secessione. Cosi, Giorgia,  o chi per lei, dominerà da Roma su una scatola vuota. Perché l’autonomia differenziata cambierà la struttura dello Stato, della Repubblica, nata dalla Resistenza antifascista.

La nostra Costituzione all’art. 5 recita che l’Italia è una repubblica “una e indivisibile” ma riconosce e promuove le autonomie locali. Cosa che fu attuata con la creazione delle regioni a statuto ordinario negli anni ’70 del secolo scorso.

La riforma del Titolo V della Costituzione  del 2001, improvvidamente attuata dal centrosinistra  per cercare di fermare le spinte secessioniste della Lega, concesse con l’art. 116, comma 3, ulteriori forme di autonomia alle Regioni a statuto ordinario con il trasferimento  di competenze su ventitré materie elencate nell’art. 119  che rappresentano la struttura portante dello Stato.

Dagli anni duemila ad oggi è stato un continuo tentativo di attuare queste ulteriori forme di autonomia, fino ad arrivare al governo Gentiloni che, quattro giorni prima delle elezioni politiche del 2018 aveva firmato, esautorando il Parlamento, le intese per l’autonomia differenziata con Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, cui non venne data, fortunatamente, esecuzione.

I governi che seguirono, il Conte Uno ( aveva nel contratto di governo con la Lega l’autonomia differenziata come uno dei punti qualificanti), il Conte 2, il governo tecnico Draghi fecero melina ma il progetto non fu buttato alle ortiche. Poi arrivò il governo Meloni, la nomina di Calderoli a ministro delle Riforme e delle Autonomie e tutto subì un’accelerazione. Il disegno di legge , dopo essere stato approvato dal Consiglio dei Ministri nel 2023 è stato approvato dal Senato e dovrà essere discusso alla Camera.

Il decreto approvato al Senato non trasferisce competenze, ma disciplina la procedura attraverso la quale si applica l’art.116 della Costituzione, in una sorta di trattativa privata tra il Presidente del Consiglio, Il Ministro delle Autonomie e la Regione che faccia richiesta di autonomia.

Se la riforma del Titolo V concede “ulteriori” forme di autonomia significa che esse ne godono già ampiamente, per esempio nella Sanità. Altro è far diventare queste regioni degli Stati per cui, per dirla con Bersani, bisognerà richiamare in vita Garibaldi.

L’autonomia differenziata avrà conseguenze rilevanti sulla nostra Repubblica e sulla vita dei singoli cittadini, conseguenze di natura ordinamentale, finanziaria e sociale.

La nostra è una repubblica parlamentare, il nostro è uno Stato Unitario, non è uno Stato federale. Così è stato pensato e costruito dai padri fondatori nel Risorgimento, quando la soluzione unitaria prevalse su quella federale che pure era stata propugnata da uomini come Carlo Cattaneo. La Costituzione della Repubblica  del 1948 delinea uno stato Unitario con un sistema di autonomie in cui le Regioni hanno funzioni legislative sia pure entro limiti ben determinati. Le nostre Regioni non sono da porre sullo stesso piano dei Lander tedeschi o i Cantoni della Svizzera.

Devolvendo le competenze sulle più importanti materie, le Regioni a statuto ordinario diventano dei mini Stati che hanno potere di intervento sul sistema dell’Istruzione, della sanità, delle infrastrutture, dell’Energia, dell’Ambiente, della Cultura, degli enti che si occupano della sicurezza dei Trasporti, ecc.

Se attuato, l’art. 117, 8 prevede che le Regioni possano ratificare intese con altre Regioni per il miglior esercizio delle proprie funzioni anche con individuazione di organi comuni, o concludere accordi con Stati (comma 9) e intese con enti territoriali interni ad altro Stato. Ecco creata la macro-regione che è stato uno degli obiettivi della Lega fin dalla sua fondazione.

Non ho molte competenze di natura giuridica, ma cos’è questo se non lo scardinamento dell’unità del paese?

E se consideriamo poi le conseguenze finanziarie dell’autonomia differenziata vediamo delinearsi uno Stato dominato dai potentati economici del Nord, uno Stato diverso da quello delineato dalla Costituzione, cioè uno Stato solidaristico che rimuove gli ostacoli   allo   sviluppo economico  e al godimento effettivo dei diritti civili e sociali.

Per garantire, come recita il disegno di legge Calderoli, il godimento dei diritti sociali e civili a tutti i cittadini in tutto il territorio nazionale bisogna definire i LEP, i livelli essenziali delle prestazioni, e la spesa standard. Definirli è competenza dello Stato, del Ministro delle Autonomie, ma non del Parlamento.

La legge approvata al Senato prevede l’invarianza finanziaria, stabilendo che da ciascuna intesa con le regioni non devono derivare oneri aggiuntivi alla finanza pubblica. Per il finanziamento delle funzioni attribuite le Regioni sono compartecipi con uno o più tributi erariali. Così Lombardia e Veneto, regioni potenti e ricche, tratterranno una quota dell’Irpef e dell’Iva raccolte nel loro territorio. E se queste risorse rimangono nelle casse regionali, si avranno problemi di gestione del bilancio dello Stato e del debito pubblico come ha sottolineato la Commissione Europea nel luglio 2023. Inoltre, la definizione delle percentuali dei soldi trattenuti è sottratta al Parlamento e affidata a trattative nelle commissioni in cui Stato e Regione hanno uguale potere.

Quindi che interesse avrebbero le Regioni più povere a richiedere l’autonomia se lo Stato non finanzia le materie trasferite? Ecco perché si parla di “secessione dei ricchi” e di autonomismo egoista che sostituisce la solidarietà con spinte verso la frantumazione delle comunità, e dà voce a quanti sono insofferenti del pubblico, esprimono luoghi comuni per l’inefficienza delle amministrazioni meridionali (senza per questo giustificare classi politiche corrotte o inadeguate)

Definire i LEP e le clausole di salvaguardia non è sufficiente per garantire i diritti civili e sociali su tutto il territorio nazionale. Secondo molti analisti non è solo l’art. 116 che non è stato attuato e per la cui attuazione tanti si sono affannati,  leghisti e apprendisti riformisti. Anche l’articolo 119 non è stato attuato, un articolo che è in linea con l’idea di solidarietà che sottende la nostra Costituzione. L’art.119 recita che lo stato interviene anche con risorse aggiuntive per rimuovere gli squilibri fra le regioni  e interviene non solo con risorse finanziarie, ma con strumentazioni, personale, competenze.

Questa legge non prevede nuovi finanziamenti. Noi sappiamo degli squilibri esistenti tra Regione e Regione nella Sanità, nella Scuola, nelle infrastrutture. Per fare un esempio la città di Nuoro è l’unico capoluogo di provincia che non è servita da una ferrovia e i paesi dell’interno difficili da raggiungere.

Per adeguare i bisogni della persona e dei cittadini ci vogliono risorse, culturali, professionali, finanziarie. Altrimenti si fotografa l’esistente, le disuguaglianze non vengono appianate e gli squilibri regionali si accentueranno. Non che si godranno gli stessi diritti civili e sociali per tutti i cittadini in tutto il territorio nazionale, ma si creeranno cittadini di serie A e di serie B a seconda del territorio di residenza.

L’autonomia differenziata non è la soluzione per sanare le differenze tra Nord e Sud, l’autonomia differenziata sancisce la frantumazione delle comunità, dell’unità del paese e insieme alla legge sul premierato delinea una nuova costituzione della Repubblica.

ANNA LUISA CONTU

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