L’autobiografia femminile tra letteratura e tradizione orale – 1.1 Il secolo della narrazione 

A partire da oggi, ogni martedì, pubblichiamo una serie di articoli di Valentina Di Gennaro sull’autobiografia femminile, tra letteratura e tradizione orale: un fenomeno che si è radicato durante il Novecento, travalicando il semplice genere letterario, ma affermandosi, di fatto, come motore di rivendicazione dei diritti civili e sociali.
Un appuntamento settimanale che ripercorre, partendo da una cornice storica e antropologica, la narrazione di sé con una particolare attenzione alla narrazione femminile.

di VALENTINA DI GENNARO

1.1 Il XX secolo, il secolo della narrazione di sé

Il XX secolo si caratterizza dal punto di vista dei testi narrativi come un secolo di svolta rispetto a quello precedente.  La narrativa diventa, non solo il mezzo d’elezione per la divulgazione, ma anche esso stesso oggetto di studi. Il punto di vista personale e soggettivo femminile diventa un nuovo modo, una nuova voce che fa emergere il vissuto delle donne, che non modifica, ma sovverte quello tradizionale.

L’autobiografia al femminile ha rappresentato una forma di scrittura che ha sfidato i canoni tradizionali dell’autobiografia maschile e ha permesso alle donne di narrare la propria vita in modo autonomo, liberandosi dalle limitazioni imposte dalla società patriarcale. Secondo J.S. Bruner, noto psicologo statunitense, la narrazione è una delle modalità fondamentali con cui gli esseri umani danno senso alla propria vita e al mondo che li circonda. La narrazione è in grado di creare una continuità temporale e di organizzare le informazioni in modo coerente, rendendo possibile l’elaborazione di esperienze complesse. Dal punto di vista epistemologico, infatti, assume una particolare importanza la natura interpretativa delle teorie, cioè l’attribuzione di un significato proprio, rielaborato, supportato ovviamente dal rigore scientifico, delle teorie stesse. Come esseri umani, senzienti e che esperiscono la propria vita, gli uomini e le donne non sono semplici elaboratori di informazioni, ma le filtrano, adducendo significati, interpretazioni ed intenzionalità.

Nell’autobiografia, la narrazione assume un ruolo ancora più significativo, perché permette all’autore di dare forma alla propria vita e di costruire un senso di identità.

Duccio Demetrio inoltre, aggiungerà poi il carattere pedagogico del parlare di sé, sottolineando l’importanza dell’autobiografia come strumento di conoscenza di sé e degli altri. L’autobiografia non è solo un racconto della propria vita, una semplice elencazione di fatti in ordine cronologico, ma anche una riflessione sulla propria identità e sulle proprie scelte. Attraverso l’autobiografia, si può acquisire una maggiore consapevolezza di sé e degli altri, riconoscendo la complessità delle relazioni umane e la varietà delle esperienze. Tramontata ormai la concezione tutta razionalista di un modo univoco di vedere e considerare la conoscenza, si aprono le porte alla molteplicità e alla possibilità dell’interpretazione personale.

Si pensi, per esempio, alle teorie più moderne di Zygmunt Baumann e alle sue teorie sulla società liquida e dell’incertezza, soprattutto in relazione ai rapporti e alle esperienze personali.

“La nostra vita è un’opera d’arte – che lo sappiamo o no, che ci piaccia o no. Per viverla come esige l’arte della vita dobbiamo – come ogni artista, quale che sia la sua arte – porci delle sfide difficili (almeno nel momento in cui ce le poniamo) da contrastare a distanza ravvicinata; dobbiamo scegliere obiettivi che siano (almeno nel momento in cui li scegliamo) ben oltre la nostra portata, e standard di eccellenza irritanti per il loro modo ostinato di stare (almeno per quanto si è visto fino allora) ben al di là di ciò che abbiamo saputo fare o che avremmo la capacità di fare. Dobbiamo tentare l’impossibile. E possiamo solo sperare – senza poterci basare su previsioni affidabili e tanto meno certe – di riuscire prima o poi, con uno sforzo lungo e lancinante, a eguagliare quegli standard e a raggiungere quegli obiettivi, dimostrandoci così all’altezza della sfida. L’incertezza è l’habitat naturale della vita umana, sebbene la speranza di sfuggire ad essa sia il motore delle attività umane. Sfuggire all’incertezza è un ingrediente fondamentale, o almeno il tacito presupposto, di qualsiasi immagine composita della felicità. È per questo che una felicità «autentica, adeguata e totale» sembra rimanere costantemente a una certa distanza da noi: come un orizzonte che, come tutti gli orizzonti, si allontana ogni volta che cerchiamo di avvicinarci a esso”

Tutto ciò assume un carattere ancora più eccezionale ed unico se a parlare di sé sovvertendo le regole tradizionali del pensiero unico sono le donne.

L’autobiografia al femminile ha radici antiche, ma è solo nell’Ottocento che si diffonde maggiormente. Le donne cercano di scrivere la propria vita in modo autonomo, rifiutando il ruolo di oggetto della storia e cercando di affermarsi come soggetti di diritto.

Destinate ad essere narrate da una voce maschile, essere guardate da uno occhio maschile e anche ad essere interpretate sulla scena teatrale da uomini, le donne scoprono molto tardi l’appropriazione dello spazio pubblico per raccontarsi ed esprimersi.

Tra le opere più significative di questo periodo ci sono “Incidents in the Life of a Slave Girl” di Harriet Jacobs e “Narrative of Sojourner Truth”, entrambe autobiografie di donne afroamericane che denunciano la schiavitù e la discriminazione razziale.

Nel Novecento, l’autobiografia al femminile diventa sempre più diffusa e si arricchisce di nuove forme e temi. Molte scrittrici cercano di riscrivere la propria vita in modo creativo, mescolando autobiografia e fiction. Tra le opere più note di questo periodo ci sono “La donna vestita di sole” di Anaïs Nin, “La mia vita” di Isadora Duncan e “The Bell Jar” di Sylvia Plath. L’autobiografia al femminile rappresenta una forma di scrittura che ha permesso alle donne di raccontare la propria vita in modo autonomo e di affermarsi come soggetti di diritto. Grazie alla narrazione autobiografica, le donne hanno potuto dare forma alla propria vita e costruire un senso di identità.

Nella seconda metà del 900 il racconto di sé che fanno le donne si concentra sull’’autodeterminazione su e del proprio corpo.

Abusi, violenze, stupri e aborto, temi fino a poco tempo prima insondabili diventano il centro delle narrazioni al femminile: perno di quella pratica che sarà riconosciuta da tutti come il’ “partire da sé”.

Come ricorda ad esempio, Michelle Perrot, in “Storia dell’Europa. L’età contemporanea”: “Il progresso scientifico e tecnologico favorì l’emancipazione delle donne. L’ostetricia prima e l’ospedalizzazione del parto avrebbe fatto diminuire sensibilmente la mortalità materna: diminuendo il numero di parti grazie alla contraccezione le donne risparmiarono anche le proprie vite, affrancandosi così dai rischi di una morte precoce. L’altra grande rivoluzione è stata quella prodotta dall’invenzione della pillola anticoncezionale: ma l’idea di renderle padrone della propria fertilità ripugnò a molti medici, così come alla Chiesa cattolica, allo Stato e alla morale comune”.

Senza il tramandare attraverso la narrazione autobiografie e attraverso genealogie e generazioni di donne, la presa di coscienza sui diritti della salute riproduttiva, non sarebbe stata possibile.

VALENTINA DI GENNARO                                                                                                    (continua)

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  • L’immagine di copertina è di Elisa Talentino