I CANTASTORIE TRADITI — COME SI DISTRUGGE IN CINQUANT’ANNI E SPICCI UNA CIVILTÀ COSTRUITA IN TREMILA ANNI.
di EZIO CALDERAI ♦
Capitolo 39: Il club “Pornografia della virtù”, con informazione al seguito, trasformato in
«Fortezza».
Il conformismo dell’informazione come anticipazione della «Fortezza».
Il pensiero unico, almeno negli ultimi 15 anni, è diventato egemone e intollerante. I meccanismi di funzionamento della società civile, le leve del potere, le preferenze della comunità debbono essere guidati da «illuminati» – Platone docet – democratici «autentici», non importa avere idee comuni, a cominciare dal destino di una comunità, quel che conta è la connivenza, la complicità, la reciproca protezione di casta, che s’istaura tra politici, magistrati, giornalisti, cantanti, man mano si uniscono virologi, cartomanti, cuochi stellati, conduttori televisivi.
Le notizie sui giornali sono confezionate allo stesso modo, non c’è neppure bisogno di mettersi d’accordo, viene in automatico. Prima o poi si passerà al giornale unico: «Gazzetta della Fortezza».
Se scantoni, il posto per tuo nipote te lo scordi, scordati il programmo in TV, nessuno finanzierà il tuo film, il giudice con te sarà più severo, non perché il potere viene usato come una clava, ma per il fatto che, se non capisci la superiorità intellettuale e morale dei democratici «autentici», significa che non hai capacità.
In Papuasia un candidato di destra ha vinto le elezioni? Un insulto alla pace mondiale, gli attacchi debbono partire immediatamente, decisi, concentrici. Non importa quel che costa.
Quando si accorgeranno che il pensiero unico ha ingessato la cultura, la circolazione delle idee, la vitalità che ha reso straordinaria la storia del mondo e degna di essere vissuta la vita che ci è stata donata, quando si renderanno conto di essere passati dalla superiorità antropologica al razzismo, sarà troppo tardi.
Chissà se qualcuno prenderà coscienza degli errori compiuti, dall’asfissia causata alla società dalla esclusione dal processo decisionale di tutte le componenti della società stessa, indipendentemente dall’apporto che ciascuno possa dare, alla complessità strumentalmente utilizzata per formare un potere non dissimile da quello dei sacerdoti del Faraone. In una parola, per giungere, come ho già scritto, alla legittimazione del potere oligarchico, sotto le mentite spoglie di democrazia.
Non dico che non si possa fare, si tratta pur sempre di una discussione sulla forma di governo: se l’hanno fatto i greci del V secolo a.C., non vedo perché non potremmo farlo noi. Nella chiarezza, tuttavia, con almeno due partiti in competizione e regole scritte in anticipo, libero ciascuno di esporre le proprie idee, di spiegare gli impegni che assume per l’esercizio del potere, tra essi, principale, di assumere la responsabilità come vessillo, di non spacciare il governo di pochi per governo del popolo.
Oggi nella «Fortezza» il «potere» non ti dice niente su niente e di niente. Il rovesciamento del sistema democratico è praticato con altri mezzi. I diversivi non ti consentono di partecipare al dibattito. Ti trovi, senza accorgertene, a parlare di pensioni, l’età che devi avere per andarci, la congruità, lo Stato, poi, t’inebria di bonus, ti stordisce di assistenza, ti getta in pasto il diritto dei bagnini di perpetuare sine die l’occupazione delle spiagge, bene comune per eccellenza (è giusto, non è giusto, tranquilli troveremo una mediazione), il diritto dei tassisti di bloccare il traffico (è giusto, non è giusto, tranquilli troveremo una mediazione), la latitudine e longitudine dei bonus, le armi da spedire in Ucraina, certo, a patto che siano difensive, l’orgia di calcio su tutti i canali televisivi, a tutte le ore, del giorno e della notte.
***
L’odierna oligarchia d’accatto, tutti i giorni, si trova alle prese con il problema della conservazione del potere, troppi i clienti da accontentare. Poi, un’alzata d’ingegno, due parole magiche: «populismo» e «sovranismo» ed il problema è risolto. Finalmente chi è dalla parte giusta della storia è riconoscibile, non è segnato da quelle due orribili parole, una macchia indelebile.
Peccato che gli italiani non ne abbiano chiaro il significato e io stesso, non ho timore a confessarlo, ho più di una difficoltà.
Così, istintivamente, penso che con «populismo» si voglia intendere l’insieme di politiche fondate su un mix confuso di statalismo, assistenzialismo, conflitto permanente con nemici interni ed esterni, delegittimazione degli avversari politici.
Se la ricetta è quella, ha un capostipite, non so quanto nobile, in Juan Domingo Peron[1], che, a quasi cinquant’anni dalla morte, influenza ancora l’Argentina, condannata, in un’orgia di demagogia, a un default dopo l’altro, malgrado sia un Paese ricco di risorse naturali, tra i primi nel mondo.
I governanti italiani, consapevoli o no, negli ultimi trent’anni hanno praticato un peronismo senza Evita, la leggendaria moglie del capo. Chi non ricorda i pensionati baby del settore pubblico, in pensione ad un’età compresa tra 35 e 39 anni, le pensioni di invalidità, le pensioni da scivolamento, gli esodati e innumerevoli altre diavolerie? Chi non ricorda il reddito di cittadinanza ante litteram diffuso a piene mani e per anni con la Cassa Integrazione, con gli scivolamenti? Chi non ricorda la proliferazione dei dirigenti in Rai, nelle partecipate, nei grandi comuni, come Roma, dove appena viene nominato un nuovo sindaco si porta i dirigenti del suo, come nel dopoguerra, quando si andava a mangiare all’osteria?
Teoricamente più facile capire cosa s’intenda per «sovranismo», in pratica la negazione del diritto degli stati di esercitare un potere sovrano sul proprio territorio, sulle sue politiche, in una parola, sulle scelte ritenute idonee dagli eletti dal popolo per perseguire gli interessi della comunità sovraordinata.
Sottinteso, la sovranità appartiene solo ed esclusivamente all’Europa.
Questa volta gli alfieri del politicamente corretto non hanno tutti i torti: l’Europa non ha un esercito, non ha una politica estera, non ha una diplomazia, ma gli stati membri gli hanno delegato la politica monetaria e di bilancio, in pratica la ragion d’essere di una democrazia liberale.
Qualcuno potrà dire: non è proprio regolare, ma se il bilancio dell’Unione lo gestisce J.M. Keynes o M. Friedman siamo in mani sicure.
Purtroppo, Keynes e Friedman se ne sono andati, e oggi il bilancio europeo lo gestisce Ursula von der Leyen, il primo finlandese scappato dalla tundra, la maltese che viene dall’esperienza esaltante di provare a cambiare nome alle feste di Natale.
L’anomalia è che l’Europa non è una Federazione, ma, appunto, una Unione, tra l’altro diseguale, segnata dall’egemonia tedesca, con i francesi di spalla, nei momenti buoni. Finché il bilancio europeo per il 40% era assorbito dall’agricoltura nessuno ci ha fatto caso, quando, però, si è cominciato a parlare di soldi le differenze si sono fatte sentire.
Le tue banche si sono esposte troppo con la Grecia? Bene, se sono tedesche o francesi non debbono perdere neppure un centesimo, poi, per aiutare la Grecia, per il suo bene, ça va sans dire, le spezziamo le reni, magari ci facciamo spiegare come aveva fatto il Duce durante l’ultima guerra mondiale.
Più recentemente, in pratica ai nostri giorni, il terrore dei tedeschi di restare senza gas è costata un taglio, per ora approvato soltanto dalla Commissione, dei consumi fino al 15%, in applicazione della collaudata dottrina tedesca: i guadagni, fatti e da fare, sono miei, le perdite le dividiamo.
Gli errori più gravi della Commissione sono stati due, entrambi tali da piombare l’Europa, in una crisi, che costerà agli europei lacrime e sangue, ma non nel senso nobile predicato da Churchill.
Il primo, un piano demenziale, almeno sotto il profilo dei tempi, di de-industrializzazione del continente. Il secondo, di non aver impedito l’invasione dell’Ucraina da parte dei russi, imponendo a Kiev il divieto di entrare nella NATO e l’obbligo di mettere fine alla guerra di secessione nel Donbass, accordando uno statuto speciale alle popolazioni russofone. In questo modo l’Europa si è piegata alla politica insensata degli Stati Uniti, arricchendo in modo osceno sia la Russia, sia la Norvegia, che dell’Unione non fa parte, che hanno fatto quel che hanno voluto sul prezzo del gas.
Guai, però, non dico a criticare, ma a parlarne. L’Unione non si tocca, solo i populisti e i sovranisti lo fanno. Ironia della sorte, i difensori più strenui sono quelli che, nell’album di famiglia, hanno i valorosi oppositori alla CECA, gli stessi che non hanno neppure firmato il Trattato di Roma, istitutivo dell’Unione Europea.
[1] Peron, due volte Presidente dell’Argentina, non è stata un personaggio banale. Tuttavia, ha confermato i suoi connazionali nella convinzione, che già avevano, che si possa vivere al di sopra delle proprie risorse, con effetti disastrosi per le generazioni che sono venute dopo la sua prima Presidenza (1946/1955) costrette a vivere tra dittature sanguinarie e sacrifici pazzeschi. La moglie, Evita, popolarissima era a capo del Sindacato.
EZIO CALDERAI (continua)
