“PESCI, PESCATORI, PESCIVENDOLI E CONSUMATORI” DI GIORGIO CORATI – Una riflessione sull’Antropocene
di GIORGIO CORATI ♦
Nel 2015, in L’era dello sviluppo sostenibile, l’economista Jeffrey D. Sachs1 riporta che “scienziati eminenti hanno coniato il termine Antropocene, ovvero era dell’uomo” […], per indicare l’epoca geologica attuale caratterizzata, senza precedenti nella storia, da cambiamenti fisici della Terra “determinati principalmente dalle attività umane”.
Nel 1973, il biologo Barry Commoner,2 considerato a quel tempo negli Stati Uniti il pioniere degli studi ambientali, sosteneva che
“in ecologia, come in economia, non c’è guadagno che possa essere ottenuto senza un certo costo”. […] “Poiché l’ecosistema globale è tutto collegato e interconnesso, all’interno del quale niente può essere guadagnato o perduto e che non è soggetto a un miglioramento globale, ogni cosa che l’uomo sottrae a questo sistema deve essere restituita. Non si può evitare il pagamento di questo prezzo; lo si può soltanto rimandare nel tempo. L’attuale crisi ambientale ci ammonisce che abbiamo rimandato ormai troppo a lungo” (p.41).
Secondo Commoner (1973), per “scoprire come le attività umane dipendano dall’ambiente e, a loro volta, come le influenzano”, […] “bisogna individuare i modi in cui ogni parte dipende dal resto” (p.99). Rispetto a questa affermazione, sosteneva che, così come, ad esempio, “nel caso dell’ecosistema acquatico” esistono correlazioni tra ogni parte e l’andamento del tutto, allo stesso modo si possono cercare le relazioni e le interdipendenze tra le attività umane e l’ecosistema.
Se ancora oggi l’uomo, con le sue attività, continua a dominare l’ambiente naturale in cui vive, esercitandovi pressioni antropiche, intense e costanti, usando, depauperando, talvolta dissipando le risorse ed arrecando danni, degradando l’ambiente naturale stesso; se ancora oggi l’uomo continua a fare e ad agire, senza riflettere sulla capacità rigenerativa della natura di quanto usato e senza considerare i limiti a cui è soggetto il pianeta, così come sta avvenendo nell’era dell’Antropocene … allora, in questo senso, è probabile che anche il consumatore stenti a proiettare lo sguardo oltre la quotidianità del proprio consumo e degli effetti esterni sull’ambiente e sulle risorse che questo determina. Talvolta lo fa senza accorgersi di soggiacere, a torto o a ragione, a convinzioni generali che muovono le azioni e il comportamento di consumo maggioritari e, anzi, persuadendosi che i modi e le modalità di quell’agire siano non soltanto adeguati, bensì anche giusti e corretti. In questa visione, si fa largo la necessità di un riequilibrio nelle interazioni tra uomo produttivo e uomo consumatore, cioè un equilibrio in cui buone pratiche dell’uno siano di monito e di sollecitazione a quelle migliori dell’altro e viceversa, in merito al miglior uso, al miglior utilizzo e alla maggiore valorizzazione in termini non economici del capitale naturale, ai fini della soddisfazione dei bisogni umani da parte di tutti. Diversamente, uso e consumo tendono a caratterizzarsi come un potenziale nefasto disequilibrio in una visione miope delle potenzialità del consumo per l’appagamento dei bisogni, cioè in una visione che non considera come sostanziali anche le necessità del domani, il quale, oltretutto, presenta la caratteristica di incertezza. Assume rilievo la necessità di una riflessione generale in senso critico sugli aspetti di insostenibilità delle attività umane e, in particolare, sulla sostenibilità3 del comportamento di consumo, secondo una logica strategica, tattica e lungimirante rispetto alla capacità naturale del pianeta di rigenerare le risorse di cui, nell’Antropocene, il consumatore ha e tende ad avere bisogno in modo crescente.
Nella Dichiarazione finale del Board del “Millennium Ecosystem Assessment” (MEA, 2005),4 si legge che: “le preferenze dei consumatori nei confronti di prodotti ottenuti responsabilmente da sistemi naturali” [come i prodotti della pesca] “possono remunerare le imprese che compiono scelte analoghe nell’approvvigionamento delle risorse” (p.35).
GIORGIO CORATI
